Lettera aperta al Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini
Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza. (Benjamin Franklin)
Signor Presidente,
si sta parlando ora di fase due, quella della riapertura. In realtà bisognerebbe parlare un attimo – e prima – della fase uno, perché i problemi nascono dal fatto – come sta emergendo con sempre maggiore evidenza – che si è completamente sbagliato l’approccio al contenimento del coronavirus.
La messa in quarantena di tutto il paese e, per quanto Le compete, dell’Emilia Romagna, con il disastro umano, sociale, economico in atto e che seguirà, non è un approccio naturale e scontato, ma il frutto di errori lontani e recenti. Lontani, là dove il Servizio Sanitario Nazionale, fiore all’occhiello del paese, ha cominciato ad essere depotenziato dalle politiche di privatizzazione a vantaggio del privato, ma anche all’interno delle strutture ospedaliere pubbliche, con l’introduzione delle prestazioni sanitarie nel doppio regime intramenia ed extramenia. Ciò ha comportato anche l’allungarsi indefinito delle liste d’attesa, costringendo chi ha urgenza a rivolgersi al privato.
Sappiamo tutti che la privatizzazione è stata favorita e incentivata sotto la pressione delle politiche austeritarie imposte dall’appartenenza all’Unione ed all’euro, con le varie spending rewiew che hanno imposto tagli di spesa senza criterio. Nel 2019 il bilancio della sanità dell’Emilia Romagna per i Livelli essenziali di assistenza era di 8.2 mld: solo lo 0.87% in più rispetto al 2009. Ciò equivale, nella sostanza, ad un taglio drastico in termini di spesa e ci ha impedito di programmare interventi utili a fronteggiare un evento più che previsto da anni (oltre che prevedibile, in un mondo ormai senza confini) come una epidemia da coronavirus. Ma se la Regione non sa programmare né far funzionare la sanità, che vale circa l’80% del bilancio, che ci sta a fare!?
Sta di fatto che in Emilia Romagna i posti di Terapia Intensiva negli ultimi 15 anni sono passati da 1080 a 440. Sono stati chiusi ospedali, ridotti posti letto e personale. Inoltre, contrariamente a quanto previsto nello spirito del decentramento, l’autonomia conseguente alla regionalizzazione introdotta con le modifiche del Titolo V ha accentuato la tendenza ai tagli e disarticolato il sistema nazionale, da anni ormai privo di un centro di coordinamento e di protocolli condivisi sul territorio, scavando peraltro un abisso ormai incolmabile fra il nord e il sud del paese. L’epidemia, dunque, ha portato a galla anche nella nostra Regione le debolezze del sistema: la carenza per l’assistenza domiciliare e di prevenzione, l’insufficiente sincronia tra medici di medicina generale e ospedalieri, tra questi e le altre professioni sanitarie, tra le istituzioni, le realtà associative ed i servizi sanitari.
Tutto questo ha determinato l’inevitabile: il sistema sanitario nazionale e regionale sono arrivati all’impatto con l’epidemia impreparati e senza alcuna pianificazione. Non solo mancavano i posti letto ed il personale, ma anche il materiale minimo di protezione degli addetti, nonostante l’allarme fosse arrivato fin dai primi del mese di gennaio.
Il ritardo nel procedere a sigillare le zone del primo contagio, la confusione di norme contraddittorie su una emergenza negata in modo irresponsabile da chi era in possesso dei dati, il dover agire senza presidi a tutela e senza informazioni attendibili sul virus, mescolando sani con malati ad alto rischio: tutto ciò ha causato la propagazione del virus proprio dai luoghi in cui questo doveva essere sconfitto.
Il dolore di morti che si potevano e si dovevano evitare resterà impresso nella storia del nostro paese, come quello dei medici e degli infermieri deceduti perché costretti ad operare in questo caos, di cui tanti anche nella nostra regione. L’abbandono degli anziani, che fin dall’inizio si sapeva fossero i soggetti più a rischio, è una vergogna di cui qualcuno dovrà rispondere: nelle RSA a livello nazionale, al 7 aprile sono morte 6773 persone (1⁄4 del totale) di cui 352 persone in Emilia Romagna, con solo 508 tamponi effettuati. E uno studio parziale dell’ISS afferma che Reggio Emilia risulta la seconda provincia per morti nelle RSA dopo Bergamo.
Se non altro, l’emergenza per l’epidemia Covid 19 ci ha costretti ad aumentare le risorse in fretta e furia: sono aumentati di oltre 4815 unità i posti letto e di 535 quelli per la Terapia Intensiva. E, sempre in gran fretta, sono stati assunti infermieri e 314 medici. Con tutte queste assunzioni, gli organici sono (finalmente?) tornati solo ai livelli del decennio precedente.
