Ordoliberalismo
L’ordoliberalismo nasce negli anni Trenta con la scuola di Friburgo. Eucken nel 1937 fonda la rivista “Ordo”, parola che sta per “ordinamento legale” orientato a uno Stato liberale forte che garantisca la proprietà privata e la parità delle condizioni di partenza.
La particolarità di quest’approccio è la distinzione tra lo stretto processo economico relativo agli scambi e alla produzione da un lato, e l’ordine economico delle istituzioni giuridiche, politiche, culturali che ne indirizzano il funzionamento dall’altro.
L’Ordoliberalismo fa parte delle teorie neoliberiste di cui condivide il nucleo comune, l’idea per cui nell’economia di mercato concorrenziale vi sia la tendenza automatica verso un equilibrio ottimale di piena occupazione (ovvero verso un “presunto” livello naturale di occupazione).
La particolarità dell’Ordoliberalismo invece sta nello studio delle istituzioni, in particolare giuridiche, adatte al buon funzionamento di una economia di mercato e quindi alla garanzia della concorrenza. Queste istituzioni dovrebbero formare una vera e propria “costituzione economica”, principio che ha trovato applicazione nella Costituzione tedesca del dopoguerra come nei Trattati UE: a tal proposito basta considerare le ricorrenze della parola “concorrenza” nei Trattati e la sua assenza nella Costituzione italiana, per avere una idea della differenza nei principi ispiratori.
Mentre per le tesi neoliberiste prevalenti lo Stato va marginalizzato, l’Ordoliberismo gli ritaglia uno spazio in quanto deve farsi garante del buon funzionamento del mercato, ma assolutamente non deve interferirvi. Anche gli aspetti sociali o solidaristici consentiti devono essere perseguiti al di fuori del processo economico, mentre la nostra Costituzione prevede di rimuovere gli ostacoli di ordine economico qualora impedissero lo sviluppo della persona e della partecipazione dei lavoratori all’organizzazione sociale.
La concezione ordoliberale, utilizzando una battuta, dello Stato come “sceriffo del mercato” trae motivazione nell’idea che il mercato è un obiettivo ma non sorge necessariamente come un “ordine spontaneo” dalle interazioni degli individui (come invece credeva Von Hayek).
Secondo Foucault “la scuola di Friburgo [quindi l’Ordoliberalismo] non ha semplicemente sviluppato una teoria economica, e nemmeno una dottrina. Ha interamente ripensato, invece, il rapporto tra economia e politica, e l’intera arte del governare”.
Monetizzazione del debito
Si ha monetizzazione del debito quando si utilizza moneta per finanziare il debito pubblico. Oggi il potere dell’emissione monetaria è della Banca Centrale, quindi ragioniamo sulla base di questa autorità monetaria. La monetizzazione del debito però non avviene ogni volta la Banca Centrale acquista titoli di Stato (quindi debito), come erroneamente a volte si intende.
Infatti le Banche centrali effettuano continuamente acquisti (o vendite) di titoli di Stato in funzione degli obiettivi perseguiti, ovvero dei livelli di costo della liquidità perseguiti.
Pertanto se lo Stato emette debito (i titoli di Stato) per finanziare le proprie spese (sanità, scuole etc.) non coperte dalle entrate (tasse), in che senso si può dire che viene monetizzato il debito non coperto (ovvero i deficit fiscali)?
Si può dire che il deficit è monetizzato quando il finanziamento di questi deficit avviene con emissione di moneta da non restituire, invece che attraverso l’emissione di debito pubblico da restituire in futuro. Pertanto si ha monetizzazione quando è presente una qualche forma di finanziamento non a debito. Le forme di finanziamento sono due.
Nel primo la Banca centrale emette moneta e l’accredita direttamente sul conto del tesoro oppure attribuisce al tesoro uno scoperto di conto (permettendogli di andare in rosso), così come sta facendo la Bank of England per gestire l’emergenza economico-sanitaria del Covid. Questa modalità non è una forma di monetizzazione dei deficit pura in quanto, in senso stretto, sarebbero delle agevolazioni per le esigenze temporanee di cassa del tesoro, ma se la Banca centrale decide di far permanere questa situazione di fatto lo è.
Per vedere l’altra modalità consideriamo che dal 2009 le banche centrali hanno iniziato le cosiddette operazioni di quantitative easing, finanziando indirettamente gli Stati acquistando sul mercato secondario i titoli già emessi, ovvero debito circolante e non creato ex novo.
Questa modalità può essere considerata monetizzazione dei deficit solo se riesce a riprodurre gli effetti della prima, quindi gli effetti di un finanziamento diretto. Per avere questi effetti la banca centrale deve formalmente impegnarsi a: detenere nel proprio bilancio in modo perpetuo i titoli acquistati, rinnovare l’acquisto dei titoli giunti a scadenza e restituire al governo gli interessi maturati. La sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio smonta questo meccanismo che potrebbe condurre alla monetizzazione del debito.
