Perchè in Corea del Sud ci sono (relativamente) così pochi morti di coronavirus?
di Sandro Orlando*
Fino a martedì 10 marzo la Corea del Sud aveva registrato 7.755 casi di contagio da coronavirus, ma solo 60 morti. A confronto l’Italia, che alla stessa data aveva 10.149 pazienti infetti, presentava un numero di decessi più di dieci volte superiore (631). Come si spiega questa differenza?
L’Asia Times ha cercato di trovare una risposta a questo enigma, incontrando alcuni esponenti del governo impegnati nella gestione dell’emergenza sanitaria.
Il primo dato che colpisce è l’elevato numero di test diagnostici effettuati, 20 mila al giorno.
Con esiti in tempi rapidi, dalle 6 alle 24 ore; costi contenuti, l’equivalente di 120 euro, per la metà coperti dalla mutua; e 500 cliniche in tutto il Paese dove effettuare i tamponi, 40 delle quali con un contatto minimo tra pazienti ed operatori sanitari. Per i pazienti positivi il test è peraltro gratuito, «quindi non c’è motivo, per i casi sospetti, di nascondere i sintomi», osserva il vicedirettore generale del centro sudcoreano per il controllo e la prevenzione della malattia (Kcdc) Kwon Jun-book.
A differenza della Cina – poi imitata dall’Italia –, che ha adottato una strategia della «Grande muraglia» isolando intere regioni, la Corea del Sud ha avuto un approccio apparentemente più liberale, evitando di chiudere anche la città più colpita Daegu, uno dei focolai dell’infezione. Piuttosto che sulle zone rosse, il governo ha puntato su un modello di test diffusi, partecipazione pubblica e informazione aperta, facendo affidamento anche sull’estrema disciplina della popolazione sucoreana.
Perché i dati di ogni paziente infetto, con i relativi spostamenti negli ultimi 14 giorni – tracciati da cellulari, carte di credito, circuiti di videocamere ecc. – sono stati pubblicati su appositi siti, in modo da consentire di ricostruire la rete di contatti avuti, e quindi di possibili contagi. Questa strategia ha sollevato problemi di privacy, ma ha consentito di informare le persone potenzialmente a rischio, spingendole a sottoporsi ad un test.
I malati sono stati sottoposti per lo più a una quarantena in casa, con l’aiuto però di un medico a distanza, mentre solo per i casi gravi si è proceduto al ricovero, grazie alla capacità di triage sviluppata dai Pronto soccorso già nel 2015, con l’epidemia di Mers, la sindrome respiratoria del Medio Oriente.
Ma è stata probabilmente la rapidità della diagnosi a tener finora basso il tasso di mortalità, che in Corea del Sud è dello 0,77%, contro una media globale del 3,4%. Perché il trattamento precoce, tramite autoisolamento, dell’infezione da Covid-19 è l’antidoto più efficace contro ogni rischio di complicazioni.
Un’altra caratteristica che ha contribuito a contenere i decessi è stato il fatto che a contagiarsi qui sono state per lo più le donne, con meno di 40 anni: cioè quella parte della popolazione che sta rispondendo meglio all’epidemia. La Corea del Sud ha un’età media di circa 82 anni, molto simile a quella italiana, ma in Italia il Coronavirus ha colpito soprattutto i maschi (e ucciso soprattutto maschi con una età media di oltre 80 anni).
Fonte: corriere.it
Bell’esempio di efficienza e tempestività nella diagnosi ! senza porsi falsamente problemi di privacy, hanno sfruttato la tecnologia : metodo molto intelligente secondo me, ea quanto pare anche molto efficace..