(Marco Giannini) – Buongiorno Leonardo in questa intervista vorrei che spaziasse e non si limitasse allo “stretto necessario”.Sa, quando ascolto i TG ed i Talk Show ripenso alle parole del Nobel economico Stiglitz che, nel saggio “Freefall”, sosteneva che i poteri forti neoliberisti avrebbero fallito, qualora avessero cercato di combinare in Europa ciò che avevano provocato nel sud est asiatico, alla fine degli anni ’90. Io invece trovo che i media siano prodigiosi nel non fare accorgere, ai cittadini dei paesi che in UE soccombono (L’Italia), di essere sfruttati da quelli che della UE approfittano (Germania). A questo scopo hanno inventato il termine imbecille di “sovranisti”.
1) Mi scusi la premessa Leonardo, ci parli di Liberiamo l’Italia: che ruolo ha lei all’interno di questa forza politica, quando nasce, quali sono i suoi scopi e la sua collocazione ideologica.
Liberiamo l’Italia (Lit) è un movimento nato con la manifestazione del 12 ottobre 2019, il primo corteo nazionale per l’Italexit. Visto il successo dell’iniziativa, i suoi promotori decisero di avviare il processo costitutivo di un soggetto politico che ne portasse avanti i contenuti. Uscire dall’Unione Europea e dal neoliberismo, riconquistare la sovranità nazionale, applicare la Costituzione del 1948 dando a tutti lavoro e dignità: questi gli obiettivi su cui siamo nati, la cui attualità è perfino superfluo ricordare. Lit ha un coordinamento nazionale di cui faccio parte.
2) Liberiamo l’Italia può trovare un percorso comune con altri soggetti, penso alla neonascente “Italexit” di Gianluigi Paragone e/o a “Vox” di Fusaro?
Fin dalle sue origini, Lit ha teso a costruire un percorso unitario con tutti i soggetti che, in vario modo, si collocano nell’area che si batte per la sovranità e contro il liberismo, contro l’Ue e per l’affermazione dei principi costituzionali. La Marcia della liberazione del prossimo 10 ottobre sarà un buon passo avanti nella giusta direzione. Tutti i soggetti ai quali si riferisce, più altri ancora, saranno in piazza insieme quel giorno. Ed il lavoro unitario è già in corso da settimane nel comitato organizzatore. Ma la piazza non basta, occorre anche un soggetto politico organizzato. Da qui il rapporto stretto che stiamo costruendo con il Partito dell’Italexit lanciato da Gianluigi Paragone. Tra il manifesto di Lit e quello di Paragone la convergenza è pressoché totale. Un grande passo avanti per tutti quelli che credono davvero nella possibilità di liberare il nostro Paese.
3) Andiamo al recente. Il Recovery Fund: è stato davvero un successo o, come amo affermare io, “il futuro dei nostri figli e nipoti è stato pignorato per 30 anni“?
Il Recovery Fund, come tutto il “pacchetto” europeo nel suo insieme (Mes, Sure, Bei) è una truffa. L’oligarchia eurista ha fatto come con la Costituzione europea 15 anni fa. Siccome i referendum in Francia ed Olanda la respinsero, si trasferirono quei contenuti nel successivo Trattato di Lisbona, che in quanto tale aggirava la possibilità dei referendum nazionali. Adesso hanno fatto la stessa cosa: poiché dopo la Grecia nessuno vuole il Mes (neppure Cipro!), si sono inventati il Recovery Fund, che in buona sostanza è un super-Mes mascherato da buone intenzioni. Col Recovery Fund non arriveranno “soldi gratis”, come la propaganda vorrebbe far credere, ma piuttosto prestiti da restituire con gli interessi. E quelle che vengono pomposamente chiamate “sovvenzioni”, sono in realtà trasferimenti all’interno di una complessa partita di giro, alla fine della quale resteranno solo pochi spiccioli. Ma la cosa ancor più grave è che, in buona sostanza, quelle stesse “condizionalità” del Mes che molti dicono di voler respingere, ce le ritroveremo pari pari nelle regole del Recovery Fund. Per l’Italia questo significherà nuova austerità, nuovi tagli alla spesa pubblica, un nuovo attacco alle pensioni.
4) Perché in UE non si è fatto come in USA e Inghilterra dove la Banca Centrale, per far fronte al Covid-19, ha stampato moneta sostenendo famiglie e imprese per l’equivalente di 15000 euro? La scelta degli alti prelati di Bruxelles rientra in un ben determinato paradigma già visto o sbaglio?