Quantitative easing
E’ una misura di politica monetaria non convenzionale, di acquisto titoli sul mercato secondario (ossia titoli già in circolazione), che la Banca centrale mette in atto per fornire liquidità al sistema quando i prestiti concessi a famiglie e imprese si riducono pericolosamente e quando serve abbassare i tassi d’interessi (quindi abbassare il costo del denaro) nel momento che misure convenzionali non consentono di raggiungere gli obiettivi. Le misure convenzionali riguardano l’acquisto di titoli di Stato a breve scadenza, quelle non convenzionali coprono sia i titoli privati che quelli pubblici a lunga scadenza. Tipicamente si presenta la necessità quando i tassi a breve sono prossimi allo zero, perché non possono essere ulteriormente abbassati. Allora si acquistano quelli a lunga scadenza che hanno rendimenti ancora positivi e possono essere abbassati. Se, come visto prima, con il QE i titoli acquistati vengono rinnovati quando vanno a scadenza allora si può parlare di monetizzazione del debito. Altrimenti la misura è temporanea e quando finisce i governi devono trovare le risorse per i titoli non rinnovati, pertanto questi buchi potrebbero in seguito generare crisi fiscali. In sostanza una volta che si inizia il QE si può smettere solo a determinate condizioni attualmente assenti.
Indebitamento estero ed interno.
Nell’art. 47 della Costituzione c’è scritto che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare…”. Ognuno di questi passaggi presuppone che l’indebitamento sia interno, non solo perché il risparmio da tutelare è quello dei cittadini italiani, ma anche perché per disciplinare il credito ci vuole la legge e se si vuole imporre la legge all’estero ci sono valutazioni di organi internazionali, ritorsioni o anche guerre. Invece avere l’indebitamento interno con famiglie a tassi d’interesse prossimi all’inflazione è la condizione ideale per non compromettere la crescita e non essere soggetto ad operazioni speculative che comprometterebbero la tenuta del debito.
Il debito estero, ma anche il debito interno detenuto a scopi speculativi, invece non soddisfa le caratteristiche dell’art. 47 e quindi compromette la possibilità di disciplinare gli interessi compatibilmente a uno sviluppo equilibrato.
L’Eurobond (o Coronabond):
Come visto la monetizzazione del debito è uno strumento che consente di uscire dalle ordinarie misure di debito a cui lo Stato è soggetto per finanziare la propria spesa. Comunque all’interno delle misure di debito ci sono quelle più convenienti (o meno deleterie), che consentono di tenere a bada il costo degli interessi per lo Stato che deve indebitarsi, e quelle meno conventi (o più deleterie) in cui i costi sono o possono diventare alti.
Entrando nelle dinamiche dell’Eurozona si potrebbe pensare che un’unica Banca Centrale sia in grado di fissare un unico tasso d’interesse e che questo valga per tutti gli Stati membri che emettono il proprio debito (in tal caso allo stesso tasso). In realtà nell’Eurozona non c’è mai stata una condivisione dei rischi tra gli Stati membri (nel senso che se fallisce l’Italia sono problemi dell’Italia) e quindi la componente di rischio sulla tenuta fiscale dei singoli paesi incide in modo diverso sugli interessi da pagare al mercato (si formano i cosiddetti spread). Così l’Eurobond sarebbe un titolo di debito con almeno un aspetto positivo, quello di essere garantito da tutti gli Stati. Il rischio sarebbe condiviso e quindi le condizioni di finanziamento di chi oggi ha spread più alti (che misurano il rischio) sarebbe più conveniente. Ma per questo i paesi che hanno oggi migliori condizioni di accesso al mercato (spread basso) non vogliono mettere le loro garanzie di cui beneficerebbero Stati con condizioni di accesso peggiore (spread più alto). I benefici di sistema nell’UE evidentemente non interessano a nessuno. I Coronabond concettualmente sono degli Eurobond che si distinguono per essere limitati alla gestione della crisi economico-sanitaria.
L’ultima proposta in tal senso è stata la lettera dei nove paesi (tra cui Italia, Francia e Spagna) che li richiedevano con questa formulazione: “uno strumento di debito comune emesso da un’Istituzione Europea per raccogliere fondi sul mercato sulla stessa base e a beneficio di tutti gli Stati Membri”.
Per i Paesi come Germania e Olanda comunque questi strumenti non sono mai stati un’opzione, e questo oggi è stato chiarito a tutti.
Recovery Fund (è un progetto ancora tutto da definire):
E’ uno strumento temporaneo e comune da mettere a disposizione dei Paesi dell’UE che, colpiti dall’emergenza sanitaria, hanno difficoltà a reperire fondi dai mercati.
Dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) essere obbligazioni garantite dal bilancio Ue, anche se la Francia, viste le difficoltà, aveva proposto di slegarle dal bilancio che tra l’altro copre solo l’1% del PIL. Nei fatti la Commissione europea andrebbe a raccogliere fondi sui mercati (forse emettendo gli Ursula bond?) ponendo a garanzia il bilancio europeo 2021-2027 che dovrebbe rafforzarsi con nuove contribuzioni dirette e maggiori garanzie da parte dei Paesi. Quindi c’è sempre un costo perché le risorse iniziali vengono messe dagli Stati (come garanzie) ma non si sa in che misura spartire questi oneri e neanche le modalità dei prestiti, se a fondo perduto o meno e a chi. La trattativa tra gli Stati procede lentissima e siamo ancora una bozza di progetto, nulla di concreto e sicuramente nulla di risolutivo per l’Italia.