È il “capitale” compatibile con la democrazia?
Pensiamo di vivere in uno stato democratico perché di quando in quando ci viene concesso di esprimere la nostra opinione attraverso le elezioni di organi di rappresentanza.
Ma quanto conta la nostra opinione rispetto ai “grandi”? Nulla.
Le leve del potere stanno in altre mani, di chi ha la disponibilità di capitali per comprare quote del debito pubblico, per finanziare partiti, per indirizzare i media verso questa o quella opinione.
Il potere decisionale dei cittadini rimane così marginale, al limite del formale.
Questo dimostra la profonda ragione che ebbe Rousseau quando nel Contratto Sociale disse che il potere economico si trasforma in potere politico.
Lo abbiamo potuto verificare in questi mesi, fra i mille e mille esempi, per quanto riguarda la trattativa Stato-Benetton sulle concessioni autostradali.
I capitali del gruppo veneto fanno gola al governo, che necessita di questi per altri progetti, per esempio la questione Alitalia.
Così, per evitare il ritiro dei gestori del Ponte Morandi da altri settori, si cerca in tutti i modi di non scontentarli.
Che abbiano in concessione il sostituto del viadotto da loro fatto crollare tramite incuria e menefreghismo, che continuino pure a depredare i liguri dei loro risparmi.
A loro difesa sta la cittadella del loro capitale, la forza della ricchezza sottratta negli anni ai lavoratori di quattro continenti diversi.
È arrivato il momento di chiedersi: può vivere la democrazia sotto il costante ricatto degli imprenditori?
Può il potere pubblico convivere con un potere privato che non risponde a nessuno?
La risposta è no.
*Leonardo Sinigaglia è membro del Cpt di Genova