Quando nel 1992 furono aperte le frontiere in Europa, ricordo il sentimento di euforia, credo comune a tanti altri, con il quale accolsi questo evento: attraversare il confine senza che mi venissero controllati i documenti mi dava la sensazione che quello che fino al giorno prima avevo considerato uno “straniero” fosse divenuto improvvisamente parte del mio stesso popolo, e la differenza di lingua non mi appariva più un ostacolo insormontabile per un vero scambio culturale e per un percorso di crescita comune.
Eravamo tutti europei, e far parte di questa nuova grande famiglia quasi mi inorgogliva, sia perché mi vedevo riconosciuta allo stesso livello degli altri paesi d’oltralpe, sia perché mi sentivo partecipe della condivisione che questi altri paesi mi offrivano.
Ma con gli anni questo sogno è stato disilluso. La mia storia personale di “emigrata in casa” (sin dalla prima infanzia ho subito numerosi trasferimenti perdendo completamente per strada le mie radici) mi ha portato a rivalutare radicalmente il mio concetto di appartenenza.
Non avendo più radici né legami a una terra specifica, l’unico elemento che rimaneva per definire la mia identità e la mia appartenenza rimaneva quello di parlare una lingua con cui comunicare senza sentirmi straniera nella mia stessa terra, e il sogno di sentirmi cittadina europea è svanito.
Tutto questo è avvenuto prima che cominciassi a prendere consapevolezza di cosa rappresentasse realmente questa Unione Europea che ci hanno decantato come fautrice di pace e solidarietà. Solo molti anni dopo ho cominciato a rendermi conto che il degrado e lo sfacelo sociale che progressivamente si rivelava ai miei occhi aveva subito un’escalation proprio da quella fatidica data.
Ma la molla che ha fatto scattare in me una netta ribellione alla narrativa ufficiale di quanto stava accadendo è stato il bombardamento mediatico relativo al debito pubblico.
Si diceva che siccome noi italiani eravamo stati “spreconi” avevamo indebitato a vita i nostri figli rubando loro il futuro. Io ho sempre dovuto lavorare, sin da giovanissima età, anche per mantenermi agli studi che la mia famiglia non poteva permettersi.
Non dico che ho patito la fame, perché non ho vissuto per mia fortuna ai tempi della guerra, ma i miei genitori, che invece l’hanno fatto, mi hanno educato sempre all’essenzialità, e così ho fatto io con i miei figli.
L’accusa di sperpero e di responsabilità nei confronti dei figli mi risuonava dunque nel cervello come un’affermazione ingiusta e menzognera. Nemmeno lo Stato, per quanto ne so io, ha sperperato, almeno negli ultimi decenni, i suoi averi: mi risulta infatti che da almeno 30 anni lo Stato italiano è in avanzo primario, il che significa che spende meno per i cittadini di quanto preleva dagli stessi attraverso le tasse. E allora come è possibile che il debito pubblico continui a salire?
Mi sono dunque chiesta: se la moneta è solo un mezzo di scambio che non ha valore intrinseco, come può portare a un accumulo di valore negativo senza peraltro permettere lo sviluppo di un paese, ma causandone piuttosto un impoverimento progressivo?
Ho cercato allora di capire il funzionamento del sistema bancario e mi sono resa conto che esso si regge interamente sul principio dell’usura. Usura significa prestito di denaro in cambio di interessi, è cioè un sistema che permette di guadagnare denaro con il denaro anziché come frutto del proprio lavoro: il denaro, da semplice mezzo di scambio, diventa merce in sé.
Il sistema capitalista, basato sull’interesse finanziario, cioè sull’usura, è l’unico responsabile dell’impoverimento generale, della corruzione politica e dei costumi, di tutti i conflitti armati come pure della disoccupazione e del degrado del tessuto sociale. In circa cinque secoli si è creata, intorno a questa disfunzione monetaria, un’enorme macchina del debito che oggi tiene in pugno Governi, imprese e privati.
Ma verso chi tutti costoro sono indebitati? La risposta è molto semplice: verso coloro che hanno troppo denaro, ben più di quanto ne serve loro, e che lo possono prestare a chi è disposto a pagare gli interessi. Questo colossale debito è divenuto completamente insaldabile e viene pagato facendo nuovi debiti, in una spirale ad andamento esponenziale dalla quale è impossibile venire fuori.
Fu con la nascita della banca centrale d’Inghilterra, nel 1694, quando venne concesso a un ente privato la possibilità di emettere moneta dello Stato, che ebbe inizio il fenomeno del debito pubblico.
