Sei mesi. Metà del 2020.
Questa la mostruosa quantità di tempo nella quale le scuole italiane resteranno chiuse. Dal 4 marzo (in Lombardia addirittura dal 20 febbraio) ai primi di settembre, ancora non si sa se dal primo del mese, o in data regolare.
Una chiusura senza precedenti, almeno dal dopoguerra.
Un chiusura non annunciata, ma centellinata: in febbraio si chiude “per qualche giorno” in alcune regioni del nord, poi i primi di marzo a Napoli tre giorni per “sanificazione locali”, poi il 4 su tutto il territorio nazionale per 10 giorni. I 10 giorni poi vengono allungati sino al 3 aprile (un venerdì…); con l’avvicinarsi della scadenza si comunica, sempre per canali ufficiosi, che si sarebbe arrivati almeno a metà aprile, dopo le vacanze di pasqua, forse fino al 3 maggio. A metà maggio si vara un piano che prevede due scenari per gli esami di fine ciclo (quinta superiore e terza media): uno in caso di rientro prima del 18 maggio, l’altro in caso di non rientro.
Ad oggi non c’è ancora un documento ufficiale che dice che a scuola non si rientra: ci sono solo dichiarazioni del ministro Azzolina o del primo ministro Conte, se va bene pronunciate in una conferenza stampa, se no in una diretta facebook.
Ovvio che in questo stillicidio di notizie ai danni pesantissimi della chiusura si sono aggiunti quelli altrettanto gravi dell’impossibilità di programmare strategie alternative e questo nonostante l’impegno e la reattività di moltissimi docenti, che hanno evitato il peggio con massicce dosi di volontariato.
L’unica cosa veloce è stata la creazione di un novo acronimo, vera “specialità della casa” della scuola dai tempi di Berlinguer: D.A.D. ovvero didattica a distanza.
Ora, chi scrive questo articolo è un insegnante. Di matematica e scienze alla scuola media (pardon: scuola secondaria di primo grado). In passato insegnante di chimica e di scienze alle scuole superiori. Di scuole insomma, ne ho girate moltissime visti i 10 anni di precariato e gli ultimi sei di ruolo. Sui danni della cosiddetta “didattica a distanza”, in tutti i settori, ne avrei da dire, ma ho paura di dilungarmi troppo e di far perdere centralità all’oggetto dell’articolo. Ovvero le incredibili dichiarazioni del Ministro Azzolina, solo in parte smentite il giorno dopo, a proposito della riapertura della scuola il prossimo anno.
Cos’ha detto la sventurata? Che le scuole riapriranno a settembre in “regime misto”, ovvero con le classi divise in due gruppi: un gruppo starà fisicamente in classe, mentre l’altro assisterà da casa via web! A metà settimana poi ci si scambia: chi stava in classe torna a casa davanti al monitor e gli altri andranno a scuola. Fin troppo facile è stato rispondere citando la bizona 5-5-5 di Oronzo Canà (Lino Banfi nell’allenatore nel pallone).
Ma qui c’è poco da fare ironia: inutile dire, come ha detto il Ministro il giorno dopo in risposta alla valanga di critiche “era un’esternazione, non c’è niente di ufficiale”. Tutte le direttive sulla scuola (e non solo) dall’inizio dell’emergenza sono state prese proprio con questa modalità. Si fa la sparata televisiva poi, se non ci sono reazioni particolarmente critiche, la si ufficializza successivamente. Questa volta, per il momento, le reazioni ferocemente critiche ci sono state e il governo Giuseppi ha fatto parziale marcia indietro, ma non illudiamoci. Non appena la guardia si abbasserà ci riproveranno.
Ma perché questa proposta è particolarmente scandalosa?
Tre motivi almeno:
- La scuola viene considerata talmente poco da chi è al governo da non prendere nemmeno in considerazione un tentativo di riapertura in questo anno scolastico, così come sta avvenendo in buona parte d’Europa. E questo a fronte di una situazione sanitaria che sta migliorando di giorno in giorno e con intere regioni nelle quali il numero di contagi è ormai da diverse settimane ridotto all’osso (anche moltiplicando il numero di contagi per 10). Era davvero impossibile provare una ripartenza verso la metà di maggio in quelle regioni al di sotto della “linea gotica”? Magari a gruppi, facendo dei turni, giusto per riallacciare i fili di un’attività interrotta bruscamente a marzo. Invece niente: politici deboli scelgono di non decidere e si mettono nelle mani dei “tecnici”, in questo caso i virologi che, dal loro punto di vista ovviamente non possono che dire che più si sta in casa e separati l’uno dall’altro, più diminuiscono le probabilità di contagio.
- Il Ministro decide che a settembre la situazione sanitaria sarà comunque precaria: perché? Sulla base di quale realistico scenario? Qui bisognerebbe dire qualcosa su questo circo di specialisti (virologi, epidemiologi, infettivologi…) che affollano gli studi televisivi e le conferenze stampa, ma non è questa la sede: dico solo che se questa che leggiamo sui giornali e sentiamo in TV è scienza, tutto ciò che ho imparato all’università, prima come studente di chimica e poi come dottorando, è da buttare).
Se usciamo dagli studi televisivi, tutti i medici sono concordi nel dire che abbiamo ancora pochi dati e che ogni previsione al momento non è realistica: un po’ come cercare oggi di predire il tempo a Viareggio il 13 giugno E quindi? Perché si ragiona come se l’epidemia fosse sicuramente ancora in atto?
