Chi pensava che sulla scuola il governo Conte avesse toccato il fondo nel periodo che è trascorso da marzo ad oggi, è stato sonoramente smentito: con il documento contenente le linea guida per la riapertura a settembre si è cominciato a scavare, e parecchio.
Il prima e il dopo (la bozza e il definitivo)
Come è ormai abitudine del governo “giallo-rosso” le linee guida sono state prima presentate sotto forma di bozza per saggiare le reazioni degli interessati. Poi, dopo essere riusciti a incassare contemporaneamente il rifiuto da parte delle associazioni delle famiglie, dai sindacati (tutti!), dalle Regioni, dai Sindaci e perfino – incredibilmente – dai Dirigenti Scolastici, si è provveduto a modificare la bozza con accorgimenti che non modificano la sostanza del documento ma che inseriscono elementi di contraddizione interni alle stesse linee guide.
Le bozze non andrebbero commentate, ma vorrei in questo caso fare un’eccezione, perché è dalla bozza che si capisce il vero disegno che ha in testa chi sta attorno all’Azzolina.
Prima
La bozza di documento infatti ha ribadito l’esigenza del distanziamento sociale di 1 mt, ma, scandalosamente, non ha preso in esame alcuna strategia per l’allargamento degli spazi e l’assunzione di nuovi insegnanti e collaboratori scolastici (“bidelli” come vengono detti nel linguaggio comune).
La costruzione/individuazione di nuovi spazi è stata scaricata su una lista lunghissima di enti locali: Regioni, Comuni, Dirigenti scolastici. Il tutto viene quindi demandato a un numero imprecisato di “tavoli” che si dovranno formare: “tavoli regionali operativi” con tutti i vari assessori, la protezione civile; poi a livello comunale si dovranno formare delle “conferenze dei servizi”, con i dirigenti scolastici, l’ANCI, i rappresentati di qualsiasi cosa e chi più ne ha più ne metta.
Tutto questo lavoro di “ricerca di spazi da utilizzare” senza prevedere un finanziamento adeguato.
Circa l’assunzione di nuovo personale poi, silenzio assoluto.
Il che, dopo aver dichiarato a più riprese da maggio ad oggi “a settembre tutti in classe”, è davvero notevole.
Ma le linee guida non si fermano qui: ben consce dell’impraticabilità di questa soluzione, ecco spuntare la vera idea che alberga nei palazzi del MIUR, e del governo in generale: il taglio del tempo scuola. Ovviamente non dichiarata esplicitamente – ci mancherebbe – ma mascherata da una serie di proposizioni fumose (supercazzole le avrebbe chiamate Tognazzi in “Amici miei”). Chi però ha dimestichezza con quella tristissima neolingua che è il “didattichese”, non ha problemi a individuare dove si va a parare.
Infatti, quando si scrive
“una frequenza scolastica in turni differenziati, anche variando l’applicazione delle soluzioni in relazione alle fasce di età degli alunni e degli studenti nei diversi gradi scolastici” significa o che si fanno doppi turni (un turno la mattina e uno il pomeriggio) o che si va a scuola un giorno sì e l’altro no.
Ancora più esplicito è il paragrafo riguardante le scuole superiori:
“per le scuole secondarie di II grado, una fruizione per gli studenti, opportunamente pianificata, di attività didattica in presenza e, in via complementare, didattica digitale integrata, ove le condizioni di contesto la rendano opzione preferibile ovvero le opportunità tecnologiche, l’età e le competenze degli studenti lo consentano”
Sempre dal documento (forse il passaggio più grave)
“l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari, ove non già previsto dalle recenti innovazioni ordinamentali” che significa il taglio delle ore delle diverse materie. Esempio: alla scuola media sono previste sei ore di matematica e scienze, due di tecnologia e due di educazione motoria. Bene: si accorpa matematica con tecnologia (tanto si disegnano figure in entrambi i corsi…) e scienze con educazione motoria (tanto l’apparato muscolare lo può spiegare sia l’insegnante di scienze che quello di ginnastica). Con un po’ di fantasia si può passare quindi da 10 ore a 6 ore. E così via (Italiano con storia dell’arte ecc.)
A completamento di questa strategia ecco comparire la chiamata alle armi del “terzo settore”. Cooperative e associazioni di vario genere, pronte a mobilitare “volontari” (o comunque personale pagato pochissimo) che facciano babysitteraggio ai bambini e ragazzini rimasti senza giorni di scuola.
