Sulla COVID-19, continuiamo a sapere ben poco, gli illustri luminari che ci soffocano con i loro imperiosi ordini, a domanda finiscono per dire che questo non lo sappiamo, e neanche questo come ironicamente evidenziato da un filmato che ho condiviso un paio di settimane fa ….
Tuttavia, qualcosa la sappiamo. Vediamo di farne un veloce elenco:
1. Questo virus è estremamente contagioso perchè riesce a sopravvivere fuori da organismi ospiti per un tempo relativamente lungo, e quando contagia un ospite, ha un periodo di incubazione lungo così che la asintomaticità provvisoriamente è la regola. Penso che potremmo convenire sul fatto che gli asintomatici sono contagiosi proprio perché se così non fosse, sarebbe arduo spiegare questa contagiosità così elevata.
2. Questa malattia mostra un tasso di letalità modesto, tipico del resto di un po’ tutte le ILI (influence-like illnesses), e la sua letalità è quasi esclusivamente dovuta a immunodepressione, disturbi cardiocircolatori e respiratori pregressi e infine dovuti a cure inadeguate, vuoi per carenza di strutture sanitarie adeguate, sia per terapie del tutto errate.
3. Ogni volta che ci si astiene da uno stretto protocollo di distanziamento sociale, il contagio riparte.
Mi soffermerò su questo punto 3 perché da una parte solo ora è risultato chiaro e direi incontestabile, costituendo così elemento di parziale novità, e d’altra parte, illustra mirabilmente come la logica possa essere totalmente travisata e dare luogo a risposte assolutamente irrazionali.
Questo che qui si presenta è uno dei rari casi nei quali la logica binaria funziona bene, perché se cessazione del contagio e cessazione del distanziamento sociale sono tra loro incompatibili, quindi non ci resta che scegliere uno dei due sacrificando l’altra esigenza.
A questo punto, c’è un partito molto frequentato che pretende di chiudere qui il discorso. Essi sostengono che se tra due alternative ce n’è una che è collegata a possibili morti, non c’è discussione, bisogna decisamente privilegiare la soluzione che minimizza le morti.
In realtà, questo discorso ha un suo appeal, si presenta come la difesa estrema della vita così da etichettare chi si oppone come un cinico, uno che non si cura delle possibilità di sopravvivenza dei suoi simili.
Il fatto è però che un simile modo di ragionare non viene seguito praticamente mai nelle società.
Per quanto possa apparire cinico, anche la morte è una realtà della cui occorrenza dobbiamo necessariamente prendere atto e conviverci. La scelta della massima prudenza più che sbagliata, è assurda. Non aboliamo i mezzi di locomozione a motore che pure seminano morti sulle nostre strade, così come accettiamo i mezzi di trasporto aereo, definiamo per le sostanze tossiche diffuse nell’ambiente una soglia minima facendo finta che sotto quella soglia il loro effetto tossico svanisca, cosa ovviamente impossibile. Ciò che in realtà facciamo quando consentiamo una certa concentrazione di sostanze tossiche, è quello di definire un livello di rischio accettabile.
Ma c’è un altro aspetto probabilmente ancora più importante, ed è che quasi sempre per salvare una vita, ne dobbiamo sacrificare delle altre. Il fatto che magari abbiamo ben presente che in un caso chi morirà è facilmente identificabile, e nell’altro corrisponda a una causa del tutto anonima e perfino in alcuni casi generica, di morte, non dovrebbe influenzare le nostre scelte.
Se la mia famiglia si trova a una temperatura sotto zero e ho a disposizione solo un vecchio sistema di riscaldamento a combustione che sicuramente libera parte dei gas di combustione nell’ambiente in cui mi trovo, non esiterò a accenderlo lo stesso perché intanto evito che moriamo per assideramento.
La nostra vita, ma lo stesso vale per le società nel loro complesso, è continuamente sfidata da varie evenienze che ci impongono scelte continue che escludono sin dall’inizio una soluzione perfetta, le soluzioni soprattutto proprio quelle sociali sono già in linea di principio un compromesso tra esigenze opposte.
Io credo che questi nostri amici che la pensano diversamente da noi pretendendo che non si discuta neanche di che scelta compiere, dovrebbero porsi una semplicissima domanda, e cioè se sia possibile cambiare per sempre le nostre abitudini di vita, negandoci tutto ciò che ci costringerebbe a una stretta contiguità.
Naturalmente, possiamo ben sperare che questo virus venga in qualche modo definitivamente sconfitto, ma ciò che non possiamo fare nell’assumere una certa decisione è farlo dipendere da un simile fausto evento. Già il dire che queste misure saranno necessarie fintanto che non avremo la disponibilità del vaccino miracoloso, è un’affermazione insensata, visto che nessuno ci assicura che a questo vaccino perverremo.
Possiamo nel nostro cuore sperare in ciò che vogliamo, ma quando abbiamo la responsabilità di prendere decisioni vincolanti per un’intera società, dobbiamo necessariamente assumere l’atteggiamento più pessimista, dobbiamo sapere cosa fare se le cose si manterranno così negative per noi.
Se fossimo reclusi in un luogo dove disponiamo di risorse alimentari limitate, dobbiamo risparmiarle il più possibile finché non abbiamo certezza che per un evento che non dipende da noi, nel nostro caso il vaccino, avremo libero accesso a altro ben più consistente cibo. Non potremo contemporaneamente essere consapevoli che finché non riusciremo a uscire, dobbiamo fare assegnamento solo sul cibo di cui già disponiamo per quanto poco esso sia, e decidere di mangiare tutto nella prima settimana, nessuno sarebbe così stupido da decidere così.