- Ma supponiamo che davvero a settembre la situazione sia ancora quella dell’emergenza: che cosa è stato fatto per attrezzare la scuola al rispetto del distanziamento sociale?
ASSOLUTAMENTE NIENTE. La scuola è ancora quella del 4 marzo.
Non esiste un sola bozza di proposta in tal senso, non una sola riunione si è svolta con gli enti locali per monitorare la disponibilità di immobili da utilizzare l’anno prossimo, inutile anche solo immaginare che siano stati avviati appalti per la costruzione di nuovi edifici. Non un solo operaio si è visto negli edifici scolastici per vedere se sia possibile organizzare meglio gli spazi. Perché chi conosce la scuola sa che uno dei suoi principali mali sono le cosiddette “classi pollaio”. 25-27 alunni stipati nella stessa stanza con l’aggiunta di un insegnante, più spesso due vista la presenza dell’insegnante di sostegno.
L’unica soluzione è quindi quella di raddoppiare, come minimo, il numero delle classi. Attenzione: anche così troveremmo sempre classi di 13-15 persone (alunni più insegnanti) che trascorrono sei ore nella stessa stanza, non proprio un esempio di distanziamento, ma insomma…
Il raddoppio delle classi comporterebbe due aspetti non di poco conto: il raddoppio dei locali, visto che al momento si utilizzano anche gli sgabuzzini per adibirli ad aule, e l’aumento sensibile del numero degli insegnanti.
Una spesa non indifferente della quale, ovviamente, non c’è traccia. L’unica spesa, notizia arrivata in serata, è l’investimento di 400 milioni per la “banda larga”. Il digitale per la didattica a distanza dunque: il resto può attendere.
In conclusione, sembra incredibile, è necessario ricordare che impedire l’accesso a scuola a metà della popolazione studentesca è lesivo del diritto all’istruzione (art.26 della Dichiarazione Universale dei diritti umani): è lesivo perché per un bambino di 3-5 anni parlare di “videolezione” è ovviamente una presa in giro. E’ lesivo perché per un bambino dai sei ai 10 anni (ma anche per la fascia 11-13) lo stare in classe significa avere un rapporto quasi fisico con i propri insegnanti. Significa avere i maestri che circolano continuamente tra i banchi, che controllano quaderni, che discutono a tu per tu circa le difficoltà incontrate. Davvero bisogna essere insegnanti per capire che lo stare davanti ad un monitor non ha niente di questa attività? E tutti i discorsi e le teorie sulla passivazione indotta dagli strumenti elettronici? Dell’abbassamento della soglia dell’attenzione? Della probabilità della relazione causa-effetto tra devices elettronici e disturbi specifici di apprendimento? Tutto scomparso nel volgere di un secondo. Si dirà: si, d’accordo, ma ci sono comunque gli studenti più grandi, quelli della secondaria: con quelli si potrebbe provare. Forse in qualche liceo, ma nelle scuole professionali? Quelle scuole in cui le ore di laboratorio, di officina, di cucina sono prevalenti? Formiamo caldaisti, odontotecnici, vetrai, con webinar e filmati su youtube?
Senza contare il fatto che le abitazioni private non sono né scuole né uffici. Non tutti, anzi decisamente pochi, hanno la disponibilità di un sufficiente numero di stanze per poter lavorare e studiare; uno dei massimi problemi che si riscontrano in questo disgraziato periodo scolastico, è il verificarsi di situazioni di sovraffollamento informatico, cioè famiglie che hanno due o tre figli, tutti in età scolare, che si devono dividere strumenti e spazi per le contemporanee videolezioni, con magari i genitori che sono stati messi in “smart-working” e che devono anche loro svolgere lavoro in rete.
In definitiva chiunque lavori a scuola potrà testimoniare che la “didattica a distanza” in realtà altro non sia che un efficacissimo amplificatore delle differenze sociali.
E in sei mesi non si è pensato niente di meglio che continuare così anche dopo l’estate?
Non ci sono scappatoie: la didattica, per essere degna di questo nome, cioè garantire il diritto all’istruzione uguale per tutti, deve essere in presenza. E il governo DEVE far sì che questo si verifichi, se non subito almeno in settembre. Con i necessari investimenti e trovando le soluzioni per permettere che questo avvenga senza rischi per gli studenti e per il corpo docente.
L’obiezione “mancano le coperture” non è sostenibile, per la scuola come per la sanità.
Non è questo l’articolo per prendere in esame i vincoli europei, ma questi non possono in alcun modo rappresentare un ostacolo. Se ne traggano le necessarie conseguenze politiche ed economiche.
Io ritengo che la questione scuola sarà sicuramente quella centrale dopo l’estate: e non solo per il ruolo che l’istruzione deve avere in un Paese ma anche per un fatto meramente pratico: circa 9 milioni di alunni, un milione di insegnanti, mezzo milione di personale ATA, circa 4/5 milioni di genitori/nonni mobilitati per accompagnare/riprendere gli studenti.
Questa è la mole di persone che ogni mattina la scuola mette in moto.
Non dare risposte chiare su questo tema vorrà dire scavarsi la fossa e questo varrà per questo come per i futuri governi.
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