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CHE FINE HA FATTO L’OSPEDALE DI TORTONA?

di Italexit - Piemonte
10 Novembre 2020
in Salute
0
CHE FINE HA FATTO L’OSPEDALE DI TORTONA?
Letture: 701

Pubblichiamo la testimonianza di chi opera dall’interno di un ospedale, per guarire i malati di covid-19. Nel testo vengono alla luce le drammatiche responsabilità di una classe politica italiana che negli ultimi trent’anni ha privatizzato,  bloccato le assunzioni di medici e infermieri  ridotto al lumicino i posti letto per i malati gravi.

NOTIZIE DA TORTONA – CRONACA QUOTIDIANA: che fine ha fatto l’ospedale
Narrazione dall’interno di un ospedale … o di quello che ne rimane.
L’Ospedale di Tortona è impropriamente ed ingiustamente noto per la morte di Fausto Coppi nel 1960.
Negli anni 70 e 80 è stato un vero e proprio gioiello, vi hanno lavorato medici di grande spessore, dal prof. Astaldi al prof. Uggeri, dal Prof Casali allo stesso prof Fracchia.
Negli anni 90 è stato un punto di riferimento anche per gli ospedali vicini in quanto si ricoveravano casi gravi, particolari patologie allora rare e poco conosciute, con rarissimi trasferimenti in altri centri, in quanto vi lavoravano specialisti diversi, sia nei reparti medici che nei reparti chirurgici.
Poi la svolta: nel 2001 vengono istituite le Aziende Ospedaliere. Da allora si è progressivamente assistito ad un declino dell’ospedale, cui anche quello di Tortona ha dovuto inevitabilmente sottostare.
Si è iniziato “risparmiando” sui materiali e sugli strumenti, non sostituendo quelli obsoleti o non acquistando nuovi strumenti laddove vi era una possibile progressione dell’attività o nuove idee da parte degli operatori sanitari.
Quindi si è risparmiato sulla qualità degli strumenti privilegiando negli appalti il prezzo più basso.
Poi si è risparmiato sul personale, sostituendo dapprima un operatore ogni quattro che si dimettevano o andavano in pensione (senza più nemmeno supplire le assenze per malattia e/o maternità), quindi bloccando per anni le assunzioni, un po’ come in tutta Italia.
Infine si è verificato il “fattaccio” che ha dato all’Ospedale di Tortona il colpo di grazia: la creazione nel 2013 dell’Ospedale unico Novi Ligure – Tortona e lo spostamento del reparto di Ostetricia – Ginecologia a Novi Ligure.
Questo ha fatto sì che il DEA (Dipartimento di Emergenza ed Accettazione) venisse declassato a Pronto Soccorso, proprio per l’assenza del punto nascite, indispensabile per essere un DEA.
Da qui tutta una serie di chiusure dei vari reparti: dall’Oculistica all’Otorinolaringoiatria, dalla Pediatria alla Neurologia, infine la Cardiologia, con la beffa che l’inaugurazione ufficiale della nuova unità coronarica è avvenuta quando i letti erano già occupati da degenti della Medicina che nel frattempo si è accollata questo secondo reparto in quanto gli specialisti cardiologi rimasti sono entrati in organico con quelli della Medicina.
Questo fatto ha causato una serie di incongruenze:
1) Malati cardiologici ricoverati nella ex unità coronarica e monitorati, spesso senza un cardiologo di turno di notte (le guardie interdivisionali erano a rotazione tra specialisti di area medica e chirurgica), con reperibilità notturna di un cardiologo.
2) Specialisti cardiologi, che comunque dovevano garantire assistenza dalle 8 alle 20 al pronto soccorso e tutti i loro ambulatori, che per i pensionamenti ed un trasferimento in altra sede sono rimasti dapprima in 4, attualmente uno solo
3) Assistenza telematica notturna da parte del cardiologo di guardia a Novi Ligure che a volte non poteva dare risposta agli ECG in tempo reale ma, soprattutto ed ovviamente, non poteva visitare il malato, con conseguenti perdite di tempo che, sappiamo tutti, possono a volte costare assai caro al paziente.
4) Medici della Medicina che, quasi quotidianamente, venivano “tolti” dal reparto per accompagnare i pazienti dal pronto soccorso tramite le ambulanze in altri Ospedali, di solito quello di Novi Ligure, a volte addirittura a Cuneo, proprio per mancanza di reparti. L’Ospedale si è trasformato in una sorta di agenzia viaggi.
5) Non si può tacere sulla privatizzazione di tutti i servizi: dalla pulizia dei reparti e delle parti comuni, alla mensa, dal GUM (gestione unica del materiale) alla DUF (dose unica del farmaco, inutile e pericolosa, che rallenta notevolmente l’attività medica), alla sterilizzazione dei ferri chirurgici, sollevando grossi dubbi sulla correttezza e validità degli appalti ASL.
E veniamo al periodo COVID:
A marzo ho fatto qualche turno. Non c’erano protocolli né diagnostici (al di la’ del tampone) né terapeutici. Si andava col buon senso. Si intubavano tutti e molti morivano. Poi dopo che sono arrivati gli esiti delle autopsie che mostrava che il vero problema non era il virus ma la risposta eccessiva di difesa che gli organismi, di fronte a qualcosa di sconosciuto, mettevano in atto e quindi che il problema non era tanto la polmonite interstiziale quanto patologie gravi come DIC (coagulazione intravascolare disseminata) o ARDS (sindrome del distress respiratorio dell’adulto) o microembolie in vari organi con ictus infarti miocardici insufficienza renale acuta ecc., si è creato un TAM TAM tra medici e vari ospedali (mai governo, ISS, ASL, regione ecc..) per cui si è cominciato ad usare eparina, idrossiclorochina (plaquenil, poi tolto dall’aifa perché costa pochissimo, ufficialmente per gli effetti collaterali, peraltro assenti visto che l’ho assunto per 10 giorni ed è il farmaco che mi ha salvato la vita!) e nella DIC il plasma e da metà aprile, quando si faceva in questo modo, si sono salvati quasi tutti.
Adesso la situazione del virus è migliore (il rapporto tra tamponi eseguiti e positivi MALATI è decisamente inferiore a quello di marzo inizio aprile) ma quella dell’ospedale è tragica: non ci sono medici volontari, abbiamo una decina di ricoverati della nostra zona e una novantina di Torino e la chiusura del pronto soccorso ha ridotto il filtro: ne arrivano 8-10 per volta e spesso di notte quando c’è solo un medico in turno. Un disastro.
I miei colleghi, ormai schiavi, sono lì in mezzo in una lotta impari.
E in tutto questo casino la burocrazia continua ad imperare.
Mi dicono che per dimettere una persona ci vuole almeno un’ora fra lettera di dimissioni e moduli da compilare.
Fonte: No Europa per l’Italia – Italexit – Piemonte
Tags: Aziende ospedaliereblocco assunzionicovid-19risparmitagli alla sanitàTortona
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