Sì, è così. Tutti sanno che davanti alla drammaticità di questa crisi sarebbe stato necessario monetizzare, dunque sterilizzare, il debito. Ma l’UE non poteva farlo, sia per il suo impianto geneticamente ordoliberista, sia per l’assurdità (non a caso un unicum a livello mondiale) di una moneta unica per 19 Stati. Stati che, lo abbiamo visto al recente Consiglio europeo, vanno ormai in ordine sparso. Ognun per sé, sempre più divisi negli interessi e negli obiettivi, incerottati alla bell’e meglio solo dalla necessità di non smentire quella sorta di credo eurista da cui traggono potere e legittimità le varie èlite nazionali.
5) Come saprà il tessuto produttivo del nord è molto intrecciato in un interscambio con la Germania: uscendo dall’Euro non teme contraccolpi da questo punto di vista?
Nessuno di noi ha mai pensato a percorsi indolori. Uscire non sarà una passeggiata, ma restare nella gabbia dell’euro sarebbe molto peggio. Il raffronto non va fatto tra i problemi dell’uscita ed una tranquilla permanenza. Stando dentro, infatti, non vi sarà tranquillità alcuna. La dimostrazione è nella storia degli ultimi 12 anni, ma i prossimi saranno peggio. Il tessuto produttivo del nord non ha nulla da temere dall’uscita, anzi il ritorno alla sovranità ci consentirà di sviluppare una politica industriale degna di questo nome. Già prima del Covid 19 avevamo perso il 25% della produzione e della capacità produttiva dell’industria italiana. Tutto ciò è avvenuto stando nell’euro, non sarà difficile fare meglio uscendo! Quando gli industriali professano la loro fede eurista, lo fanno non in nome del sistema produttivo nazionale, ma dei loro immediati interessi. Come noto, il vincolo esterno è la chiave con la quale si abbassano i salari e si tolgono i diritti. Ai padroni del vapore non può fare che piacere, ma in questo modo l’industria italiana langue. In quanto all’interscambio con la Germania non vedo problemi. Che forse dopo l’uscita i tedeschi smetteranno di commerciare? Non credo proprio, mica gli dichiareremo guerra! Ad ogni modo, ove lo facessero, ricordiamoci che la Germania è un paese di 82 milioni di abitanti in un mondo che ne conta 7 miliardi e 700 milioni…
6) Non crede che una uscita dall’euro possa essere realizzata solo in modo concordato (anche pagando un prezzo iniziale) onde evitare che gli ex partner ci riservino una guerra commerciale?
Un’uscita concordata sarebbe la cosa migliore. Sicuramente la più saggia, ma non dipenderà solo da noi. Questa possibilità andrà offerta alla nostra controparte, ma sempre con la determinazione ad uscire. Diciamo che bisognerà avere un piano A (uscita concordata) ed un piano B (uscita unilaterale). La determinazione è l’aspetto decisivo, lo si è visto anche con la Brexit. Avere un piano B, ed essere pronti ad usarlo, rafforzerà il piano A, ma nessuno può prevedere oggi a tavolino come andranno le cose al momento della verità. In gioco saranno infatti innumerevoli fattori di tipo politico e geopolitico, ancor prima che economico. Ad ogni modo ritengo che la minaccia di una guerra commerciale sia sostanzialmente una tigre di carta. Ipotesi sempre da considerare, certo, ma non la più probabile.
7) Domani è venerdi sera ed a banche chiuse decidiamo di uscire dall’euro… per farlo serve un Decreto che ci consenta di tornare in possesso di una Banca Centrale. Serve però la firma del Presidente della Repubblica ma egli si rifiuta anche la seconda volta e la stessa cosa la fanno i Presidenti delle Camera. Come si fa?Crede davvero che i cittadini saprebbero distinguere la non firma come un golpe?
Beh, nonostante tutto la nostra è pur sempre una Repubblica parlamentare. Non dimentichiamoci che i poteri assunti nell’ultimo decennio dal Quirinale sono anche il frutto di un Parlamento e di forze politiche deboli. E’ chiaro che bisogna ricostruire la centralità del Parlamento. Ma per farlo occorrono forze politiche adeguate, radicate nella società, dotate di una classe dirigente degna di questo nome. Si torna qui al tema del Partito dell’Italexit, un partito che non solo dovrà essere capace di rappresentare al meglio gli interessi popolari, ma che dovrà suscitare ed organizzare la mobilitazione di massa per conseguire i suoi obiettivi. Se si andrà su questa strada si potrà resistere anche al possibile golpismo quirinalizio. A tal proposito vorrei ricordare quanto avvenuto il 28 maggio 2018. Quel giorno Mattarella bocciò la nomina a ministro dell’Economia di Paolo Savona. Il Movimento 5 Stelle chiese – ma solo per qualche ora! – l’impeachment, la Lega del coraggioso Salvini si eclissò. Cosa sarebbe avvenuto se questi due partiti avessero invece mobilitato la piazza? Oggi sappiamo con certezza che né Di Maio né il “capitone” lo avrebbero mai fatto, ma la domanda rimane ed io penso che la maggioranza dei cittadini sarebbe stata dalla parte giusta.
