Nei posti che contano, dove si prendono decisioni che poi orientano i modelli sociali ed economici, ci sono persone convinte che le piccole imprese DEBBANO chiudere, per il bene dell’Italia!
Perché non sarebbero sufficientemente competitive, questo il pensiero: “nel mondo globale devi essere grosso per sopravvivere”, pensiero che ad una prima lettura sembra pure sensato!
Ora, queste persone sono talmente convinte di questa idea che, coerentemente, prendono decisioni che spingono nella direzione di rendere la vita delle piccole imprese sempre più difficile, a favore della grossa dimensione.
Gli strumenti usati sono: il credito, la fiscalità, la privatizzazione dei servizi pubblici, la regolamentazione burocratica.
Le condizioni alle quali il credito viene erogato dalle banche alle imprese sono “concepite e pianificate” – attraverso i regolamenti di Basilea e altri condizionamenti che arrivano dalle banche centrali – appositamente per scoraggiare la piccola dimensione:
– se sei grande e ricco, ti arrivano tutti i soldi di cui hai bisogno, e per di più a condizioni vantaggiosissime;
– se sei piccolo e bisognoso, invece, ti arriva poco e a condizioni “oscene” (se la gente sapesse come è concepita la legge sull’usura si renderebbe conto di quanto la parola “oscene” sottovaluti la gravità della situazione). Se cominci ad avere difficoltà finanziarie, il sistema è organizzato meccanicamente per strozzarti. “Legalmente” (ma illegittimamente).
Quanto al fisco, si direbbe che ci si sia messo di buzzo buono nell’intento di uccidere la piccola iniziativa privata, sia per l’entità complessiva del prelievo (somma di decine di tasse e tributi diversi che portano il totale vicino ai tre quarti del fatturato), sia per il modo estremamente complicato di applicarlo.
Per non parlare della sostanziale ingiustizia costituzionale di norme che ignorano totalmente sia il precetto della progressività, sia quello della “capacità contributiva”. Lo capisce anche un bambino che se non hai utili, ma le tasse le devi pagare egualmente, finisci per fallire. Chi scrive queste leggi, perché fa finta di non saperlo?
Finché c’era, il sistema delle partecipazioni statali (IRI eccetera) offriva alle piccole imprese un’assistenza preziosa, su molti fronti: credito, energia, comunicazioni, assicurazioni, infrastrutture, formazione, ecc.).
Quel sistema è stato smantellato, e sostituito da aziende private che NON hanno più l’obiettivo di servire il paese e gli operatori, ma l’unico scopo di accumulare profitti, vendendo al più alto prezzo possibile un servizio costato loro il meno possibile…
I regolamenti sulla sicurezza, sulla privacy, e ogni altra amenità che burocrati poco intelligenti concepiscono per gestire la grande dimensione, ma poi impongono nella stessa forma anche alla piccola, finiscono per debilitare la piccola impresa. Assorbono energie sproporzionate al bisogno ed impongono loro la necessità di rivolgersi (a pagamento) a professionisti che raramente si assumono la responsabilità delle loro scelte (la legge rende l’imprenditore comunque responsabile di scelte che sono prese da un professionista).
Senti, amico mio,
ma non sarà che sono proprio queste decisioni così poco intelligenti che rendono le imprese italiane “poco competitive”?
E poi penso alle multinazionali, che nell’ottica distorsiva della competizione, sarebbero il modello da seguire!
Oltretutto, bada bene: più competitive… a fare che?
Ad accumulare profitti. Null’altro!
Solo che per riuscire ad accumulare profitti, in un contesto competitivo, devi :
– sfruttare il lavoro dipendente
– sfruttare l’ambiente
– offrire prodotti che durino poco (per poterne vendere subito di nuovi)
– concepire gli esser umani come “consumatori” da manipolare attraverso la pubblicità (programmazione neurolinguistica).
Ma non è questo il peggio! il problema vero è nel “fine” ultimo della competizione: accumulare profitti, cioè montagne di soldi, che confondiamo con la ricchezza, senza capire che la ricchezza, quella vera, la potresti trovare molto più facilmente nei beni e nei servizi prodotti dalle piccole imprese italiane che, udite udite: amano il proprio lavoro !
Tanto gli imprenditori quanto i lavoratori!
E’ questo il vero motivo per cui il made in Italy è apprezzato nel mondo:
se le cose le fai con amore, e non per soldi, quell’amore si stampa nel prodotto, lo percepisci nel servizio.
Eh sì, con amore!
Perché se le piccole imprese italiane (che poi sono quasi tutte micro imprese) avessero il solo obiettivo di accumulare soldi, avrebbero già chiuso tutte da quel dì.
NON VALE LA PENA, DA QUEL SOLO PUNTO DI VISTA, CONTINUARE A PRODURRE. Molti stanno consumando il patrimonio familiare, per sopravvivere.
Lo fanno, per amore di ciò che fanno.
Che è un concetto che, quando sarà percepito nella sua dimensione, farà letteralmente impazzire quei politici e quei funzionari (e i loro “suggeritori” discreti) che, ottusamente, si sforzano ancora oggi di ucciderle.
La buona notizia, però, che ci accompagna nell’anno che viene, che sarà l’anno della riscossa, è questa:
sebbene siano tanti, troppi, e drammaticamente ingiusti, i sacrifici individuali dei piccoli imprenditori che non ce la fanno, abbattuti in una guerra decisamente impari, il sistema nel suo complesso, resiste.
EROICAMENTE !
Sostiene l’economia italiana.
Ora, deve divenire consapevole della sua forza immensa, e decidere di organizzarsi.
E DEVE CAPIRE QUANTO SIA FONDAMENTALE L’ALLEANZA STRATEGICA CON IL LAVORO DIPENDENTE.
Che è l’altra forza POCO APPREZZATA e poco conosciuta del nostro Paese.
Non a caso la Repubblica italiana è “fondata sul Lavoro” (art 1 Costituzione)
senza alcuna distinzione fra Lavoro autonomo e dipendente, perché la distinzione (che si ripercuote nelle ideologie di destra e di sinistra), serve solo a dividere.
Un piccolo sforzo… facciamo tutti un piccolo sforzo e l’Italia rinasce.
Liberiamo l’Italia può attivarsi nell’aiutare i piccoli imprenditori, a formare cooperative, associazioni, … in ambiti di quartiere, cittadini… ed anche extraregionali…
Ciao Guido, io sono pronto alla battaglia!!!!!!