L’unica logica che possiamo usare è quella che considera il virus presente in tutto il nostro futuro.
Se riuscissero questi amici a porsi queste domande, allora dovrebbero convenire che le misure di distanziamento sociale possono essere seguite solo in caso di un’emergenza, ma, ed è questo forse il punto critico, quella in cui ci troviamo non è un’emergenza, non nel significato che i dizionari ci restituiscono di questa parola.
L’emergenza non è un termine legato alla più o meno desiderabilità della situazione in cui ci troviamo, ma è legata da una parte alla criticità, cioè alla problematicità di situazioni inconsuete e come tali difficili da gestire, ma anche, ed è un requisito anch’esso indispensabile, la provvisorietà. Sostenere di essere in emergenza e contemporaneamente non avere idea alcuna di quando essa termini, è una contraddizione fatale per ogni esito logico, andiamo sull’irrazionale.
Non siamo oggi quindi in emergenza, non possiamo esserlo dopo mesi di pandemia, siamo in una nuova forma di normalità, cioè abbiamo accettato che la pandemia ci imponga nuove forme di convivenza come soluzione permanente, visto che nessuno che non sia un veggente può sapere quando ci libereremo del virus.
Se invece ammettiamo che il modo di rapportarci tra noi umani sia la vita, l’unica reale vita che possiamo accettare, che dovere rinunciare per sempre a stare vicini o anche vicinissimi costituisce per noi un costo insostenibile perché non la riconosciamo come vera vita, ma una situazione di estremo disagio accettabile solo in via del tutto transitoria, allora sarebbe pressoché automatico capire che col virus dobbiamo convivere, impedendogli però di sconvolgere le nostre vite, minimizzando certo il rischio di decessi nell’unico modo valido che abbiamo, cioè col rafforzamento delle strutture sanitarie, scontando tuttavia un certo livello di rischio, e quindi accettando che la prossimità interpersonale porti a un maggiore contagio.
Abbiamo inizialmente applaudito ai paesi dell’estremo oriente che hanno praticato una politica che negava ogni altra esigenza concentrandosi esclusivamente sul contenimento del contagio senza capire che era un errore, perché questi paesi non hanno risolto alcunché, hanno solo rinviato il problema, visto che è ormai chiaro che i focolai di infezione si ripresentano.
Se aggiungiamo che da noi quelle stesse misure per ragioni storico-politiche non possono trovare che un’attuazione approssimativa, allora abbiamo chiaro quanto sia stata fallimentare l’intera strategia nei confronti della COVID-19. Qualcuno, magari nei primi mesi del 2021 dovrà farlo questo conto sulle morti in più avvenute in Italia e quelle avvenute in Svezia nel 2020, e giustificare l’adottare misure così severe che adesso scopriamo ci vogliono imporre ancora non si sa quanto a lungo.
Io a questo punto, e spero che starete con me, pretendo di sapere quali siano le misure di rafforzamento sanitario adottate dal governo e dalle regioni coinvolte soprattutto nel sud ormai sparite dalla scena mediatica occupata dalle passeggiate vergognose sul naviglio (sic!) e cose di questo genere. Va fatta una richiesta in questo senso pretendendo una risposta puntuale e dettagliata che potrebbe essere affidata a un parlamentare in modo che venga posta in parlamento.
La confusione nelle menti è grande, l’approssimatività del governo palese, e a questo punto come dice acutamente l’amico Giovanni Giacomo Pani non resta che concludere che la confusione lungi dall’essere un effetto contingente sfortunato, sia il fine stesso della loro politica.
Pertanto, stabilire criteri certi nelle forme di convivenza con questo infausto virus non è una questione particolare e tanto meno un capriccio di una persona che come mi sono dovuto sentire dire da certe persone, il frutto dell’incapacità di godersi una lettura in solitudine, ma una scelta politica radicale e ineludibile per contrastare questo disegno politico che a quanto pare trova appoggi del tutto inaspettati seppure supportati da argomenti del tutto improbabili.
La lotta per l’eliminazione da subito delle misure di distanziamento sociale generalizzate, mantenendo magari il divieto di grossi assembramenti come quelli che avvengono durante concerti pop o eventi sportivi particolarmente popolari, diventa ogni giorno di più una lotta per la vita e per la salvezza della nostra nazione.
Quando si pretende che in un ristorante ci sia una distanza minima da rispettare tra un cliente e l’altro, di fatto si taglia la concorrenza di operatori che puntano soprattutto sui prezzi bassi e permettendo a chi si può permettere questo distanziamento sempre più demenziale, di stravolgere i meccanismi di concorrenza minima.
Ormai è chiaro, si simula una carenza decisionale, e nel frattempo i provvedimenti concreti adottati incidono profondamente sulle nostre forme di convivenza secondo un lucido e univoco disegno che si va man mano chiarendo.
Chi seguita a non capire quanto questo blaterare di R0 ottenuto da dati assolutamente inaffidabili, di attesa di un vaccino che sappiamo improbabile trattandosi di un coronavirus tipicamente mutante, sia funzionale a un vero e proprio progetto di radicale trasformazione sociale, è ormai un avversario politico e infine un nemico, è il momento di schierarsi.
Fonte: Vincenzo Cucinotta