Non c’è solo il referendum, dove andremo alle urne – come ha scritto Liberiamo l’Italia – per dire “No all’ennesima porcata neoliberista”. Ci sono pure le elezioni regionali. Si voterà in sette regioni, ma l’attesa più grande è per il risultato della Toscana.
Si dice che una sconfitta del Pd in questa regione potrebbe segnare la fine del governo Conte. Non lo penso, ma soprattutto non credo alla vittoria della leghista Ceccardi.
E’ curioso come il clima pre-elettorale faccia a pugni con una certa narrazione corrente. Secondo molti commentatori saremmo all’assedio della “cittadella rossa”, espugnata la quale orde di barbari tracimerebbero da ogni dove per devastare ogni cosa. Di fronte ad una così grande minaccia ci si dovrebbe aspettare un minimo di resistenza, quantomeno una campagna elettorale vivace e spumeggiante. Cioè l’esatto contrario di quel che sta accadendo. Ci sarà pure un perché.
Ma questo “perché” non sfiora nemmeno un po’ le illuminate menti di certi intellettuali. Sulle pagine dell’Huffington Post, lo scrittore Sandro Veronesi spara la sua: «Anche in Toscana permane ancora lo spiritello italiano che cent’anni fa ha dato corpo al fascismo».
Fascismo, fascismo, fascismo… Queste le uniche parole che sgorgano da chi semplicemente rifiuta di guardare in faccia la realtà. Che è lievemente più complessa.
Se davvero il confronto fosse tra fascismo ed antifascismo lo scontro avrebbe assunto ben altre tinte, mentre invece – bandite le idee, tanto a “destra” quanto a “sinistra” – i partiti cercano di rastrellare voti tramite il gioco largamente clientelare delle preferenze. Nel quadro di una campagna elettorale sonnacchiosa, in questi giorni la Toscana non è popolata da militanti motivati e combattivi, bensì da procacciatori di voti di preferenza e da un’infinità di comitati elettorali, con le loro sedi spuntate come funghi.
Sandro Veronesi è nato a Firenze, ma abita a Roma. Chi scrive vive invece in un piccolo comune toscano di seimila abitanti. Bene, nel centro di questo paese, nello spazio di 100 metri scarsi, si possono visitare le sedi di ben tre comitati elettorali, di cui due dello stesso partito. Ovviamente nessuno entra in questi uffici, affrettati e un po’ disadorni, ma pare che questa vetrina – dove giganteggiano all’americana le foto dei candidati – sia pressoché un obbligo. Ho scritto “candidati” al plurale non per caso, poiché il sistema delle preferenze di genere – a un voto ad una donna può seguire solo quello ad un uomo e viceversa – conduce ad una sorta di “gioco delle coppie”, mini-cordate a due sganciate da ogni contenuto politico che non sia il mero accumulo delle preferenze.
Vi pare che possa essere questo il clima di un’epica sfida tra fascismo ed antifascismo? Forse Veronesi non lo sa, ma questa spettacolare degenerazione della politica è frutto anche della legge elettorale toscana, dove spicca un’ingegnosa trovata piddina, un autentico unicum a livello mondiale. Sulla stampa nazionale si parla spesso del fatto che la Toscana sia l’unica regione dove, nel caso nessun candidato presidente raggiunga il 40% dei voti, è previsto il ballottaggio. Un’applicazione su scala regionale di quell’Italicum renziano bocciato dagli elettori nel referendum del 2016.
Non si parla mai, invece, dell’altra truffaldina genialata messa a segno dal Pd. La legge elettorale del 2014 prevede infatti che ogni lista possa avere un numero di candidati doppio rispetto ai seggi da assegnare nei vari collegi. Da sempre, ovunque nel mondo, se si deve eleggere un consiglio di 40 membri avrò al massimo 40 candidati. Da nessuna parte il numero dei candidati può eccedere quello degli eleggibili. Da nessuna parte, tranne la Toscana, dove invece i candidati sono il doppio! Un trucco che serve a drenare ulteriormente voti tramite le preferenze. Un sistema evidentemente favorevole a chi detiene il potere.
La verità è che nessun epico scontro è in atto, che spesso la battaglia più cruenta è quella tra i candidati dello stesso partito, che sui programmi identica è l’impronta neoliberista. Tant’è che sulla sanità, ad un Pd che pagherà i tagli della controriforma delle mega-Asl (ridotte a tre in tutta la regione), si contrappone una destra che propone il modello lombardo…
Ma soprattutto non c’è alcuna “cittadella rossa” da difendere. Non solo perché già ora molte città capoluogo della regione (per la precisione 6 su 10) sono governate dalla destra, ma perché non si vede proprio dove sia il “rosso”. E, ad esser precisi, neppure il rosa pallido.
Torniamo adesso a Veronesi ed al suo “argomentone” del fascismo. Poco più di un anno fa, nel maggio 2019, si tennero in contemporanea le elezioni europee e quelle comunali. Dunque, stessa data e stessi elettori, eppure risultati diversi, spesso addirittura opposti in tanti comuni della Toscana. Un trionfo della Lega alle europee, un sostanziale successo del Pd alle amministrative. In molti centri con una larga maggioranza di destra alle europee, alle comunali vinceva infatti – spesso piuttosto largamente – il Pd. Elettori “fascisti” con la mano destra ed “antifascisti” con la sinistra? Suvvia, siamo seri.
Su chi ancora cerca di capire i comportamenti elettorali parlando di fascismo ed antifascismo non abbiamo davvero più parole. Il fatto è che, in una regione come la Toscana, gli elettori – quelli delle classi popolari in particolare – oltre alle politiche nazionali pagano pure le scelte ultraliberiste del Pd fatte a livello locale. Da qui la spinta a destra, anche se da lì non arriva certo un’alternativa credibile.
