Fin da subito alla popolazione italiana fu chiaro che l’atroce, vile evento andava ricondotto ad una vendetta di Mussolini verso un uomo onesto, coraggioso, dalla schiena dritta, che dagli scranni delle aule parlamentari, ormai asservite alla dittatura, aveva saputo denunciare tutte le uccisioni e gli imbrogli del regime fascista. Le recenti ricostruzioni storiche di Mauro Canali e Giovanni Fasanella, basate in gran parte su documenti provenienti da archivi britannici, ci hanno detto di più, hanno mostrato che Mussolini e i suoi sgherri eliminando Matteotti, intendevano coprire un’enorme ruberia di stato, un accordo sottobanco con un’importante compagnia petrolifera americana al fine di sfruttare le risorse energetiche italiane.
Quel che importa, che può essere d’insegnamento ai giorni nostri, è il fatto che, in quei convulsi, febbrili giorni del 1924, l’Italia intera venne percorsa da un’onda di furente indignazione, il popolo sdegnato realizzò pienamente quanto fosse crudele quel gruppo di malviventi, come li chiamerà cinquant’anni più tardi Pier Paolo Pasolini, il cui unico scopo era di ingrassarsi a spese delle classi popolari.
Non si poteva più celare la verità in quel frangente, che fu, prima ancora dell’8 settembre 1943, la fine dell’innocenza per il nostro popolo. Eppure quella rabbia genuina non seppe tradursi e indirizzarsi ad una strategia politico-militare coesa e lungimirante. Non vi fu alcuna sollevazione di piazza, utile a sovvertire le sorti della nazione. Le opposizioni al regime fascista, divise da anni da rancori e feroci inimicizie, non seppero andare oltre la sterile protesta dell’abbandono delle aule parlamentari, il cosiddetto Aventino, e permisero così al regime di serrare le file e riprendere il controllo del paese, con il sostanziale contributo del monarca Vittorio Emanuele III.
Quanto avvenne allora, non dovrà ripetersi oggi.
L’attuale governo, perseguendo una gestione autoritaria e ansiogena del Covid-19, ha gravemente leso la libertà personale di ciascuno di noi, impedendo il diritto di movimento, di associazione, di espressione del dissenso politico.
Ha fermato l’economia l’italiana, senza che vi fossero evidenze sufficienti, dal punto di vista scientifico, per procedere ad un così scriteriato blocco delle attività produttive. Non ha saputo approntare rimedi, atti a sfamare la popolazione, impossibilitata a provvedere ai bisogni più elementari come il cibo. Infine, non ha saputo alzare il capo di fronte ai diktat dell’Unione Europea, e ancor oggi persegue una linea di confusa ed equivoca trattativa che sembra attendere non si sa bene che cosa.
Tutto questo, mentre 21 milioni di italiani, lo dicono anche i giornali dell’establishment, non sono più in grado di sfamare i propri cari.
Se vi è un aspetto positivo, in questa folle vicenda a metà tra rigurgiti del passato e un futuro distopico dove verremo tracciati, marchiati e vaccinati come bestie, sta nella nuova consapevolezza che anima molti nostri connazionali, non più succubi delle menzogne a un tanto al chilo. Che l’Unione Europea non sia nostra amica, ma che da anni stia gravemente indebolendo il nostro tessuto vitale, è ormai convinzione di milioni di italiani.
Non dobbiamo però illuderci che questo sentimento possa condurre, di per sé, ad un esito felice. Cullarsi nell’illusione che l’Unione Europea possa implodere nelle proprie contraddizioni sarebbe quanto mai pernicioso. Gli avversari possiedono ancora molte armi, e non esiteranno ad utilizzarle, non appena lo riterranno opportuno.
Per questo la questione del passaggio da colonia dell’Unione Europea ad una nuova, vitale Repubblica Italiana non si può slegare da quello della guida politica di questa nostra nazione. La salvezza non verrà dai guru anti-europeisti del web, spesso vogliosi di ottenere un trapuntino in parlamento, comunque in grado di affascinare platee telematiche non più abituate ad un sano esercizio di diffidenza e di spirito critico.
Soltanto moltiplicando gli sforzi, già in atto, si potrà giungere ad una sostanziale unità fra le forze politiche e sociali che si rifanno al cosiddetto “sovranismo costituzionale”. Nel dialogo che si apre sempre più fra coloro che auspicano una nuova liberazione italiana dagli invasori stranieri, andrà costruita una solida base fatta di trasparenza e di difesa del diritto di rappresentanza democratica. La costruzione di un nuovo fronte popolare, dovrà andare di pari passo ad un processo di rottura dell’accerchiamento fin qui subito da tutti noi, un riappropriarsi delle piazze e dei luoghi della protesta e del dissenso politico.
Sarà questo il nostro 25 aprile.
*Alberto Melotto è membro del Comitato Popolare Territoriale di Torino
Interessante visione unitaria da realizzare a tutti i costi! Bravo Alberto.