Un paese organizzato e previdente avrebbe saputo sfruttare l’esperienza dei paesi dell’estremo oriente che avevano già mostrato come combattere il virus: individuare i focolai, isolare i contagiati e coloro con cui erano venuti a contatto e selezionando a monte le persone per le quali il virus poteva risultare letale, curandole a domicilio nei casi in cui ciò era possibile.
Questo si doveva fare, questo si deve fare, questo si dovrà fare.
Del resto, il confronto con il vicino Veneto che ha adottato una pianificazione selettiva è impietoso. Il Veneto, pur con 500.000 abitanti in più, al 20 aprile ha 10.210 infettati e 1.087 morti, mentre la nostra Regione ha rispettivamente 13.552 contagiati e ben 3.023 morti. Invece, senza preparazione e programmazione e in preda al panico, in Emilia Romagna, come nel resto d’Italia, si è deciso di chiudere tutto e terrorizzare la popolazione, con un lock down che avrà conseguenze umane, sociali ed economiche difficilmente rimarginabili. Tanto più che, a differenza di altre nazioni con la sovranità monetaria, siamo ad elemosinare dall’Unione Europea finanziamenti che ci verranno concessi col contagocce e a prezzi di strozzinaggio.
Non solo. Troppi diritti sono stati calpestati e negati in modo inconcepibile per qualunque democrazia degna di questo nome, forzando in modo inaccettabile, nella logica della Costituzione, il margine fra tutela della salute e i diritti inviolabili di libertà. Non solo la libertà di circolazione, di riunione, di associazione, il diritto all’istruzione, al lavoro, alla privacy, alla libera manifestazione del pensiero, ma alla stessa libertà personale: la più inviolabile di tutte, comprimibile – e con grande prudenza – solo con provvedimento dell’Autorità Giudiziaria.
In questo disastro sanitario, economico sociale e giuridico, anche la Regione si è appropriata di poteri che non le spettano, imponendo con semplici ordinanze amministrative e di dubbia interpretazione limitazioni che violavano l’intero arco dei diritti costituzionali. Una confusione che ha travolto cittadini e forze dell’ordine, che non di rado, nell’incertezza, hanno abusato del proprio ruolo.
Il sistema giudiziario, oggi paralizzato insieme a tutto il tessuto produttivo, avrà modo di riparare i danni giuridici di sanzioni illegittime. Ma chi potrà risarcire il danno per la privazione dei nostri diritti in un lasso di tempo così prolungato?
Tutto questo deve finire!
Se il virus è un evento naturale, le scelte su come gestirlo sono politiche e non possono prescindere dal rispetto della Costituzione e del Parlamento, soprattutto considerato il tempo trascorso dall’inizio dell’emergenza.
Ma nonostante i numeri in deciso calo, sembra che non abbiate intenzione di far cessare l’allarme e che le poche riaperture concesse siano a condizioni che di fatto ne azzerano la portata.
No Signor Presidente. Noi non ci stiamo più a compensare con la nostra pazienza la vostra inefficienza!
Pretendiamo che, modificando l’approccio iniziale sbagliato, si consenta ai cittadini di tornare in tempi brevissimi alle loro attività professionali, sociali, economiche, culturali, pianificando il contrasto al virus con azioni selettive, mirate a tutelare i soggetti più a rischio e con il ricorso alle dovute precauzioni da parte di tutti, ma in un clima di ritrovata serenità.
Inoltre, è imprescindibile ripristinare le libertà democratiche: libertà così necessarie perché è proprio con la partecipazione attiva e consapevole dei cittadini che questo momento può essere superato e che è possibile ripensare ad un vero cambiamento, a partire dalle scelte scellerate fondate su di un modello che ha come fondamento il profitto e i mercati invece che l’individuo.
Non si può chiedere solidarietà, partecipazione solo quando conviene per far fronte ad errori della classe politica. Solidarietà, partecipazione, democrazia sono per sempre.
Per tutto quanto sopra e nell’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale sanciti dall’articolo 2 della nostra Costituzione, siamo a chiederLe un incontro finalizzato ad esporre le nostre proposte di cittadini informati e consapevoli, per fronteggiare questa emergenza.
Confidando nell’accoglimento della presente, cordialmente salutiamo
Bologna, 22 aprile 2020
LIBERIAMO L’ITALIA
Comitato Emilia-Romagna
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LIBERIAMO L’ITALIA Comitato Emilia-Romagna