Un tempo, ormai lontano, si parlava di giustizia di classe.
Nonostante il tempo passato, la situazione non solo non è migliorata, ma oggi appare chiaro come solo pochi cittadini abbiano i mezzi economici per potersi difendere da una imputazione penale o per avvalersi del servizio Giustizia.
Non solo, la stessa avvocatura, da ordine liberale professionale privilegiato, piano piano, è discesa nel girone dei proletari.
Il caso classico che avvicina il professionista all’inferno della crisi attuale è la dura realtà della applicazione pratica del gratuito patrocinio.
Proprio la crisi, infatti, estendendo largamente la disoccupazione, ampliando l’area della povertà e il deterioramento dei livelli di vita e di reddito generali, obbliga il ricorso sempre più esteso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Mentre in linea di principio il beneficio a favore dei non abbienti è previsto a livello costituzionale dall’art. 24, nella applicazione pratica, assistiamo all’azione congiunta dei poteri dello Stato, dal Ministero della Giustizia alla Magistratura, che fanno forte resistenza, più o meno esplicita, contro la pratica applicazione dell’istituto.
A mio avviso, questo deve spiegarsi innanzitutto con la perdita della sovranità monetaria e la conseguente inevitabile crisi verticale delle finanze dello Stato che non può più assolvere ai suoi compiti originari dettati dalla Costituzione e si limita a rafforzare la funzione di imposizione ed escussione delle tasse da un lato, e quella di dismissione dei servizi pubblici dall’altro.
Mai come oggi, i magistrati sono diventati consapevoli che ogni euro prelevato a favore dei cittadini dalle casse dell’erario, mette in discussione la loro fonte di entrate presente e futura, cioè i loro stipendi, liquidazioni e pensioni.
Ripeto, tutto questo a causa della assurda rinuncia della Repubblica italiana alla propria sovranità monetaria asservendosi all’uso di una moneta privata, l’euro, che lo Stato deve comprare quando le casse si svuotano.
Di conseguenza, poiché non puoi chiedere a nessuno di andare contro i propri interessi, la magistratura, con eccezioni sempre più sporadiche, tende a disapplicare e a ostacolare in ogni modo l’effettività del patrocinio a spese dello Stato, dalla ammissione alla fase del pagamento concreto.
E’ venuta, cioè, a mancare la condizione fondamentale che il Giudice sia al di sopra delle parti e disinteressato al provvedimento che deve adottare.
La stessa questione si ripropone se si parla di legge Pinto o di indennizzo per ingiusta detenzione e simili.
Nello stesso modo, infine, tale conflitto di interessi si riverbera su tutti i giudizi in cui il cittadino è contrapposto alla PA e agli altri enti, chiedendo una somma di denaro o chiedendo di accertare che non deve una somma di denaro.
Anche senza voler fare l’esempio tipico delle Commissioni tributarie, sempre più contigue e solidali alla stessa Agenzia delle entrate e della riscossione, la magistratura tende generalmente a limitare in tutti i modi la richiesta di giustizia che comporti un esborso o una mancata entrata nelle casse dell’erario.
Si badi bene, tale modus si estende ben oltre la sua portata originaria.
Ad esempio, posto che quando una banca va in difficoltà, prima o poi interviene lo Stato e il debito privato diventa pubblico, ancora una volta andando a gravare sull’Erario, anche in questi casi il magistrato tenderà a limitare il diritto del cittadino contro la banca.
In varie decisioni, infine, viene richiamata la necessità di tutela e salvaguardia dell’ Erario pubblico per giustificare limiti ai diritti dei cittadini. Si tratta di una altra applicazione del culto dell’Austerity, la religione del dio euro e dei sacrifici umani imposta dalla Unione Bancaria Europea da Bruxelles.
Dal lato della normativa, l’altro intervento liberista posto a limitare il diritto dei cittadini alla giustizia, anche quella spicciola, è consistito nell’aumento dei contributi da pagare nel caso in cui si sia costretti ad adire il giudice civile.
Il risultato immediato è stato quello di rendere antieconomico e così scoraggiare il ricorso al giudice in tutti i casi in cui ci si debba difendere da atti impositivi, spesso del tutto infondati (cartella pazza).
L’ostilità dei giudici, poi, si concreta in un altro modo di dare torto al cittadino: accogliere la domanda ma compensare le spese (care) così da vanificare la tutela. In questo caso, addirittura, un’altra norma liberista prevede che il cittadino, benché vincitore, benché già tenuto a pagare le spese sopportate per fare causa, debba anche pagare la metà della tassa di registrazione.
Bisogna ricordare che ogni attacco agli avvocati si traduce immediatamente in una negazione dei diritti al cittadino, non si tratta qui solo della difesa di interessi propri dei legali.
Peccato, infine, che chi pone limiti ai diritti di tutti i cittadini semplici, giammai accetterebbe di vedersi decurtato di un solo euro lo stipendio e i privilegi di cui gode a spese dell’Erario pubblico.