ALCUNI PUNTI PER INQUADRARE TUTTE LE INCONGRUENZE SULLA GESTIONE DELL’EPIDEMIA.
All’alba dell’avvio dell’agognata fase 2, ci troviamo attoniti a misurare la temperatura del Paese, oltre a quella dei suoi sventurati cittadini piegati e offesi da un potere assolutistico ed arbitrario.
Anziché una trattazione estesa propongo un elenco di anomalie su cui la politica dovrebbe finalmente avviare una riflessione e rapidamente addrizzare il tiro.
- Di fronte ai rischi inevitabilmente collegati alla diffusione del virus, le misure approntate dal governo hanno esacerbato il conflitto fra due principi, mettendoli in conflitto tra loro: il diritto al lavoro e il diritto alla sicurezza. Il compito di ogni legislatore è quello di trovare una composizione imparziale tra gli interessi in gioco. Questo non significa che l’equilibrio sia fissato una volta per tutte, indipendentemente dalle situazioni concrete che si vogliono regolare; consiste piuttosto nella produzione di una serie di norme, ciascuna delle quali risolva in maniera univoca la composizione degli interessi in gioco per tutte le situazioni concrete che sono riconducibili alla medesima fattispecie astratta. Questo non è avvenuto per la gestione dell’emergenza covid. L’equilibrio fra sicurezza e diritto a guadagnarsi il pane è stato risolto di volta in volta in volta in maniera diversa, a seconda che i soggetti coinvolti fossero riconducibili a categorie di lavoratori autonomi o precari oppure dipendenti della grande industria o dello stato, tradizionalmente sindacalizzati o in diversa forma riconducibili ad aggregazioni del potere economico capaci di spostare l’ago della bilancia a favore della sopravvivenza dell’attività produttiva anziché della sicurezza. Il risultato è stato che, in maniera arbitraria e pasticciata, i primi sono stati obbligati a chiusure forzate e indiscriminate su tutto il territorio nazionale, prescindendo dall’enorme variabilità geografica nella diffusione dell’epidemia, e in barba ad qualsiasi considerazione sulla necessità di proteggere dall’estinzione intere frange del tessuto produttivo del paese; i secondi sono stati indotti alla prosecuzione dell’attività lavorativa anche laddove la scarsità dei dispositivi di protezione individuale e l’emergenza pandemica avrebbero richiesto la sospensione.
- L’impreparazione dei rappresentanti politici e la scarsità di risorse indotta da anni di mancato intervento dello stato nell’economia e di rinuncia all’esercizio della sovranità monetaria, che ha consegnato il paese nelle mani delle lobby degli speculatori finanziari, ha reso impraticabile l’unica via che, dati alla mano, risulta vincente nella lotta al corona virus: lo screening precoce dei soggetti contagiati. L’assenza dei reagenti per effettuare i tamponi, l’esiguo numero di laboratori, falcidiati da anni di austerità selvaggia indotta dalle regole europee sulla stabilità finanziaria, il sottodimensionamento degli organici imposto dall’obbligo di contenimento della spesa pubblica hanno impedito e continuano ad impedire (con poche eccezioni rappresentate dalle regioni più ricche del paese) l’effettuazione di screening a tappeto, che consentano di identificare ed isolare in maniera mirata i portatori del virus. Si è, quindi, intrapresa un’altra strada: la reclusione indiscriminata di milioni di cittadini, senza andare tanto per il sottile, violando la libertà personale, il diritto alla libera circolazione, il diritto alla manifestazione del pensiero, il diritto di riunione, il diritto al libero esercizio all’attività economica, il diritto all’istruzione e alla libertà di culto. Il tutto è avvenuto a colpi di decreto, in virtù della proclamazione di uno “stato d’emergenza” non previsto dalla carta costituzionale.
