Qualche settimana fa scrissi un breve contributo sulla situazione della scuola italiana e sulle prospettive rispetto al prossimo anno scolastico.
E’ passata qualche settimana: è cambiato qualcosa? Cosa si è mosso? Sono cambiate le prospettive riguardanti il prossimo anno scolastico?
Ritengo utile, soprattutto per i non addetti ai lavori, un breve aggiornamento rispetto all’articolo precedente.
1. Al Ministero dell’Istruzione continuano a brancolare nel buio. Si continua con la solita tecnica del “rilascia una bozza di decreto – vediamo l’effetto che fa – eventualmente correggiamo il tiro” : il balletto di bozze di circolari e anteprime riguardante la valutazione e il funzionamento degli esami di Stato di quinta superiore e terza media è stato inverecondo. Alla fine si è deciso per gli esami di maturità in presenza ed esami di terza media “online” con una discussione di un elaborato che ogni scuola dovrà decidere come valutare.
2. Ma la partita più importante si gioca sulla riapertura a settembre. E qui sono presenti le novità più importanti. Come prima cosa chi lavora al governo deve aver spiegato al Ministro che parlare già a maggio di “regime misto” (metà in presenza e metà online) a settembre, dopo sei mesi di chiusura, non è proprio una strategia comunicativa vincente. Azzolina è corsa ai ripari e nelle dichiarazioni dei giorni scorsi è sembrata negare questa eventualità, parlando di necessità di riapertura in presenza; ha promesso che saranno individuati nuovi spazi, sfruttati i musei e teatri non utilizzati, ristrutturate le scuole. Nulla si dice però di quali e quanti insegnanti dovrebbero far lezione in queste “nuove” classi. E già qui si capisce che probabilmente siamo in presenza della solita politica di annunci che sta caratterizzando il governo Conte.
Si dovrebbero tenere, è vero, i concorsi per la stabilizzazione dei precari già banditi da tempo (non è detto però perché è notizia di ieri sera -23/05- che in commissione si sia deciso di rimandare i concorsi al prossimo anno scolastico), ma attenzione: i docenti eventualmente stabilizzati non sono affatto docenti “nuovi”, ma sono insegnanti che lavorano nella scuola da anni come precari. Quindi, se si aumentano le classi, il problema del numero dei docenti necessario rimane.
In più, fino a ieri, nella scuola niente si sta muovendo per preparare questa vera e propria rivoluzione: si ha presente cosa voglia dire per un istituto che ha ad esempio 20 classi di 24 studenti l’una passare improvvisamente a 40 classi di 12? Non è certo un “lavoretto” che si può organizzare gli ultimi giorni di agosto. Per quel che vale una singola testimonianza, posso dire che ho il compito di formare le classi prime della secondaria di primo grado di un istituto comprensivo: ad oggi nessuno mi ha comunicato variazioni sul numero delle classi e dei gruppi. Anzi, le notizie che fanno filtrare i sindacati, ci parlano di classi ancor più numerose.
3. Fino a ieri tutto taceva scrivevo poco fa: sono di questa mattina le solite “indiscrezioni” di una relazione del comitato di “esperti” (una delle incalcolabili task force) che domani 25 maggio dovrebbe essere presentata al governo: pare che, tra le altre cose, si dichiari che i banchi degli alunni dovranno essere distanziati di almeno un metro. Il che metterebbe il ministero con le spalle al muro: o gli esperti fanno la fine della “task force” di Colao, o le scuole andranno fortemente ripensate da qui a settembre.
4. La novità più importante: questa politica degli annunci non sta sfuggendo a chi, a vario titolo, è coinvolto nel “mondo scuola”; docenti, studenti e soprattutto genitori si stanno sempre più preoccupando per il futuro e “sentono arrivare” la fregatura della didattica mista. Voglio mettere in evidenza un dato per far capire l’importanza di questo punto: quest’anno gli studenti hanno perso circa 70 giorni di presenza a scuola (dal 5 marzo alla fine delle lezioni). In caso di didattica mista ogni studente perderebbe il 50% del tempo scuola annuale, ovvero ben 102 giorni! 102 giorni a casa, attaccati a un monitor a seguire (forse) il docente in videoconferenza. 102 giorni in cui i più piccoli, oltre a perdere di fatto la possibilità di ricevere un’istruzione reale, avrebbero bisogno di essere sorvegliati da un genitore, o da un nonno (che dovrebbero essere i più esposti ai contagi), o da una tata (con relativo esborso economico). Per chi ha più figli poi, ci sarebbe la sicurezza del fatto che qualcuno di loro a casa ci sarebbe sempre, quindi il problema della sorveglianza sarebbe totale.
Si capisce quindi la misura della preoccupazione.
Non vorrei essere equivocato: ho perso il conto delle volte che ho litigato con genitori, dirigenti scolastici, amici e anche colleghi per il fatto di affermare con decisione che la scuola NON è un “deposito” figlioli, ma un luogo di istruzione. Ma, d’altro canto, nemmeno le case sono scuole o uffici. Tra l’altro c’è veramente un qualcosa di orribile nello “spiare” le case e le camere degli alunni, che spesso non sono così bravi da oscurare gli sfondi. E’ un’invasione di uno spazio privato che tutto dovrebbe essere meno che luogo di lavoro. Ma è anche istruttivo toccare con mano cosa significhi lavorare/studiare in queste condizioni per le famiglie dove i figli sono più di uno e i genitori sono in “smart working”.
