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Non esiste nulla di immutabile – di Veronica Duranti

di Comitato Promotore
15 Febbraio 2020
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La realtà in cui viviamo sta ponendo irreparabilmente fine all’uomo come essere in grado di creare la realtà che lo circonda.

L’uomo è stato lentamente privato della consapevolezza di essere in grado di decidere, di poter avere il controllo sulle scelte che riguardano la propria vita. E’ stato privato delle competenze perché lo schiavo perfetto è quello che non è in grado di sopravvivere, è quello che dipende da qualcun altro.

La privazione di tale consapevolezza comporta l’incapacità per la maggior parte delle persone di percepire la loro condizione di schiavi e di prigionieri di una realtà inventata e gestita da altri che si sono appropriati del potere e del diritto di plasmare il mondo a loro immagine e dandogli la forma più funzionale al perseguimento dei loro interessi.

Se ognuno di noi acquisisse la consapevolezza che il mondo può prendere tante forme quante sono le idee di chi governa inizierebbe a percepire la natura dittatoriale della realtà in cui vive.

La privazione della capacità inventiva, decisionale e critica che ha inevitabilmente conseguenze anche sulle generazioni future, portando alla progressiva e irreversibile distruzione delle competenze, del sapere e del saper fare acquisito dalle generazioni precedenti è avvenuto lentamente e in tanti modi.

Uno di questi è la progressiva distruzione dell’artigianato e della piccola e media impresa e la svalutazione dell’importanza all’interno della società di certi mestieri come il muratore, il fabbro, il calzolaio, in favore della grande distribuzione e della produzione in serie che ha monopolizzato il lato dell’offerta di beni e servizi e omologato i bisogni.

L’uomo è stato declassato da costruttore e inventore a consumatore, è stata spenta la sua parte creativa trasformandolo così in un soggetto sempre più in grado di ricevere e sempre meno in grado di dare e quindi sopprimendo anche quelli che sono i suoi reali bisogni e desideri.

Un altro modo è stato il culto dell’economia che, privata della sua natura di scienza e di strumento nelle mani della classe politica, è stata trasformata in una sorta di divinità che sta sopra alla libera scelta politica e che quindi ne giustifica anche i fallimenti e li fa apparire come inevitabili.

Come un tempo degli eventi sfortunati la colpa era della provvidenza, oggi la colpa è del sistema.

Il sistema economico, le leggi, i trattati, le organizzazioni sovranazionali, sono ormai percepite come entità sempieterne, quasi soprannaturali e non come delle convenzioni decise a tavolino da chi governa.

In questo modo la maggior parte delle persone si convince di non poter influire in alcun modo sul mondo che lo circonda perché guidato da forze superiori come ad esempio  il mercato.

L’economia viene fatta percepire come qualcosa di difficile da capire da parte dell’uomo comune, insinuando cosi il dubbio nella sua mente che forse se esiste una classe dirigente è perché quella è più intelligente, quasi superiore, mentre il popolo è inetto, ignorante e stupido e quindi è giustificata la sua sudditanza all’oligarchia.

La realtà è che non esiste niente di immutabile.

La povertà e le disuguaglianze e tutto ciò che c’è di sbagliato non sono fenomeni naturali, disgrazie, casualità. Sono frutto di precise scelte politiche.

Una classe politica che lascia vivere di stenti qualcuno è come un medico che, oggi, lascia morire un paziente di raffreddore.

Gli esseri umani che oggi si sono più o meno consapevolmente affidati alle élite dominanti, alle organizzazioni sovranazionali e antidemocratiche, a leggi e vincoli evitabili non sono diversi da quelli che un tempo si affidavano alla volontà divina rinunciando alla propria natura di esseri intelligenti, che possono inventare e creare la realtà che li circonda.

Il mondo è di tutti, tutti sono liberi e hanno il diritto di poter decidere, nel rispetto degli altri come vivere.

Per questo esistono gli stati nazionali che dovrebbero essere quantomeno un mezzo per chi vi abita di creare una società dove essere liberi di esprimere al massimo se stessi, dove vigono diritti e doveri comuni a tutti e non invece una società  completamente distaccata dai suoi membri gestita da pochi, a cui i più devono adeguare e plasmare la propria persona come animali in gabbia.

Viviamo in una società che ci dicono libera, dove c’è libertà di scelta. È vero, c’è libertà di scegliere, non c’è libertà di offrire.

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Comments 1

  1. Mario Fornaro says:
    2 anni fa

    Ottima analisi sullo stato attuale dell’Italia politica.

    Rispondi

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