Agosto sembra essere il mese fatale dei Cinque Stelle. Un anno fa – primo artefice lo stratega di Rignano sull’Arno – i pentastellati stringevano l’accordo di governo col Pd. Quest’anno, quasi dovessero onorare una cambiale firmata allora, ecco la “svolta” sulle alleanze. D’ora in poi, a dispetto di quanto avverrà alle regionali di settembre, la linea sarà quella dell’alleanza strategica col Partito Democratico. Il bipolarismo ammaccato degli anni scorsi tende perciò a ricomporsi, con quali esiti ce lo dirà il tempo.
Così scrivevamo il 25 agosto 2019:
«Sono adesso i Cinque Stelle, spinti tra le braccia del Pd proprio da Salvini, a dover decidere se il loro futuro sarà semplicemente quello di farsi riassorbire ed integrare nel sistema. Non solo andando oggi al governo col Pd, ma predisponendosi in un domani non troppo lontano ad un’alleanza organica con quel partito. Perché questa è ormai la vera posta in gioco».
La vera posta in gioco… Eravamo dunque stati facili profeti. Ci hanno messo un anno, ma questi 365 giorni non sono trascorsi invano. Nella sostanza l’anomalia M5S era già finita con il governo Ursula, ma la formalizzazione della piena integrazione nel blocco a trazione piddina – avvenuta con il patetico voto on-line di ieri l’altro – uno scherzo non è.
Interessante come i due protagonisti della “nuova” alleanza – Zingaretti e Di Maio – hanno parlato della svolta sui giornali.
In una lunga intervista a La Stampa Giggino Di Maio ha dato il meglio di sé. Pur avendo a disposizione l’intera pagina 3 del quotidiano torinese è riuscito nella non facile impresa di non dire nulla. Parlando come un democristiano di lungo corso, che è poi la sua vera dote, è riuscito a smussare ogni cosa. La “svolta” c’è stata, ma è solo una “evoluzione”, il tutto condito da una citazione di Pietro Nenni sul fatto che «l’immobilismo giova alla conservazione», che sarebbe un po’ come dire che il fuoco giova a riscaldare l’ambiente. Una notiziona!
Decisamente più interessante l’urlo di gioia del segretario del Pd: «Luigi Di Maio è intelligente ed è stato di parola».
Interessante perché rimanda ad un impegno preso in precedenza, la qual cosa se da un lato è assolutamente normale dopo un anno di governo insieme, dall’altro chiarisce assai bene quali siano le prospettive politiche, almeno nella testa dei due contraenti della “nuova” alleanza di centrosinistra.
Abbiamo già accennato al fatto che questo accordo non avrà probabilmente ricadute immediate sulle prossime elezioni regionali. Si vocifera di un possibile scambio dell’ultima ora, con il ritiro incrociato del candidato Pd nelle Marche e quello M5S in Puglia. Vedremo, anche se sembrerebbe ormai troppo tardi per un’intesa di questo genere. Ad ogni modo la svolta c’è stata, e qualche impatto sulle urne settembrine (ad esempio col voto disgiunto in alcune regioni) ci sarà.
Ma questo è il meno. Il più riguarda le prospettive politiche future. Premesso che la crisi attuale non prepara certo tempi tranquilli, che dunque ogni scenario potrebbe venire terremotato dagli eventi, quattro mi sembrano le conseguenze della “svolta” pentastellata di Ferragosto. Ricapitoliamole.
- Nasce di fatto un nuovo “centrosinistra”, nel quale M5S è ormai assorbito come forza subalterna al Pd. Benché dilaniato da innumerevoli faide interne, quest’ultimo partito ricomincia a costruire una coalizione, dalla quale non potrà chiamarsi fuori il riottoso Renzi.
- Il nuovo quadro impatterà di certo sulla legge elettorale, rimettendo in discussione l’ipotesi del Germanicum (proporzionale con sbarramento al 5%), per aprirla forse ad una qualche variante dell’Italicum renziano, disegnato magari sul modello della legge per i comuni oltre i 15mila abitanti. La questione è controversa, visti i tanti interessi in gioco, ma quel che va segnalata è la possibilità che si torni ad un sistema fortemente maggioritario basato sul meccanismo escludente delle coalizioni.
- L’attuale alleanza di governo ne esce rafforzata, mentre non si può dire la stessa cosa per Conte ed il suo ruolo di pontiere. Visto lo scambio di amorosi sensi tra Zingaretti e Di Maio, vista la visita di Beppe Sala a Beppe Grillo nella sua villa al mare a Marina di Bibbona (dove “non hanno parlato di politica”, ci mancherebbe…), il terzo Giuseppe, quello che risiede a Palazzo Chigi, potrebbe perfino risultare d’ingombro. Ma uno sfratto sarebbe adesso prematuro. Dunque si vedrà, ma a questo punto anche un eventuale cambio di governo non significherebbe affatto un cambio di maggioranza.
- L’anomalia pentastellata è stata pienamente riassorbita dal sistema. Il Pd non è difatti semplicemente un partito. Anzi, come partito è per molti aspetti ormai evanescente. Il Pd conta piuttosto per il suo ruolo di perno di un sistema in crisi che non saprebbe a quale altro santo votarsi. Ed il Pd è il cardine del blocco eurista, quello che garantisce la sudditanza del nostro Paese all’Euro-Germania. Sarà un caso, ma l’unica sottolineatura del ministro degli Esteri Di Maio, nella già citata intervista a La Stampa, è che le attuali tensioni internazionali «devono spingerci a un rafforzamento dell’Ue e delle sue istituzioni».
Alla fine sempre lì si va a parare. Nacque così il governo Ursula, si formalizza così la nuova alleanza strategica (almeno nelle intenzioni) tra Pd ed M5S. Un’alleanza tenuta insieme da un cemento d’importazione, prodotto a Bruxelles e Berlino.
L’ultima cosa da dire è che più che un’alleanza tra uguali, quella che si sta compiendo è palesemente un’annessione, dove tutti sanno chi comanda e chi si adegua al comando. In questo modo l’emorragia elettorale pentastellata continuerà alla grande. La tranvata alle prossime regionali è certa. E, visto il riparo scelto, quelle future non saranno meno meritate.
Il bipolarismo che vorrebbero ricostruire nasce zoppo. Sono sempre meno gli italiani che vi si riconoscono. L’importante è che questa volta l’alternativa sbocci sotto il segno dell’Italexit.
E’ con questo impegno che salutiamo il mesto ingresso dei Cinque Stelle a Piddinia City. Con nessuna sorpresa e nessuna indulgenza.
*Leonardo mazzei è membro del Cpt di Lucca
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