8) In uno scenario come quello descritto nella domanda precedente non teme che dal lunedì seguente lo spread ci porti al default? Inoltre come la mettiamo con il circolante nella nuova moneta che non è stato ancora creato?
Calma. I detentori dei titoli italiani (incluso quelli esteri) non hanno certo interesse al default, anzi! Naturalmente vi sarebbero tensioni legate al nuovo cambio, ma quel che va considerato è che lo spread riguarda solo il mercato secondario. Dunque, di per sé una breve fiammata dello spread non influenzerebbe minimamente il costo del debito pubblico, specie se lo Stato si sarà preparato all’evento. D’altro canto lo spread sale finché non si arriva all’uscita, dopo di che – con la nuova Banca centrale – non esisterà più spread alcuno. Ovviamente la nuova moneta andrà preparata, e per un certo periodo è possibile immaginare un regime di doppia circolazione interna. Ma sono questioni tecniche, che da un lato sono troppo complesse per essere sviluppate in un’intervista, dall’altro andranno viste in relazione alla concreta situazione del momento. Come ho già detto, noi non neghiamo affatto le criticità dell’uscita, ma affermiamo che si tratta comunque di difficoltà affrontabili. In caso contrario dovremmo concludere che l’euro rappresenti la fine della storia: una cosa assurda, ma soprattutto ridicola.
9) Benissimo. Ci parli dei vantaggi di un ritorno alla Lira?
I vantaggi sono noti: possibilità di agire sul cambio e sui tassi, possibilità di monetizzare il debito, dunque di tenere gli interessi al livello desiderato. Si tratta di strumenti indispensabili per mettere in campo una politica economica che ci porti fuori dalla crisi e dall’austerità, che combatta sul serio la disoccupazione e la precarietà. Ma non è solo all’economia che dobbiamo guardare. In gioco c’è la riconquista della sovranità politica, dunque della democrazia. Solo così i cittadini potranno tornare a contare, solo così si potrà selezionare una classe politica non servile, non asservita ai soliti potentati economici.
10) Come ci potremmo dotare di una nuova e necessaria politica industriale?
Per prima cosa l’industria italiana dovrà tendere a coprire tutte le principali esigenze del Paese. Sembrerebbe una banalità, ma in tempi di globalizzazione non lo è affatto. A febbraio abbiamo scoperto di dipendere dalla Cina per le mascherine! In secondo luogo va rafforzata la presenza dello Stato nell’economia ed i settori strategici (energia, trasporti, telecomunicazioni, acqua) vanno nazionalizzati. Oggi, con il “Decreto Rilancio”, lo Stato può entrare nel capitale delle aziende, ma solo temporaneamente e solo per salvarle, per poi riprivatizzarle subito dopo. E’ una follia, che significa la pubblicizzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti. Noi siamo invece perché questo ingresso nelle aziende metta nelle mani pubbliche la possibilità di indirizzare le scelte strategiche sul come e cosa produrre nell’interesse generale della collettività.
11) Ci parli un po’ del debito pubblico interno, cosa è? Le persone credono che sia qualcosa di dannoso e che esista “per colpa della corruzione anni ’80” un fenomeno esecrabile ma da questo punto di vista enfatizzato a sproposito…
Purché non sia di dimensioni patologiche, il debito pubblico interno non solo non è un problema, ma disponendo della piena sovranità monetaria può essere addirittura una leva importante dello sviluppo economico. Nel caso specifico dell’Italia la cosa è ancora più vera, visto il livello elevato della ricchezza finanziaria (oltre 4mila miliardi di euro) del Paese. Se si utilizza questa ricchezza per finanziare, con l’emissione di Btp, i necessari aumenti di spesa nella sanità e nella scuola, se la si utilizza per rilanciare gli investimenti, il debito pubblico può rivelarsi addirittura uno strumento prezioso. Il problema è che oggi lo Stato né investe, né spende per migliorare la spesa sociale. Ma questo non dipende dal debito, ma dalle regole draconiane cui siamo sottoposti nella gabbia europea. Una ragione in più per uscirne. La corruzione è ovviamente un fatto da combattere con ogni mezzo, ma le ragioni principali dell’aumento del debito sono ben altre.
12) Ci parli allora del debito estero, come si è formato e soprattutto da quando si è impennato?