Le banche centrali emettono moneta e se ne attribuiscono la proprietà al momento dell’emissione, sostenendo l’unico costo della produzione delle banconote, carta e stampa. Questo denaro viene poi prestato allo Stato il quale emette titoli a copertura dell’importo. Da quel momento lo Stato comincia a pagare gli interessi sui suoi titoli in cambio della moneta che la banca centrale ha creato dal nulla. Quindi, scritturale o stampato che sia, il denaro che viene emesso appartiene nominalmente alla banca e, senza alcuna logica, lo Stato indebita i contribuenti prendendo a prestito denaro che potrebbe benissimo produrre da se stesso.
Si tratta di una grande truffa che dissangua i popoli. Con l’acquisizione della sovranità di emissione i banchieri hanno raggiunto il potere completo sullo Stato, e dire la verità su questo punto significa ammettere che la vera funzione del governo è truffare i cittadini a vantaggio dell’élite finanziaria. Le banche prestano le banconote allo Stato e ne intascano il controvalore, cioè il signoraggio, che definisce la differenza tra il valore monetario attribuito alla moneta e il suo costo di produzione. Tale valore una volta era appannaggio del governo, mentre oggi viene incostituzionalmente pagato dal popolo a vantaggio degli speculatori privati che gestiscono le banche centrali. Tutto il denaro messo in circolazione costituisce passività per lo Stato, sulla quale esso è costretto a pagare gli interessi.
Noi siamo talmente condizionati dal lavaggio di cervello continuo che la propaganda capitalista fa attraverso i media, che siamo indotti a credere che gli interessi siano in qualche modo connaturati alla moneta, ma per la maggior parte della storia non è stato così.
Il debito pubblico in Italia in realtà era già cominciato a diventare un grosso problema dopo il 1981, in seguito al divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro deciso da Ciampi e Andreatta senza neanche consultare il Parlamento. Con esso la Banca d’Italia non era più costretta ad acquistare i titoli di Stato invenduti cosicché il Governo doveva immetterli sul mercato finanziario con interessi ben più elevati. Fu l’inizio della perdita della nostra sovranità.
Da allora il Governo italiano, pur non potendo più scaricare sulla lira il costo dell’aumento del debito (attraverso l’inflazione), che quindi ora si vedeva direttamente nei conti pubblici, a differenza di altri stati europei, che adeguandosi alla politica antiinflazionistica americana adottarono una disciplina fiscale più rigorosa, continuò a fare spesa pubblica in deficit. Così che il debito pubblico ebbe un’impennata fino a quintuplicare, dai primi anni ottanta agli inizi degli anni ’90. E fu proprio da allora che iniziò il martellamento continuo del mantra del debito pubblico che ci faceva sentire tutti colpevoli.
Intanto la politica continuava ad agire su due livelli: uno palese, che serviva a condizionare l’opinione pubblica verso scelte elettorali via via funzionali alle decisioni prese in segreto da un governo ombra guidato dalle élites finanziarie, l’altro occulto che agiva dietro le quinte per ingabbiare gli Stati Nazionali Europei in un sistema in cui avrebbero perso ogni sovranità e in cui veniva sempre più estorta ai popoli la possibilità di decidere sulle proprie sorti.
Tutto ciò avveniva mentre il popolo, inconsapevole di ciò cui stava andando incontro, inseguiva il sogno europeo come una chimera che avrebbe reso tutti più felici.
La prima grande doccia fredda fu proprio l’entrata in vigore della moneta unica, quando tutti gli Italiani videro dimezzare il potere d’acquisto dei loro stipendi.
Ma questo fu solo l’inizio del declino progressivo del nostro Paese: con il libero mercato e la globalizzazione sono arrivate le privatizzazioni e la svendita delle nostre aziende migliori, secondo un piano di deindustrializzazione dell’Italia che mirava a metterla fuori gioco nel campo della competizione commerciale nei confronti soprattutto con la Germania.
E così, chiusi in una gabbia gestita dalla BCE, che ha la funzione prioritaria e insindacabile di mantenere la stabilità dei prezzi, costi quel che costi, strangolati da un debito pubblico che continua a salire vertiginosamente, nonostante che da 30 anni ormai chiudiamo il bilancio in attivo, a causa degli interessi enormi che abbiamo accumulato, noi oggi siamo sotto ricatto proprio da quell’Unione Europea che ci aveva promesso sviluppo e benessere.
Essa con i suoi Trattati, del tutto incostituzionali e stipulati nella piena inconsapevolezza dei cittadini, distratti subdolamente e strategicamente dalla partecipazione alla gestione della vita pubblica da un’informazione mainstream centrata solo su aspetti marginali e irrisori della vita politica senza mai affrontare i problemi fondamentali, ci impedisce di fare quella spesa pubblica indispensabile proprio per la crescita e lo sviluppo di una Nazione sovrana.
