Vogliamo ripartire dall’agricoltura che rappresenta un’importante fonte di reddito ma che soffre gli effetti della globalizzazione e rappresenta uno dei principali settori responsabili dell’inquinamento dei terreni, dell’aria e dell’acqua.
Ripensare l’agricoltura in chiave agroecologica
L’agroecologia consiste in un dialogo tra saperi agricoli tradizionali e scienze agrarie moderne che utilizza principi ecologici per progettare e gestire agroecosistemi sostenibili nei quali gli input esterni sono sostituiti da processi naturali con particolare attenzione sia ai sistemi sociali che ambientali.
L’agroecologia rappresenta la via meno rischiosa per produrre cibo nel ventunesimo secolo, vista la criticità degli scenari presenti e futuri in termini di malattie, clima, energia, economia e società. Sappiamo bene che vivere in ambienti non inquinati, mangiare sano e respirare aria pulita è la prima barriera e probabilmente la più forte, per contrastare il diffondersi dei patogeni, tra cui i virus, e per avere una salute ottima per poterli fronteggiare.
Prendiamo in prestito dalla zootecnia un esempio, un allevamento di polli intensivo, sovraffollato, dove le condizioni per i polli sono negative, è molto più soggetto ad epidemie e allo sviluppo di nuovi ceppi microbici patogeni. Questo è chiaro.
Sperimentazione, volontà delle comunità e sostegno delle istituzioni sono indispensabili per stabilire la strada da seguire. Queste considerazioni si devono tradurre in azioni concrete partendo dalla produzione.
– Formazione e condivisione
Diventa centrale la diffusione e la condivisione delle buone pratiche agricole che implica una presa di coscienza da parte degli agricoltori. Il modello del biologico può rappresentare la via per incrementare salute ambientale, reddito e lavoro. Questo passaggio deve essere vissuto con spirito inclusivo e non criminalizzante, in quanto scellerate leggi nazionali ed europee permettono ancora l’utilizzo di veleni dannosi per l’agricoltore, il territorio, le comunità e il consumatore.
Aziende locali che già praticano il biologico registrano ottimi risultati in termini di produzione e reddito in quanto il territorio è particolarmente vocato. Queste aziende dovranno condividere e rassicurare gli agricoltori promuovendo e condividendo i saperi e le esperienze con il resto della comunità agricola. Inoltre è indispensabile sviluppare metodi locali per recuperare, catalogare e valutare sementi antiche, miscugli locali, varietà dimenticate e tecnologie agroecologiche promettenti messe a punto da agricoltori innovatori, in modo da farle conoscere ad altri agricoltori e favorirne la disseminazione. Bisogna predisporre scambi e visite tra agricoltori, conferenze, approfondimenti e seminari. La formazione individuale e collettiva è la chiave.
– Lotta sul territorio
Sarà responsabilità della comunità tutta agire a livello comunale facendo pressione sul consiglio
comunale in quanto il Sindaco è il responsabile della salute pubblica. Vediamo in giro per l’Italia molte esperienza virtuose dove Sindaci hanno proibito l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi, erbicidi e veleni con risultati straordinari dal punto di vista ambientale e produttivo. Tali territori si sono caratterizzati con un forte incremento della domanda da parte dei consumatori i quali hanno ben capito e si orientano sempre di più verso cibi sani, puliti e locali. Questo ha rappresentato anche una forma molto forte di marketing territoriale che ha innescato un circuito virtuoso che si è ripercosso positivamente sul turismo con lo sviluppo di tutte le attività ricettive. Tra gli erbicidi più pericolosi ricordiamo il Glifosato, cancerogeno per gli organismi animali e devastante dal punto di vista della fertilità microbiologica del suolo che è alla base della vita. La regione Toscana, consapevole dei benefici salutari e di ritorno di immagine, ha anticipato la direttiva dall’Unione europea che vieterà l’uso del glifosate dal 15 dicembre 2022. L’obiettivo è fare la prima regione “glifosate free” dal 31 dicembre 2021.
Attiviamoci subito per una campagna popolare per proibirlo nel comune di Marsciano. Dovrà essere una grande battaglia, testa d’ariete per arrivare all’abolizione totale dei veleni coinvolgendo cittadini, agricoltori e istituzioni. Questo ha anche un grosso impatto sul sistema sanitario nazionale tanto provato in questo periodo. Il monitoraggio di acque di superficie e di profondità e la qualità dell’aria diventano strumenti indispensabile per comprendere la fragilità dei nostri territori.
Bisogna rafforzare le associazioni spontanee di produttori e costituire nuclei di difesa territoriali e comitati popolari per poter portare avanti queste battaglie.
-Filiera locale e promozione territoriale
La crisi della globalizzazione evidenziatasi in questi giorni diventa uno stimolo per consumare locale. Consumare prodotti locali di territori liberati dalla chimica ha un forte impatto sull’economia della comunità, permette di mantenere i costi dei prodotti bassi e il reddito in loco mangiando cibo di qualità nutrizionale elevata sana e pulita.
Dovremo creare una sinergia tra le aziende per arrivare al cittadino. Condividere saperi ma anche attrezzature, impianti di trasformazione e stoccaggio. Consegne porta a porta da parte delle aziende magari organizzate in gruppi di acquisto. Punti vendita locali, botteghe, attività ristorative e turistiche beneficeranno di riconoscibilità nella vendita e promozione dei prodotti del territorio. Anche con i piccoli supermercati locali possiamo trovare forme di collaborazione in quanto hanno la possibilità di effettuare acquisti in autonomia rispetto alla catena della GDO senza imporre assurdi contratti che strangolano gli agricoltori.
Le istituzioni dovranno promuovere ed incentivare il consumo locale introducendolo anche nelle mense scolastiche.
– Umbria cuore verde d’Italia
Sono anni che la regione Umbria mette in campo discutibili politiche agricole indirizzando quasi l’80% dei fondi comunitari del Piano di Sviluppo Rurale a pochi e noti gruppi agro-industriali. Vengono di fatto penalizzati non solo i piccoli produttori, gli agricoltori di qualità e biologici, con una netta riduzione dei finanziamenti programmati, ma anche i giovani agricoltori che hanno fatto domanda di insediamento, illudendoli, rendendo di fatto impossibile il loro effettivo ingresso nel mondo produttivo. Anche la scelta di finanziare prioritariamente l’agricoltura integrata, che di fatto utilizza quasi tutti i prodotti chimici del vecchio convenzionale a discapito dei fondi riservati al biologico, che anche la Comunità europea ritiene prioritario e obbligatorio, violando di fatto le direttive.
Anche le associazioni di categoria hanno le loro gravi responsabilità essendosi trasformate in agenzie di servizi non più a difesa degli agricoltori. Basti pensare alle attuali presidenze delle associazioni e ordini professionali di settori legate (coincidono) con l’agro-industria, la tabacchicoltura e la commercializzazione di fitofarmaci.
Costruire e sviluppare un distretto biologico umbro è la strada più incisiva dove far confluire e collaborare aziende agricole, attività ristorative e ricettive, botteghe, professionisti, cittadini, enti e istituzione in modo da incidere politicamente al tavolo verde, organo dove vengono prese le decisioni politiche agricole regionali. Inoltre il distretto biologico permetterebbe di promuovere in maniera organica il territorio.
Occorre non abbassare mai la guardia ed essere pronti in ogni momento ad organizzarsi e scendere in piazza per la nostra salute, per il nostro benessere per il nostro territorio e la nostra economia.
Buona rivoluzione
*Giovanni Cenci è un agricoltore e tra i promotori del movimento Agricoltori Indignati
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