Un breve quanto sinistro aggiornamento sulla situazione scolastica in previsione dell’anno 2020-2021.
Parto dalle conclusioni: tutte le bislacche proposte che la Ministra Azzolina ha fatto (e poi ritirato sotto un’ondata di insulti e pernacchie) da metà maggio ad ora sono ad un passo dal diventare realtà.
Ovvero:
- Alternanza al 50% tra scuola in presenza e didattica a distanza
Vale a dire che l’anno prossimo ogni studente starebbe a casa circa 102 giorni (metà anno scolastico) contro i 70 di quest’anno. Chi ha più figli poi, avrebbe sempre e comunque qualcuno a casa.
- Doppi turni mattina – pomeriggio
Didatticamente massacrante, oltre a precludere qualsiasi attività sportiva o culturale, con buona pace per le società sportive dilettantistiche e culturali: un altro settore che sarebbe messo ancor più in crisi economica.
- Abolizione immediata del tempo pieno
Tutte le scuole primarie andrebbero a 25 ore, con le maestre “liberate” per insegnare il pomeriggio senza aumento di organico.
- Altre soluzioni che comportino la riduzione sensibile del monte ore di ogni studente (ore di 40 min ecc.)
L’effetto sarebbe simile al punto 1.
- L’unica proposta al momento tramontata è quella di inscatolare studenti e docenti nel plexigas.
Si dirà: com’è possibile? La Ministra aveva sì fatto tali proposte, ma le aveva anche ritirate sotto una pioggia di critiche. Anzi, scottata dalle critiche, aveva dichiarato a più riprese che “a settembre gli studenti sarebbero rientrati tutti in classe”.
Purtroppo, oltreché possibile, è anche probabile: cerco di spiegare con quale iter si stia arrivando a questo risultato.
- Il 28 Maggio è uscito il documento del comitato tecnico – scientifico sulla scuola: tra le altre cose (uso di mascherine, sanificazione sostituita da igienizzazione, ecc.) il documento stabilisce una distanza minima di 1 mt tra le persone. La qual cosa rende impossibile stipare 24-25 alunni nelle attuali aule; intendiamoci, non che ci fosse bisogno del coronavirus per stabilire che soggiornare in 25-27 persone in stanze di pochi metri quadrati per 6 ore al giorno non era sano, ma con il 28 maggio questo divieto è diventato vincolante.
- Qualche giorno fa il parlamento ha approvato, non senza maretta, la conversione del decreto scuola dell’aprile scorso. In questo decreto non è presente alcuna indicazione per l’edilizia scolastica (qualcuno aveva detto che era contenuta la “proposta plexiglas”: falso). Il decreto si occupa principalmente del regolamento per gli esami di stato di superiori e medie e di rinviare i concorsi per la stabilizzazione dei precari, che rimarranno tali anche quest’anno nonostante anni e anni di servizio. L’unico “contentino” che rimediano è la promessa che, una volta fatto il concorso, l’assunzione sarà retrodatata al 1 settembre 2020: un po’ poco per persone sulle quali si basa oramai da anni il funzionamento annuale della scuola.
- Unico punto qualificante riguardante l’edilizia: ai sindaci viene assegnato il potere di commissari, ovvero la possibilità di sveltire l’iter per la costruzione o ristrutturazione di nuovi spazi.
E quest’ultimo punto, sbandierato come una grande notizia, diventa paradossale. Perché se è vero che i sindaci hanno il potere di velocizzare i lavori, è anche vero che questi lavori dovrebbero essere fatti a costo zero! Al momento infatti niente è arrivato alle scuole o ai comuni. A dir la verità qualche spicciolo alle scuole è arrivato (qualche decina di migliaia di euro per istituti di migliaia di studenti con una decina di plessi diversi), ma sono soldi VINCOLATI. Vincolati a cosa è presto detto: igienizzazione, acquisto di materiale informatico, retribuzione per i “formatori”, peculiari personaggi che hanno il compito di “formare” i docenti in questo e quello (spesso le stesse persone riescono a farsi accreditare come “esperti formatori” per argomenti completamente diversi, ma questo è un altro discorso: resta il fatto però che per loro i soldi si trovano sempre).
Ai soldi per le strutture andrebbero poi aggiunti quelli necessari per l’aumento del numero degli insegnanti perché ovviamente sarebbe inutile aumentare le classi se poi non ci sono gli insegnanti a lavorarci.
E’ mai dunque possibile rientrare tutti a scuola in orario consono e in presenza se la scuola ha bisogno di investimenti e gli investimenti non ci sono?
Ovviamente no.
Ma, strano a dirsi, la responsabilità di questa contraddizione non se la sta prendendo il governo, ma i dirigenti scolastici: che anziché denunciare l’accaduto, allarmare le famiglie, gli insegnanti, i collaboratori, stanno scegliendo, salvo poche eccezioni, di giocare il solito ruolo del “più realista del Re”, prestandosi, nel silenzio estivo, a trovare soluzioni che ovviamente non potranno che ricadere sulle 4 elencate all’inizio di questo articolo.
Con la speranza di arrivare a settembre e presentare la situazione come “inevitabile”.
Su cosa spinga i Dirigenti Scolastici ad assumersi delle colpe che in questo caso non avrebbero si potrebbe scrivere un trattato di psicanalisi. Diciamo, per farla breve, che sono stati formati e selezionati per difendere l’istituzione sempre e comunque e quindi giocano ben volentieri il loro ruolo. Quali siano le ragioni è poi poco importante. Se vogliono assumersi queste responsabilità è giusto che siano attribuite loro.
E’ arrestabile questo processo?
A giudizio di chi scrive si.
Però è necessario agire subito: il governo è molto debole, nonostante girino sondaggi per loro ottimisti al limite del ridicolo (“la popolarità di Conte è al 60%” ecc.) la situazione è estremamente precaria. L’aver gettato il Paese in una crisi economica devastante con scelte sanitarie che si stanno rivelando quanto meno azzardate, sta facendo montare la protesta. Di tutto hanno bisogno meno che di un’ulteriore ondata di contestazione da pare di milioni di famiglie.
E’ necessario che gli insegnanti escano dal loro letargo, dal “vediamo che ci aspetta a settembre”, che le famiglie mettano sotto pressione i Dirigenti scolastici e i sindaci, che le società sportive e culturali facciano cartello e chiariscano che non c’è bisogno di far fallire altri settori in questo disgraziato Paese.
Le proteste, come abbiamo visto, sono temute: ma hanno una cronologia ben precisa.
A settembre potrebbe essere troppo tardi.
*Vittorio Paiotta – Liberiamo l’Italia Pisa
Ma gli italiani non sanno protestare. Occorre insegnarglielo.