Queste considerazioni, unite alla prova che la cosiddetta “didattica a distanza” altro non sta facendo che aumentare le differenze socioculturali presenti tra gli studenti, ha fatto sì che cominciassero le prime mobilitazioni. In moltissime città si sono costituti comitati di insegnanti, di genitori, si sono scritti documenti, lanciate raccolte di firme ecc. In questo montare di iniziative, il comitato “priorità alla scuola” è stato quello che è riuscito a compiere un salto di qualità, riuscendo a mobilitare fisicamente nelle piazze di molte città italiane migliaia di studenti, docenti, genitori. Questo sito ha raccontato la manifestazione di Firenze.
A queste manifestazioni hanno aderito alcune sigle sindacali, in particolare i COBAS che, nei prossimi giorni, dovrebbero rilanciare la mobilitazione proponendo iniziative proprie nelle principali città italiane.
5. L’aspetto sindacale e la sicurezza:
Fino ad ora il motore della protesta è stato costituito dalla componente genitori. Gli insegnanti che stanno prendendo posizione per la riapertura della scuola in presenza si sono per ora autorganizzati, come dicevo prima, con appelli, documenti pubblici, raccolte firme ecc.
E’ però mancata la spinta sindacale; solo i COBAS stanno impugnando decisamente la battaglia della denuncia della “didattica a distanza” e spingono per un rientro in presenza a settembre. Oltre alle giuste considerazioni sul modello sociale imposto dalla didattica a distanza, ci sono anche altrettanto giuste valutazioni sulle assunzioni. Perché una classe gestita in videoconferenza ha oggettivamente esigenze diverse di una classe reale, ed è quindi inevitabile che, nel momento in cui si regolarizzasse questa modalità di insegnamento, anche gli organici alla lunga ne risentirebbero.
E gli altri sindacati? Per il momento, dalle sigle maggiori tutto tace. Ma i segnali che si colgono dalle varie assemblee organizzate tra gli insegnanti nei vari territori sono molto negativi.
Sta infatti prendendo piede una falsa dicotomia, ovvero quella di opporre l’esigenza del rientro a quella della sicurezza. Secondo questa posizione chi chiede il rientro a scuola sarebbe contrario alla sicurezza sui luoghi di lavoro e favorevole ad una specie di “martirio di massa” della classe docente. La richiesta che arriverebbe da questi settori è -incredibile ma vero- quella di CONTINUARE CON LA DIDATTICA A DISTANZA ALMENO FINO ALLA SCOPERTA DI UN VACCINO. Le richieste si spostano quindi nel campo della contrattualizzazione della didattica a distanza (quante ore, con quali incentivi economici, su quali piattaforme lavorare ecc.). Le considerazioni di costoro sono molto semplici: siccome – ci dicono – siamo in Italia e le cose non si fanno, è irrealistico pensare che a settembre la scuola disponga di più spazi e di più insegnanti, QUINDI, tanto vale puntare sulla didattica a distanza che almeno garantisce sicurezza.
Ora, è ovvio che nessuno, nemmeno i comitati dei genitori che stanno protestando, ha intenzione di rientrare in classi sovraffollate in condizioni di emergenza sanitaria. Tuttavia è altrettanto ovvio che se si aspetta che questo governo investa sulla scuola “per grazia ricevuta” ci troveremo a settembre esattamente nella stessa situazione.
L’ABC della politica ci dice che i diritti, in questo caso il diritto alla salute degli studenti e degli insegnanti di non passare sei ore al giorno in ambienti sovraffollati -coronavirus o meno-, si sono sempre ottenuti attraverso la pressione sociale e la protesta: doverlo rispiegare proprio a dei sindacalisti, che questo dovrebbero fare per mestiere, è alquanto singolare, ma -dati i tempi- non sorprendente.
Conclusioni
Come dicevo nel precedente articolo, la scuola sta assumendo sempre più centralità nel panorama politico nazionale, non foss’altro perché nessun altro settore mette in moto più di dieci milioni di persone ogni giorno. E’ quindi probabile che al momento dell’uscita, questo articolo sia già in parte “vecchio”, con diverse novità non ancora commentate. Ma il dato di fondo rimane: c’è solo una possibilità di rientrare a scuola a settembre in presenza e in sicurezza: quella di una grossa mobilitazione dell’opinione pubblica che non perda di vista un solo istante l’operato di un governo che, se lasciato a se stesso, avrebbe buon gioco a presentarsi a settembre dichiarando “di non aver avuto il tempo” per cambiare la situazione e, quindi, lasciare a casa tutti o metà degli alunni in nome della “sicurezza”.
L’istruzione è un diritto fondamentale. Pretenderla e pretenderla in sicurezza, è il minimo che si possa richiedere ad uno Stato che si dice avanzato: i “vincoli di bilancio” e le “coperture” non possono e non devono rappresentare ostacoli in questo come in altri temi fondamentali.