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IL PARROCO RIBELLE E LO STATO CARABINIERE

di Alberto Melotto*
26 Maggio 2020
in Sociale
1
Letture: 1.115

Una tale, parossistica volontà di rinchiudere sessanta milioni di persone ha pochi eguali nella storia passata, recente e remota. Occorrerà al più presto rigettare questa continua sopraffazione, trovare modalità per ritrovare il senso stesso del nostro essere popolo. Eppure occorre anche sottolineare che questa azione di governo, ha incontrato ben pochi ostacoli sul suo cammino, anche laddove era lecito attendersi ben più aspra resistenza, a difesa di quella zona crepuscolare che sta al confine tra ciò che è terreno e ciò che sta al di là.

Ci riferiamo a quelle norme che hanno, di fatto, immobilizzato l’intera attività delle innumerevoli parrocchie della Chiesa Cattolica sul territorio italiano. Sono state proibite le celebrazioni della Messa, comprese quelle che accompagnano i funerali per i defunti. Per questi ultimi, si è optato per una semplice benedizione del parroco alla bara della persona scomparsa. In alcuni casi, singoli parroci si sono rifiutati di obbedire a queste norme, è il caso ad esempio di Don Lino Viola, parroco di una frazione, Gallignano, del comune di Soncino, in provincia di Cremona.

Nella stragrande maggioranza dei casi, di fatto, la scelta dei parroci ha coinciso con la passiva accettazione della decisione dei propri superiori, espressione concreta di quell’acquiescenza e quell’amore per il quieto vivere che ha spesso contraddistinto l’atteggiamento del Vaticano verso il potere costituito.

Va detto che, questa scelta di campo, alquanto opinabile a nostro giudizio, non porterà grande fortuna alle sorti del cattolicesimo in Italia. Le gerarchie ecclesiastiche avrebbero dovuto far sentire la propria voce, esigere di poter operare la propria missione di cura e di aiuto verso la comunità dei fedeli. Certo, si sarebbe arrivati a compromessi, mediazioni, con l’esigenza legittima di evitare eccessivi assembramenti in luoghi chiusi.

Questa capitolazione così repentina, lascia invece supporre che chi ha posato le armi ancor prima di combattere non avesse ben presente quale fosse la posta in palio.

Fin dagli albori della nostra civiltà classica, si pensi all’Antigone di Sofocle (V secolo A.C.) le esequie hanno rappresentato un avvenimento irrinunciabile, tale da dover essere eseguito a qualunque costo, anche se il prezzo da pagare è l’aperta sfida all’autorità costituita.

Rinunciare ad officiare un sacramento significa far passare il concetto che una tale cerimonia possa essere rinchiusa in un limbo temporale, possa essere posticipata, rimandata, o peggio ancora, cancellata, venendo di fatto equiparata ad una sagra di paese o ad una gara di corsa campestre.

Da sempre la cerimonia funebre rappresenta un momento in cui la comunità dei vivi tributa un omaggio al defunto, e al tempo stesso viene a patti con la propria condizione umana, essenzialmente imperfetta, manchevole, e perciò bisognosa di esprimere pietà e rispetto per chi ha concluso il proprio cammino su questa terra, riconciliandosi in questo modo con la propria identità collettiva.

La mera benedizione del parroco, al di là del lodevole impegno di molti preti chiamati ad operare in condizioni comunque difficili, somiglia molto ad un atto di burocrazia più che un gesto di riconciliazione tra l’umano e il divino.

Obbedendo al profluvio di ordinanze, circolari e direttive emanate da autorità statali, regionali e via discendendo, la Chiesa avrà forse creduto di sottrarsi alle astiose critiche dei molti che spiano le movenze dei vicini di casa. Avrà, in altre parole, pensato di dimostrarsi quale entità responsabile, moderna, non più schiava delle superstizioni del passato.

Così facendo, e così operando, ha invece dimostrato la propria subalternità nei confronti di quella nuova fede – la minuscola è d’obbligo- verso lo scientismo incarnato dai vari Burioni, sacerdoti grotteschi di un credo che vorrebbe ergere un certo tipo di tecnica medico-scientifica, slegata da un vero confronto democratico, a nuovo vitello d’oro.

Che le attuali élites economiche e politiche intendessero farlo fin da principio, o meno, di certo hanno sfruttato a dovere l’allarme per la salute dettato dall’emergere del Covid-19.

E’ nato un regime che si fonda sulla paura della morte, una paura che viene lasciata libera di correre, di diffondersi nelle menti delle persone, non più protette da quel raziocinio che le stesse autorità civili e religiose dovrebbero infondere nella popolazione. E’ in questo muto passaggio di consegne, la speranza ammantata di luce che cede il passo alla vile disperazione, che si palesa lo scacco della Chiesa Cattolica.

Non sarà facile risvegliarsi da questo sonno della ragione, e della spiritualità. Forse, a voler offrire a noi stessi un barlume di ottimismo, questa vicenda così traumatica mostrerà agli ancora molti credenti cattolici che a volte la ribellione verso il conformismo può servire a cambiare lo stato delle cose. Occorrerà, per riuscirci, essere più presenti, nel tessuto della vita civile, di quell’esercito di zelanti delatori, sempre pronti a gettare il sasso sul peccatore.

*Alberto Melotto è membro del Comitato Popolare Territoriale di Torino

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Comments 1

  1. Gaetano Di Domenico says:
    6 anni fa

    Ottimo articolo, Alberto. Non frequento le Chiese, certo è come sia scandaloso che si possa ritenere valida la chiusura dei luoghi di culto, dei teatri o dei musei, quando potrebbero essere adottate alcune precauzioni, svegliandosi dal brutto sogno che, auguriamo tutti, volga al termine.

    Rispondi

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