Né un’alternativa viene dalle liste minori. Ovviamente non viene da M5S, dato dai sondaggi all’8%, ma che secondo chi scrive potrebbe anche sprofondare sotto la soglia di accesso del 5%. Ma, vista la sua visione globalista, non viene neppure da “Toscana a sinistra”, aggregato che comprende sia il Prc che Pap, una lista che ebbe più del 6% nel 2015, ma che stavolta si fermerà realisticamente attorno al 3%. Sulla scheda gli elettori toscani troveranno poi altri 3 simboli – Movimento 3v, Pci, Pc senza “i” – utili per un legittimo voto di protesta (che è sempre meglio ci sia), ma troppo chiusi in una logica identitaria per poter rappresentare davvero un’alternativa.
Bene, di fronte a questo quadro, qual è l’unica idea avanzata da Veronesi? Udite, udite: l’immigrazionismo. Per lo scrittore, l’immigrazione andrebbe favorita in tutti modi, perché: «È evidente che essa sola può aiutarci a contrastare il declino demografico che, come sempre nella storia, precede quello economico e sociale».
Anziché occuparsi delle ragioni economiche che portano tante coppie a non fare figli, anziché preoccuparsi della crescente emigrazione giovanile, spinta sia dalla mancanza di lavoro che dal crollo delle retribuzioni nel nostro Paese (la famosa “svalutazione interna” indotta dal sistema dell’euro), Veronesi vorrebbe far quadrare i conti con un bel rilancio di quella moderna tratta degli schiavi asetticamente chiamata “immigrazione”. Chiaro il perché lo faccia: più comodo presentarsi con una (per quanto finta) immagine umanitaria, che confrontarsi sul serio con le ragioni strutturali del grande declino italiano, in particolare con quelle targate Europa.
Questa comunque la sua proposta:
«C’è una quota considerevole di immigrati che noi in Italia potremmo assorbire con grande profitto, ridando vita ai borghi semi-abbandonati per via dell’emigrazione interna, ai paesi-fantasma sugli Appennini o sulle Prealpi, o nel meridione».
Oh bella! Far riempire agli immigrati i borghi semi-abbandonati dagli italiani. Un’ideona, ma non proprio originale. Veronesi non può saperlo (almeno credo), ma una simile proposta venne lanciata già alcuni anni fa da un sindaco di un comune montano, adesso candidato alle regionali per Fratelli d’Italia (antifascismo, antifascismo, antifascismo…). Secondo questo sindaco, gli immigrati avrebbero dovuto ripopolare i paesi ormai svuotati dell’Appennino Tosco-emiliano e delle Alpi Apuane. Nell’esporre sulla stampa questa sua idea, egli aveva perfino precisato una certa preferenza circa le nazionalità da indirizzare verso quei luoghi: trattandosi di zone di montagna bisognava privilegiare in primo luogo gli immigrati curdi ed afghani…
Non credo che la salviniana Ceccardi sarebbe d’accordo con questa idea del suo candidato, ma ancora più divertente è la coincidenza con la visione esposta da Veronesi.
Giunti a questo punto, so che sarete curiosi di sapere come andranno le cose domenica in Toscana. In realtà lo sapremo solo lunedì sera. Di sicuro abbiamo già stabilito che a decidere non sarà il “tasso di antifascismo”. Del resto, se adottassimo questo improbabile criterio, la regione più antifascista risulterebbe la Campania, vista l’annunciata larga vittoria dello sceriffo De Luca. Peccato che De Luca, oltre che come re delle clientele, vincerà proprio in quanto sceriffo… Un “dettaglio” sul quale gli “antifascisti” nulla hanno da obiettare.
Detto questo alcune previsioni le azzardiamo.
La prima è che non vi sarà ballottaggio, dato che la somma delle liste minori sarà ben lontana dal 20% dei voti. Sapremo perciò chi ha vinto già lunedì sera.
La seconda è la batosta, l’ennesima, che rimedieranno i Cinque Stelle. Nelle regionali del 2015 si fermarono poco sopra il 15%. Stavolta, ben che gli vada, dimezzeranno i voti. Ma non è da escludere che i pentastellati manchino addirittura la soglia del 5%, restando così fuori dal consiglio regionale. Cose che possono capitare quando a Roma si governa col Pd…
La terza riguarda “Toscana a sinistra”, per la quale – come precedentemente accennato – la mia previsione è, anche in questo caso, quella di un dimezzamento secco rispetto a cinque anni fa. Questa lista è un concentrato di quella sinistra sinistrata che nulla sa dire sulla decisiva questione dell’Europa, che è critica sì verso il Pd ma reputandolo pur sempre un male minore rispetto ai barbari leghisti. Una subalternità di fatto che sempre si paga nelle urne.
La quarta previsione – la più impegnativa – riguarda l’esito dello scontro Giani-Ceccardi. Ho detto in premessa di non credere alla vittoria di Ceccardi. E credo che l’articolo abbia spiegato il perché. Se la destra verrà sconfitta non sarà certo perché sarà scattato l’allarme antifascista, del quale tra la gente comune non c’è proprio traccia alcuna. Sarà invece perché – in un quadro di generale disinteresse e di indistinguibilità dei programmi – avrà vinto il partito-sistema, quello allenato da decenni all’esercizio del potere locale. Ricco quanto mai di clientele, messe ancora più a frutto da una legge elettorale disegnata allo scopo.
Ne riparleremo comunque tra qualche giorno. Ma intanto spero che si sia capito che la Toscana reale non è quella descritta da Sandro Veronesi.
Grazie per l’ottima analisi.