Certo, i sindaci, o la regione, dovrebbero pagare qualcosa per le convenzioni con questi enti, ma alla fine il risparmio rispetto all’assunzione di personale scolastico qualificato sarebbe enorme. E’ un modello già sperimentato “con successo” in Francia da molti anni, dove il tempo scuola è notevolmente inferiore che da noi e i “vuoti” vengono coperti da questo genere di organizzazioni. Oltre al risparmio, ci sarebbe poi un notevole aumento di controllo sociale in quanto i lavoratori di queste organizzazioni sarebbero ricattati dal fatto che, se il giorno delle elezioni salta l’assessore “giusto”, è a rischio anche la riconferma della convenzione. Detto in politichese: un perfetto esempio di sottobosco.
Le reazioni
Nel giro di poche ore un diluvio di critiche si è riversato sulla Ministra e sul governo tutto.
Hanno manifestato in oltre 60 piazze italiane l’associazione “priorità alla scuola”, assieme a quasi tutte le sigle sindacali, in particolare evidenza i COBAS ma anche la GILDA e la CGIL.
La mobilitazione è stata importante e sentita (caso quasi unico nella storia della scuola visto che siamo a fine giugno), ma soprattutto rappresenta solo la punta dell’iceberg del malcontento che si riverserà a settembre sul governo.
Ma non solo: come scrivevo prima, si sono schierati apertamente contro il governo le Regioni, i Sindaci e addirittura, i Dirigenti scolastici. Tutte figure che fino a ieri sembravano voler fare il possibile per “coprire” i vuoti politici del governo e che alla fine hanno capito che la responsabilità del disastro settembrino ricadrà sulle loro spalle.
Il dopo
E quindi, nella giornata di giovedì, ecco le correzioni alla bozza e la presentazione delle linee guida ufficiali.
Cosa cambia? In realtà poco, ma i correttivi apportati fanno capire che anche dalle parti di Conte e Casalino, ci si sta cominciando a rendere conto della portata del problema e della minaccia che una massiccia protesta rappresenterà per la già traballante maggioranza.
I finanziamenti: viene scritto nero su bianco che ci sarà un miliardo di euro in più (rispetto a cosa?) di investimento. Un miliardo in questa situazione è niente: si tenga presente che il precedente Ministro Fioramonti si era dimesso, PRIMA dell’emergenza Covid, perché aveva stimato in tre miliardi la spesa minima per far ripartire la scuola dopo un ventennio di tagli continuativi. Oltretutto una cosa è scriverlo su un documento, un’altra è ottenerlo (i famosi 600 euro per gli autonomi sono lì a dimostrarlo), ma è un dato di fatto che prima non si prevedeva neanche questa modesta spesa.
La seconda modifica è una “furbata”, ma significativa. Il metro di distanziamento diventa 1 metro “dalle rime buccali degli alunni”. Sembra niente: in realtà non è poco. Provate a immaginare due compagni di banco e a misurare la distanza spalla a spalla o bocca a bocca; la situazione cambia notevolmente. Certo, non come dicono al Ministero ovvero che solo 1 studente su 7 sarebbe senza posto, ma nemmeno quel 50% misurato precedentemente. In questo senso parlavo prima di contraddizione. Da un disegno che mirava a ridurre drasticamente il tempo scuola, sembrerebbe che si stia passando ad un più pragmatico “rientriamo tutti in classe dicendo che applichiamo il distanziamento e facciamo finta di niente”.
Gli scenari
Difficile davvero prevedere cosa succederà a settembre: al governo sembrano cominciare a comprendere la portata del problema (per loro). La protesta non si esaurirà perché, oltre alle giuste rivendicazioni per una didattica funzionale alla crescita degli studenti (sì, c’è ancora chi tiene all’istruzione propria e dei propri figli in questo Paese), c’è anche un grosso problema organizzativo per le famiglie che, se si trovassero i figli a casa, avrebbero gravi problemi a lavorare. Il che, in una fase di profondissima crisi economica, rischierebbe di essere insostenibile per molti.
Tuttavia il tempo perso è stato tanto (ad oggi, 27 giugno, la situazione degli stabili è ancora quella del 4 marzo), la volontà di investire non c’è, all’interno della maggioranza sembrano esserci idee diverse, dal “prendiamo l’occasione per smantellare il sistema scuola così come lo conosciamo” di M5S e parte del PD, al “tutti dentro e facciamo finta di nulla” di Renzi (e dei “renziani del PD”).
L’opposizione balbetta: la Lega e FdI fanno manifestazioni sotto il MIUR, ma sembrano criticare più l’uso della mascherina che il mancato aumento degli spazi: una parola chiara da Salvini o dalla Meloni sull’assunzione degli insegnanti non è arrivata.
Quel che è certo è che lo “scenario scuola”, mischiato alla crisi economica “post Covid” saranno gli elementi di maggiore criticità per la vita del Paese in autunno. Se si stia avvicinando la “tempesta perfetta” non sono in grado di dirlo, certo è che ciò che abbiamo visto fino ad oggi è solo un antipasto di quello che verrà.
*Vittorio Paiotta, docente
Liberiamo L’Italia – Pisa