Per una scuola di socialità.
Fino a qualche anno, fa l’obiettivo era quello delle tre “i”, poi di accorpare le scuole, di centralizzarle, facendo in modo che scomparissero anche quelle di provincia, che tutto venisse a concentrarsi nelle città.
In nome di un’economia che continua a non tenere conto delle reali condizioni delle persone, delle famiglie, delle comunità, delle esigenze ignorate, si è assestato un ulteriore colpo alla negletta situazione della scuola.
E così è accaduto, pur di tagliare fondi destinati alle già precarie strutture e al personale.
Tutto ridimensionato in funzione della “buona scuola” che non si è mai capito cosa avesse di buono, se non scimmiottare Paesi dell’Europa ricca, laddove le cose funzionano diversamente.
E anche per volontà di chi non è mai entrato in un’aula, si è insistito su una scuola azienda dove si dovessero formare nella migliore delle ipotesi piccoli imprenditori di sè stessi, scollegata dal contesto economico e disfunzionale sul piano di una reale crescita e formazione.
Una scuola spesso fatta di sigle stravaganti e progetti talvolta inconsistenti che hanno finito col sottrarre tempo ed energia alla reale formazione delle alunne e degli alunni.
E poi è arrivato il lockdown pandemico che ha innescato dinamiche tese a trasformare completamente la vita sociale e ha riportato centrale la necessità della scuola.
Senza entrare nel merito sostanziale della formazione scolastica, in cui è fondamentale l’insegnamento come pratica della vicinanza, ma comunque con uno sguardo attento ad essa, lo scenario che ora si prefigura è la didattica per via tecnologica, la DaD, una scuola a distanza digitalizzata o funzionante con un “sistema misto” fatto di ore a casa e ore in presenza, mentre frana la scuola delle relazione in presenza, un sapere che rischia di andare perduto nella didattica online.
Pertanto, è quanto mai urgente e necessario recuperare tutte le strutture utilizzabili già presenti sul territorio e dislocare la scuola, anziché pensare a come far funzionare la digitalizzazione o il sistema misto dopo sei mesi di non reale frequenza, di mal riuscita didattica a distanza.
Mappare e riutilizzare edifici dismessi, ristrutturare e ridefinire quelli esistenti, sistemare aule a norma per pochi alunni per classe e ripartire con la scuola relazionale e in presenza.
Già, perché scuola è fatta di relazioni in presenza, di pratiche di vicinanza, di persone fisiche in formazione, di contatti, di idee, di spazi reali aperti e chiusi dove incontrarsi, stare, studiare, giocare, creare, socializzare… vivere.
Ripartiamo dalle scuole di vicinanza, dei nostri paesi e nelle città, riapriamo ciò che è stato chiuso perché dettato da logiche forsennate, recuperiamo spazi, aule sostenibili e, perché no?, anche itineranti, ma, soprattutto, ricominciamo in presenza, garantendo una formazione sostenibile ad alunne e alunni e a tutto il personale delle scuole.
Perché la scuola è uno dei luoghi fisici di confronto e socializzazione per eccellenza e non se ne può stravolgere il compito fondamentale per assecondare logiche forsennate che pretendono di distanziarci, virtualizzandoci e medicalizzandoci in pretese assurde, insostenibili, e alimentando paure ancestrali.
*Nina Iadanza, insegnante del Liceo Classico Pietro Giannone, membro del Cpt di Benevento