Questo è il prezzo che abbiamo pagato per poter attraversare i confini senza contrattempi, per poter dare ai giovani l’illusione di integrarsi in un mondo globalista chiamato Erasmus.
Il graduale e progressivo declino della partecipazione dei cittadini alla vita politica e il contemporaneo cristallizzarsi di una casta elitaria e sempre più distaccata dalle esigenze del popolo ci hanno portato in modo quasi inconsapevole ad affidarci ad istituzioni sovranazionali che, non avendo più nulla di democratico, decidono a porte chiuse le sorti di quel che rimane degli Stati Nazionali, affidando l’esecuzione dei loro diktat a governi fantoccio che ormai servono solo per darci l’illusione di una persistente democrazia.
Da quasi trent’anni ormai in Italia assistiamo a un finto bipolarismo che ha il precipuo scopo di dividere la popolazione in fronti contrapposti che si combattono per pseudo problemi, lasciando sempre indiscusse e irrisolte le questioni fondamentali che sono alla base del dissesto economico e sociale in cui ci troviamo.
Al centro della vita politica infatti, e non a caso, vengono sempre messe questioni divisive, con risvolti ideologici, etici o morali, che nulla hanno a che vedere con la gestione economica e sociale che dovrebbe costituire il compito principale di un governo equo e funzionale.
Tali questioni divisive, quali il problema dell’immigrazione o il discorso sul gender, non fanno altro che dividere la popolazione in due fazioni che con il loro voto portano al potere alternativamente l’una parte o l’altra, senza che di fatto cambi nulla, continuando entrambe ad eseguire pedissequamente gli ordini che vengono dall’alto.
I burrattinai di questo teatrino del potere sono gli alti funzionari della finanza, che agiscono tramite la BCE e le istituzioni antidemocratiche europee.
Uscire da questa gabbia è diventato un imperativo urgente e senza alternative se vogliamo tentare di salvare la nostra vita, ma soprattutto quella dei nostri figli, a cui è stato sì rubato il futuro, ma non a causa del debito pubblico, che in una Nazione sovrana rappresenterebbe la ricchezza dei cittadini.
La realtà è che siamo ostaggio dell’alta finanza e sottoposti, tramite l’usura, a un saccheggio progressivo che ci sta dissanguando, la truffa più grande della storia che porta a un drenaggio continuo della ricchezza dal basso verso l’alto, fino ad esaurimento di tutte le risorse che invece vengono concentrate nelle mani di un numero sempre più ristretto di speculatori senza scrupoli.
Per questo oggi è indispensabile che Movimenti come “Liberiamo l’Italia” si attivino e uniscano le loro forze per organizzare una vera lotta di liberazione, in nome di una Costituzione che è stata vergognosamente calpestata e stuprata.
Per quanto mi riguarda, per i miei figli e per il mio Paese, metterò in questa lotta tutte le mie energie, nel tentativo di aprire gli occhi a chi ancora è inconsapevole dell’imbroglio subito.
*Maria Pia Melchiorre è membro del Cpt Torino
Pur sentendo sia una forte affinità umana e politica nei confronti dell’autrice, sento la necessità di rilevare – senza intenti polemici, sia chiaro – un problema ancora troppo diffuso nella nostra area per ciò che concerne il funzionamento della moneta e delle banche centrali. Il passo è il seguente:
“Le banche centrali emettono moneta e se ne attribuiscono la proprietà al momento dell’emissione, sostenendo l’unico costo della produzione delle banconote, carta e stampa. Questo denaro viene poi prestato allo Stato il quale emette titoli a copertura dell’importo. Da quel momento lo Stato comincia a pagare gli interessi sui suoi titoli in cambio della moneta che la banca centrale ha creato dal nulla”
Bisogna chiarire che
1. la banca centrale restituisce allo stato gli interessi sul debito acquistato, quindi lo stato NON paga gli interessi sulla moneta creata dalla banca centrale. Non per niente l’acquisto del debito da parte della banca centrale viene chiamato “monetizzazione del debito”. Dovremmo evitare di sostenere il contrario, per non essere confusi con soggetti politicamente e culturalmente squalificati come i signoraggisti Auritiani.
2. la funzione del debito pubblico è quella di fornire un investimento sicuro per il risparmio di famiglie e imprese. Sicuro in quanto garantito dallo stato e svincolato dai rischi del privato (ad esempio, obbligazioni di banche e imprese). Si tratta dunque di uno strumento che in sé non ha nulla di male. Quando la banca centrale fa la banca centrale, e cioè compera tutti i titoli invenduti, il tasso di interesse dato ai privati (ribadisco: la banca centrale non li percepisce in realtà!) viene in realtà deciso a priori dal tesoro. Il problema è quando la banca centrale smette di fare il mestriere per cui è nata, come in Italia dal 1981 e nell’eurozona.