A differenza di quello interno, il debito estero è invece un problema. E questo ci dice quanto sia pericolosa per l’Italia la strada del Recovery Fund, del Mes e del Sure. Tutti questi strumenti messi a punto dall’oligarchia eurista sono infatti basati sui prestiti. Prestiti da restituire all’Unione Europea, dunque debito estero. Storicamente, il debito italiano – quello estero in particolare – si è impennato fondamentalmente per due cause. In primo luogo il famoso “divorzio” tra Tesoro e Bankitalia, che mise il debito italiano nelle mani della speculazione finanziaria internazionale. Un atto irresponsabile, un vero tradimento degli interessi nazionali in nome dell’arrembante ideologia neoliberista, compiuto alla chetichella da Ciampi ed Andreatta nel 1981. La seconda causa dell’impennata del debito risiede nell’inscindibile coppia euro/austerità. L’austerità ha prodotto infatti quella crisi infinita che già vivevamo prima del Covid 19. Dall’ingresso nell’euro l’Italia ha perso il 25% del Pil potenziale che avrebbe potuto raggiungere restando alla Lira. Un dato enorme, perché se quel 25% non fosse venuto a mancare ben diversa sarebbe oggi la situazione del Paese.
13) Secondo lei (sa che io sono ancora legato emotivamente al M5s) perché il MoVimento è diventato come è adesso? Perché, ad esempio per quanto riguarda la domanda numero 11, i 5s non raccontano le cose come stanno e la buttano sempre sul discorso “corruzione” (complice anche il lavoro sporco di media come il FQ)?
Le ragioni della deriva dei Cinque Stelle sono tante. Ma forse quella principale è che il partito leggero, quello che “vive” nella Rete volutamente privo di una visione della società, non poteva produrre un vero gruppo dirigente. La ridicola teoria dell’«uno vale uno» ha fatto il resto. Alla fine M5S si è dimostrato il più grande concentrato di alcuni storici vizi nazionali: il trasformismo e l’attaccamento alla poltrona. Porsi semplicemente come “anti-Casta”, disinteressandosi delle ragioni strutturali che la Casta hanno prodotto, ha trasformato i pentastellati (basti pensare agli attuali parlamentari!) in ridicoli quanto inamovibili culi di pietra. Una fine ingloriosa che si commenta da sola. Sulla corruzione ho già detto: è ovviamente un fatto deprecabile e da combattere con ogni mezzo, ma bisogna sapere che il sistema la fa emergere solo quando serve ai propri fini. Fu così con “Mani pulite”, che preparò l’avvento della Seconda Repubblica maggioritaria e turbo-liberista; è così oggi con la narrazione dei Cinque Stelle (ma non solo) che usano questo argomento per nascondere i veri problemi di fondo. E’ un giochino facile facile, visto che la corruzione è diffusa e ben si presta a distogliere l’attenzione dal nodo europeo. Noi siamo favorevoli a misure drastiche contro la corruzione – proprio quelle che il regime non vuol prendere – ma la si smetta di utilizzarla strumentalmente per descrivere l’Italia come un “legno storto” che solo l’UE potrà raddrizzare. Tra l’altro l’Unione è fatta pure di paradisi fiscali per tutti i gusti, come l’Olanda, il Lussemburgo e l’Irlanda.
14) Ci illustri alcune proposte di Liberiamo l’Italia.
Andando necessariamente per titoli, rimando al nostro documento della scorsa primavera intitolato «La vera via d’uscita– Proposte per evitare la catastrofe dell’Italia». In queste proposte indichiamo la necessità di un grande piano di investimenti pubblici per raggiungere la piena occupazione, la ricostituzione immediata dell’IRI, la moratoria del debito pubblico posseduto dalla grande finanza speculativa, misure di salvaguardia del risparmio dei cittadini, una riduzione generalizzata delle imposte in vista di una profonda riforma fiscale, il controllo del movimento dei capitali, la rinazionalizzazione della Banca d’Italia come premessa per tornare ad una nostra moneta sovrana. Non c’è qui lo spazio per spiegare nel dettaglio ognuna di queste misure, ma credo che l’elenco indichi chiaramente le cose prioritarie da fare assieme all’uscita dalla gabbia dell’Unione Europea.
15) Adesso termino con una domanda alla Marzullo: si faccia una domanda e si risponda da sé.
Se fossi l’intervistatore chiederei: ma davvero pensate di farcela? Non vi sentite un po’ folli? A queste domande, più che legittime, rispondo che ce la faremo. Folle è chi pensa che vada bene così, peggio ancora chi sa che non va bene affatto ma crede di poter “riformare l’Europa”. Se non fosse la manifestazione di una disonestà intellettuale senza limiti, questa sì che sarebbe follia! Naturalmente, farcela non dipenderà solo da noi ed i processi storici sono spesso complicati e contorti. Ma il momento della lotta è questo, e non c’è lotta vincente senza un po’ di quell’ottimismo della volontà che significa determinazione, determinazione ed ancora determinazione.
Fonte: infosannio.com
Bella intervista. Soprattutto “buona” per il popolo italiano.