Dopo la rivoluzione francese si è affermato in tutto il mondo il PRINCIPIO DI LEGALITÀ: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” (art. 25 Cost.). Non è più il Sovrano a stabilire limitazioni alle libertà dei cittadini oppure obblighi e divieti e relative sanzioni ma a ciò possono provvedere soltanto i rappresentanti del popolo con norme di rango legislativo, cioè con leggi statali. La ratio di questo principio è evidente: poiché il sovrano non è più il re ma il popolo, le libertà inviolabili dei cittadini e le relative limitazioni ovvero gli obblighi ai cittadini possono essere stabiliti con legge solo dai rappresentanti eletti dal popolo. In sostanza il principio di legalità costituisce un caposaldo del garantismo nelle moderne costituzioni, e quindi la sua applicazione implica una garanzia per le libertà fondamentali dei cittadini rispetto ad eventuali abusi o decisioni arbitrarie.
Non a caso tutte le norme che prevedono sanzioni, penali o amministrative, sono disciplinate da leggi dello Stato, cioè da norme di rango legislativo (Leggi, D.L. convertiti in legge e decreti legislativi) sia per il comportamento vietato sia per la sanzione. Parliamo del PRINCIPIO DI LEGALITÀ sancito nella Costituzione e in diverse norme di legge di carattere generale: artt. 23 e 25 Costituzione, artt. 1 e 199 codice penale, art. 1 L.689/81 per le violazioni e sanzioni amministrative e art. 3 del D.Lgs. 472/97 per le violazioni tributarie. Così è per il codice penale, le altre norme penali, il codice della strada, le violazioni ambientali, le violazioni fiscali, ecc. ecc..
Alla base di questo caposaldo dello Stato di diritto c’è un motivo politico e giuridico; trattandosi di diritti inviolabili dei cittadini solo i rappresentanti del popolo possono stabilire, assumendosi le loro responsabilità, limitazioni a questi diritti nell’interesse generale della nazione imponendo divieti, obblighi, tributi e relative sanzioni. E questa decisione politica e giuridica andrà poi al giudizio degli elettori alle successive elezioni.
Il tema è tornato di attualità con i recenti D.P.C.M. emanati dal premier, accusati di incostituzionalità da vari esperti e giuristi, tra cui Antonio Baldassarre, a cui ha replicato Gustavo Zagrebelsky sostenendo la tesi opposta (entrambi Presidenti emeriti della Corte Costituzionale). E la questione è tornata ancora di più all’ordine del giorno per le multe da 400 Euro applicate per “assembramento” il 6 maggio ad alcuni ristoratori di Milano che protestavano, ben distanziati, contro i divieti, le limitazioni e l’inerzia del Governo (verbali che si aggiungono ai migliaia già contestati negli ultimi due mesi).
Ma veniamo al nocciolo della questione. Il D.L. 25 marzo 2020, n. 19 all’art. 4 ha stabilito le sanzioni amministrative da 400 a 3.000 euro per “il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2”; ma in quest’ultimo articolo queste fattispecie non sono né delineate né individuate, ma c’è un semplice rimando a successive norme secondarie (cioè ai D.P.C.M.): “possono essere adottate, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità …… limitazione della circolazione delle persone, limitazione o divieto delle riunioni o degli assembramenti, limitazione o sospensione di manifestazioni, ecc.. “. Ma questo “trucchetto” non si può fare in materia di libertà personale e di libera circolazione delle persone perché si tratta di libertà e diritti coperti da RISERVA DI LEGGE ASSOLUTA, che soltanto il legislatore può disciplinare. In altre parole la NORMA DI LEGGE SANZIONATORIA DEVE CONTENERE SIA LA SANZIONE CHE LA CONDOTTA VIETATA, cioè il comportamento che si vuole impedire e quindi sanzionare. Per tale motivo la condotta vietata non può essere demandata ad un successivo atto amministrativo, qual è il D.P.C.M., e in ciò consiste la incostituzionalità dei provvedimenti emanati dal premier. L’unica sanzione che il decreto del premier poteva richiamare è l’art. 650 c.p., che invece è stato accantonato dallo stesso art. 4 e sostituito con la suddetta sanzione amministrativa da 400 a 3.000 euro priva però della condotta vietata.
Pertanto questi verbali per “assembramento” (che ha un significato diverso da “manifestazione”) possono essere annullati direttamente dal giudice ordinario per il semplice motivo “che la condotta sanzionata non è prevista dalla legge”, bensì da un atto amministrativo e pertanto gli stessi verbali risultano illegittimi; infatti il giudice ordinario può disapplicare gli atti amministrativi (qual è il D.P.C.M e anche il verbale della Polizia) qualora contrari alla legge o alla Costituzione, mentre il giudice amministrativo li può annullare.
Intendiamoci, anche una legge può essere incostituzionale, ma tale giudizio spetta esclusivamente alla Corte Costituzionale (nell’ambito di un procedimento civile, penale o amministrativo va sollevata la questione di illegittimità costituzionale di una legge decisiva nel giudizio e se tale eccezione viene accolta dal giudice, la stessa legge viene rinviata al giudizio della Corte Costituzionale). Perciò lo stesso D.L. 19/2020 potrebbe finire al giudizio della Corte perché contiene un eccesso di delega circa la individuazione delle condotte vietate mediante atto amministrativo, un eccesso di delega che viola l’art. 25 della Costituzione e l’art. 1 della Legge 689/81.
Sfido chiunque a trovare una norma sanzionatoria in un atto amministrativo, oltre al caso di questi D.C.P.M.. Ad esempio un sindaco può stabile un divieto ma non la sanzione, per la quale può fare solo un rimando all’art. 650 c.p. (che è una legge).
Zagrebelsky nell’ articolo sul “fatto quotidiano” dice: “ci immaginiamo che cosa sarebbe una discussione parlamentare articolo per articolo?”. Una affermazione stupefacente, perché questo noto giurista sa meglio di me che il governo può azzerare ogni discussione parlamentare ponendo la questione di fiducia.
Allora dobbiamo pensare che il Governo ha avuto qualche timore a porre la questione di fiducia, non si sa mai che il ditino di diversi parlamentari poteva andare a cadere sul NO.
9 maggio 2020
Eros Cococcetta è membro del Comitato Popolare Territoriale di Roma
IL PRINCIPIO DI LEGALITA’
ART. 23 Costituzione
Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
ART. 25 Costituzione
Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.
CODICE PENALE
Art. 1. Reati e pene: disposizione espressa di legge.
Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite.
Art. 199. Sottoposizione a misure di sicurezza: disposizione espressa di legge.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti.
LEGGE 24 novembre 1981, n. 689 – Modifiche al sistema penale.
(NORME GENERALI IN MATERIA DI SANZIONI AMMINISTRATIVE)
Art. 1 – Principio di legalità
Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.
Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati.
Decreto legislativo del 18/12/1997 n. 472 – Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.
Articolo 3 – Principio di legalità
1. Nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione.
No, non ci siamo dimenticati. Finché la Costituzione è Viva, è Sovrana sopra qualsiasi Legge o Atto amministrativo! E… Essa ci ricorda che il Popolo è Sovrano, quindi ogni Italiano. Grande!