- L’annunciata fine della morsa liberticida che ha caratterizzato gli ultimi due mesi procede incerta nei tempi e nei modi e, paradossalmente, ci restituisce un paese estremamente depauperato dal punto di visto economico, ma niente affatto migliorato nelle dotazioni strutturali e nelle misure necessarie a tenere sotto controllo l’andamento del contagio. La risposta tedesca è emblematica per avere un termine di paragone: in periodo di trend decisamente decrescente del numero dei contagiati, il ritmo di tamponi analizzati continua ad essere di 500.000 a settimana contro i circa 200/250.000 dell’Italia. I posti letto di terapia intensiva sono passati in Germania da i 28.000 iniziali agli attuali 40.000; in Italia, dai 5000 iniziali sono saliti a 7000. Le azioni intraprese dall’Italia si concentrano sul distanziamento fisico di qualsiasi individuo da ogni altro a prescindere dalla condizione soggettiva dei destinatari delle misure; questo principio negli ultimi due mesi è stato estremizzato al punto da tradursi nell’isolamento fisico delle persone che ha rescisso qualsiasi relazione di natura affettiva, familiare, politica, associativa, culturale che non fosse riconducibile alla categoria, individuata per decreto, delle attività essenziali. Proseguendo su questa falsariga, la ripresa delle attività economiche è condizionata all’adozione sui posti di lavoro del medesimo criterio di allontanamento fisico, tradotto in termini di distanze tra le persone che frequentano gli ambienti di produzione e di vendita, di differenziazione dei turni di lavoro, di aumento ossessivo delle operazioni di sanificazione, rendendo di fatto impossibile l’effettiva redditività delle attività produttive anche dopo la riapertura. Questo approccio al controllo della diffusione epidemica rischia di mancare entrambi gli obiettivi: quello della riduzione dei contagi, perché si prescinde dalla puntuale identificazione dei vettori di contagio, quello della difesa del tessuto produttivo, perché impone tali vincoli alla prosecuzione dell’attività economica da renderla di fatto impraticabile. Si stima che già oggi il 22% delle partite iva non riaprirà la propria attività e il numero è destinato ad aumentare, senza un cambio drastico di strategia.
- Unitamente alla paralisi delle attività vitali del paese, si assiste ad un altro deficit gravissimo dell’attuale governo: il mancato sostegno al reddito di tutte le categorie più colpite dalla crisi, che rende improcrastinabile la riapertura incondizionata di tutte le attività produttive. Alla vigilia di maggio, molti degli aventi diritto ancora non hanno ricevuto l’assegno di 600 euro spettante a marzo. Alla diffusa richiesta di liquidità, si è risposto con l’apertura di credito da parte le banche, incentivato da garanzie statali per un importo complessivo di 400 miliardi; di fatto ad oggi solo 3 miliardi hanno raggiunto il pubblico dei potenziali destinatari. Sono mancati stanziamenti a fondo perduto di sostegno alle imprese. E’ mancata una moratoria efficace di tutte le spese fisse a cui i titolari delle attività sono chiamati a far fronte.
- A ben vedere, sia per riattivare il paese, sia per garantire il rispetto della sicurezza, che deve necessariamente prediligere l’isolamento mirato dei soli soggetti positivi e, pertanto, infetti, sia per il ripristino dell’infrastruttura sanitaria e diagnostica del paese che coniughi entrambi gli obiettivi, senza metterli tra loro in contrasto, sono necessarie risorse di cui il paese non dispone nel quadro macroeconomico instauratosi in seno all’Unione Europea. Per salvare l’Italia da una morte annunciata, è necessario invertire di 180 gradi la strada di definanziamento del welfare inaugurata quaranta anni fa col divorzio tra tesoro e Banca d’Italia e sancita definitivamente con l’adesione ai trattati europei. E’ indispensabile riacquisire la sovranità economica e monetaria e dobbiamo farlo adesso.
*Luca Dinelli è membro del Comitato Popolare Territoriale di Lucca