Con il passaggio della senatrice Alessandra Riccardi alla Lega, il governo Conte non dispone più della maggioranza assoluta al Senato.
Ben 13 senatori pentastellati sono passati in questi due anni di legislatura ai banchi di altre formazioni politiche, oppure al Gruppo Misto. Resta il fatto che i 160 voti favorevoli di cui questo governo dispone, sono al di sotto della maggioranza assoluta, che al Senato è fissata a quota 161.
Ora, che l’esecutivo guidato dall’avvocato pugliese ami giocare con le cifre, dal numero dei morti e dei contagiati di coronavirus alla quantità di denaro erogata finora per lenire i danni della chiusura totale, è cosa ben nota. Pensare di poter impunemente navigare al governo del paese per mesi, o addirittura anni, senza una vera maggioranza parlamentare, è d’altra parte un esercizio di incoscienza, oltre che di arroganza, che potrebbe facilmente concludersi lungo i bordi affilati degli scogli della politica nostrana.
Eppure, ad un’analisi più approfondita, non è difficile arguire che il governo riuscirà, almeno a breve termine, a sopravvivere alle dinamiche del voto parlamentare.
Se il governo cadrà nell’autunno, sarà esclusivamente per merito di un’eventuale sollevazione popolare, che potrà nascere dall’indignazione e dalla rabbia nei confronti di un governo affamatore e liberticida.
Le ragioni di questo convincimento? Sono diverse, e in parte coincidono con altrettanti errori del partito di maggioranza relativa, i Cinque Stelle.
Prima ragione, il vizio d’origine di questo esecutivo, ovvero la fine dell’esperienza gialloverde e la nascita del sodalizio Pd-Cinque Stelle.
Un simile cambio di maggioranza, nel corso della medesima legislatura, ha pochi eguali anche nella politica europea di questi anni. Con la fine del bipolarismo tra conservatori e socialdemocratici, e la nascita di nuove formazioni politiche, spesso la nascita di un nuovo esecutivo comporta in diversi parlamenti l’avvio di sfibranti e incerte trattative, si pensi alla Spagna dell’ultimo lustro.
Tornando al nostro paese, ciò che è accaduto repentinamente nella calda estate dell’anno scorso, troppo repentinamente, ha comportato un grave ferita per la nostra democrazia.
Senza forse rendersene conto, col loro impareggiabile mix di inesperienza politica e di mero attaccamento alle strutture del potere, i vertici grillini hanno riportato al potere il partito che nelle sue varie evoluzioni nominali (il serpentone metamorfico di Costanzo Preve) è il maggior responsabile dello sfascio, della catastrofe attuale: il Pd.
Le elezioni del 4 marzo 2018 aveva rappresentato un fortissimo segnale di discontinuità e di richiesta di cambiamento nell’asfittico panorama della politica nostrana. Maggiormente premiati dalle urne risultavano essere i due partiti con la più forte connotazione anti-europeista, il Movimento Cinque Stelle e la Lega.
In un angolo del ring, confuso e inebetito, stava quel Partito Democratico che per tanti anni era stato lo zelante esecutore degli ordini provenienti da oltralpe, il maggiordomo di Bruxelles sempre pronto a giustificare ogni atto di governo contrario agli interessi popolari con la frase “Ce lo chiede l’Europa”.
Ora che questo partito è tornato in sella, non sarà semplice disfarsene. In quanto partito-sistema, partito che è il tramite naturale di ogni sollecitazione proveniente dalla finanza speculativa, dal mondo delle banche, e della grande industria, il Pd dispone facilmente di tutta una serie di strumenti atti a difenderne l’operato, a produrre una cortina di fumo, distribuire denaro quando necessario, e reprimere il dissenso.
Si pensi al mondo dei mass-media, ai grandi quotidiani, alle televisioni, e ancora ai potentati dei social media, nuovi alfieri del politicamente corretto. Si pensi alla magistratura, investita dallo scandalo Palamara e formata da correnti avvelenate e dedite alla spartizione delle cariche.
Infine, si pensi alle grandi cooperative nel mondo dell’edilizia, capaci di muovere miliardi di euro, come la CMC di Ravenna, vero dominus di tutta la trentennale vicenda del treno ad alta velocità in Val di Susa.
Tutte queste corporazioni afferiscono al Partito Democratico, ne costituiscono in un certo senso il consiglio d’amministrazione di marxiana memoria.
Il secondo motivo che spinge a credere in un difficile ritorno alle urne, sono le dolcissime parole che Silvio Berlusconi ha indirizzato a Giuseppe Conte, parole che quest’ultimo dimostra di aver compreso, e apprezzato assai. Se non proprio l’inizio di una vera relazione amorosa, sono il segnale di un aiuto che verrà erogato ogni qual volta vi sarà un’autentica necessità. Di sicuro, nel quadro dell’approvazione autunnale della legge di bilancio.
Il terzo motivo, consiste in un’assenza, se ci viene permesso il gioco di parole. L’assenza dell’opposizione di centro-destra; di Berlusconi abbiamo appena detto, sempre pronto a spendersi e a spendere i propri gettoni per operazioni basate sul dare e avere, resta lo sconcertante caso di Salvini e Meloni.
I due leader non hanno saputo imbastire un’opposizione minimamente credibile alle scellerate decisioni prese dal governo Conte nei cupi mesi del lockdown. Fin dai primi giorni di marzo, Matteo Salvini oscillava tra il richiedere aperture indiscriminate e il “tutti a casa, chiudiamo tutto”, dimostrando così una totale subordinazione alle volatili notizie del giorno, oltre che una spaventosa povertà di idee, politica e culturale.
In seguito, i governatori a guida centro-destra, si sono contraddistinti per una volontà punitiva verso i propri cittadini, che a volte superava persino quella dello stesso governo nazionale. Anche sul piano delle scelte economiche, non giunge dal centro-destra, sovranista solo in apparenza, nessuna parola sull’emissione di titoli di stato, sulla possibilità di stampare moneta nazionale, niente insomma che vada oltre lo stucchevole dibattito su Mes e Recovery Fund, come se non fossero parte dello stesso meccanismo predatorio e di spoliazione delle risorse italiana.
In questo quadro, non ci stanchiamo di ripeterlo, occorre che sia il popolo italiano a supplire alle carenze di una democrazia che non è più da tempo, la democrazia progressiva della Carta Costituzionale originaria. Riconquistare la sovranità popolare si può e si deve, sia attraverso la presenza, responsabile, determinata e continuativa, nelle piazze italiane, sia attraverso la costruzione, di una soggettività politica, che sappia abbracciare, tutta quella moltitudine di italiani, immiseriti dalle politiche neo-liberiste degli ultimi trent’anni e oltre.
Liberiamo l’Italia c’è, è presente sui territori, ed è un fattore essenziale, nella sua opera propositiva e di mediazione, della tenuta democratica italiana.
*Alberto Melotto è membro del Cpt Torino
E allora? Lo straripetuto ‘se non ora quando’, qui non stona proprio: Liberiamo l’Italia divenga partito, dalla parte della sovranità popolare costituzionale. Lo faccia subito perché non c’è molto tempo per organizzare le lotte dell’autunno che ci libereranno da questo governo infame.
Un bell’articolo, Alberto. Per fortuna, molte persone e gruppi si stanno svegliando. Occorrerà unire tutti in un armonico coro che canta: Sovranità, Dignità, Democrazia, Diritti costituzionali e Universali!