
C’è da riconoscerlo, al governo e al sistema nel quale siamo intrappolati: c’è da riconoscere l’impegno e la sistematicità con cui hanno plasmato le persone a tutto tondo.
Pensate, sono riusciti a far sì che il nostro modo di pensare, scegliere e prendere decisioni sia il risultato di quanto vogliono loro. Certo, perché se pensiamo di essere noi a decidere di comprare quella determinata cosa o che è un nostro volere andare al supermercato la domenica poiché in settimana andiamo a lavorare, allora ci sbagliamo di grosso.
Eh sì, il sistema è fatto ormai di contraddizioni e paradossi così assurdi da passare quasi inosservati. Dico quasi perché c’è chi riesce a vederli, ma li scaccia via come si fa con una mosca fastidiosa.
Continuamente si sente gente dire “non ho tempo”, “sono stanco” o “ho tante cose da fare”; se provassimo a dare uno sguardo generale e distanziato, si noterebbe come le persone che vediamo camminarci di fianco abbiano uno sguardo spento e una mente vuota.
Ci hanno reso tutto così comodo e facile da non ritenere più necessaria la nostra ‘presenza’ per compiere gesti quotidiani: automatismi a ogni livello.
“Il lavoro nobilita l’uomo”: si trova anche nella nostra Costituzione la tutela del lavoro, riconosciuto come nostro diritto e non dovere. Questo perché l’uomo ha bisogno di agire, fare, e non come semplice fine utilitaristico volto alla sussistenza, bensì per sviluppare qualità virtuose come la responsabilità. Oggigiorno si vedono persone arrabbiate, irascibili, per le quali la colpa di ciò è sempre imputabile a qualcun altro. Il lavoro, ma anche semplicemente ‘fare qualcosa di pratico’, è necessario poiché rabbia, irritabilità, impazienza, depressione sono semplicemente accumuli di energia non espressa, la quale sta cercando modi per venir fuori; non rendendocene conto la reprimiamo fino al punto in cui non uscirà da sola in queste forme negative e distruttive.
Il sistema, e il governo attraverso il quale esso si esprime, ha posto le basi affinché tale atteggiamento prolifichi. A cominciare dalla scuola, via via depauperata di concetti e ideali: invece che porre dei semi, di curiosità e conoscenza, nei giovani e di affiancare e incoraggiare il loro germogliare, fornisce nozioni vuote e superficiali. Invece di incoraggiare al dialogo e al personale pensiero critico, caldeggia un atteggiamento individualistico, di competizione e al pensiero unificato.
Le idee hanno bisogno di un confronto per svilupparsi, hanno anche bisogno di essere contraddette perché possano arricchirsi di un nuovo punto di vista per crescere ed evolversi. Questo isolamento ha fatto sì che ci sentissimo soli fin da un’età in cui si è più sensibili alla necessità di avere qualcuno, di sentire un senso di appartenenza perché è il momento in cui cominciamo a conoscerci. Relazionarsi con gli altri è pur sempre una possibilità in più per scoprire qualcosa di noi stessi, ma che nel nostro isolamento stiamo continuamente perdendo.
Da una società consumistica nella quale siamo, ci hanno inoltre abituato a pensare in termini utilitaristici; dal banale oggetto materiale, fino alle relazioni umane arriviamo a chiederci “ma a cosa mi serve?” “come può tornarmi utile?” “cosa ci guadagno a fare quel favore?”, ecc.
La risposta è “nulla!”: non c’è sempre un fine materiale e immediato. C’è piuttosto l’occasione di mettere alla prova noi stessi e di imparare una lezione di cui possiamo giovare in un secondo momento…se siamo aperti e presenti. Tuttavia il problema è proprio questo: il sistema, e tutti quelli che nel sistema si sono adagiati, ha generalizzato e smentito questi concetti, perché questa è un’altra delle ‘armi’ utilizzate dal sistema per veicolare il nostro modo di pensare. Ha catalogato questi concetti sotto ‘spirituali’, ‘filosofici’ e perciò ‘diversi’ e ‘strani’; aggettivi questi, in una società che ha instillato e alimentato la paura dell’emarginazione, si ha timore anche solo di prendere in considerazione.
Bisognerebbe, anzi, farlo anche solo per abituarci a mettere in discussione le cose proposte, e per comodità accettate come paradigmi, e sviluppare la capacità di porci domande e lasciare all’esperienza il compito di fornirci una risposta.
Il punto è: abbiamo davvero intenzione di lasciare che ancora ci svuotino la testa per riempirla con ciò che più aggrada loro? Quando finalmente capiremo che questa vita è un percorso personale, che è nostra, e solo nostra, responsabilità condurla con tutta la consapevolezza necessaria?
Leggete quindi, siate curiosi, fate domande e trovate le vostre risposte; mettete in discussione tutto e ascoltate il vostro vero, e profondo, istinto per capire se una cosa è giusta o sbagliata.