Quella in corso è la crisi di governo più paradossale della storia della repubblica. Da un lato mai come stavolta il governo si meriterebbe di venire cacciato a pedate. Dall’altro, anche chi lo vuole affondare, di tutto parla fuorché dei problemi del Paese. La situazione è così bizzarra che si rischia di sottovalutare quel che sta accadendo. Del resto, come fai a prendere sul serio un personaggio come Renzi?
Alcuni amici ci hanno chiesto se non è questo il momento per il fin troppo annunciato arrivo di Draghi. Magari verrò smentito a breve, ma non credo che andrà a finire così. Ciononostante la figura dell’ex presidente della Bce resta centrale. E ragionare attorno ad essa può farci capire molte cose.
Noi e la crisi
Molte sono le domande in questo momento. Proveremo perciò a rispondere almeno a quelle principali. Ma prima di metterle a fuoco, esprimiamo subito in tre punti una posizione netta sugli sviluppi della crisi di governo.
Primo, Conte deve dimettersi, e la sua maggioranza deve andarsene a casa, non perché glielo chiede il Bomba fiorentino, ma perché il suo è un governo servo della cupola eurista, che con le politiche di chiusura del Paese ha fallito totalmente nella gestione dell’epidemia, mandando a catafascio l’economia nazionale, causando di fatto la perdita di un milione e mezzo di posti di lavoro e la povertà di milioni di persone.
Secondo, bisogna andare al più presto alle elezioni politiche. Ogni riproposizione dell’attuale maggioranza sarebbe un insulto agli italiani ed alla democrazia, mentre un eventuale governo di larghe intese (“istituzionale” o “tecnico” che dir si voglia) sarebbe pure peggio, ancor più servo degli eurocrati e della cupola oligarchica mondialista.
Terzo, le elezioni anticipate restano improbabili, ma qualora si andasse verso il voto le forze patriottiche, quelle del sovranismo costituzionale e democratico, dovranno fare in modo – unendosi – di essere presenti sulla scheda elettorale. Si tratta di un obiettivo ambizioso quanto irrinunciabile. Di certo non vediamo nell’attuale panorama parlamentare nessuna forza che possa credibilmente presentarsi come davvero alternativa al marciume presente. Un Terzo Polo, contrapposto agli interscambiabili schieramenti di “centrosinistra” e di “centrodestra”, fermo nei suoi obiettivi e nei suoi programmi, è perciò necessario. E va costruito.
L’errore di Renzi
Ma andremo veramente alle elezioni? Di certo non è questa l’intenzione di Renzi, ma neppure quella di Conte. Le urne sono temute dal Pd e dai Cinque Stelle, come pure da Forza Italia. Non solo, al di là di una certa ormai fiacca propaganda, neppure Salvini ci crede davvero. Dunque, tirate le somme, dovremmo concludere che le elezioni anticipate sono escluse al 100%. Fino ad un mese fa questa conclusione era condivisa anche da chi scrive. Oggi le cose si sono in parte complicate. Volendo quantificare, giusto per intenderci, mi pare ragionevole assegnare adesso alla prospettiva elettorale un 20% di possibilità. Non è molto, ma non è più lo zero di prima. Vedremo di seguito il perché.
Il giocatore di poker Matteo Renzi, a caccia di una sorta di “certificato di esistenza in vita” per il sue esile partitino, si è mosso in base a due ipotesi ben precise: che le elezioni siano escluse al 100%, che i pentastellati siano ormai dei pugili suonati cui tutto si può strappare senza difficoltà. Si tratta, naturalmente, di due ipotesi ben fondate, ma che forse non considerano a sufficienza altri elementi in gioco.
Posto che l’obiettivo politico e simbolico era ed è la testa di Conte, considerato come tale obiettivo certo non spiacerebbe affatto a tanti maggiorenti del Pd, Renzi ha pensato di isolare l’avvocato pugliese con una tattica tanto spericolata (e così è stato) quanto vincente (e su questo dubitiamo molto).
Il fatto è che la testa di Conte poteva essere chiesta solo ad una condizione: che fosse davvero spendibile la carta Draghi. Ma questa carta per ora non c’è. Ed a mio parere non verrà fuori nelle prossime settimane. Con un Draghi in pista tutto sarebbe stato semplice. Chi mai si sarebbe opposto all’arrivo di questo mitico (quanto improbabile) “Salvatore”? A livello parlamentare praticamente nessuno. Nella maggioranza di governo, Pd, Leu ed Iv gli avrebbero steso il tappeto rosso, mentre lo stesso M5s avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Nella finta opposizione di destra Forza Italia avrebbe esultato, mentre pure la Lega (ricordiamoci le tante dichiarazioni di Salvini in proposito) avrebbe dato il suo assenso.
L’operazione sarebbe stata così semplice, così lineare, così ovvia, che se fosse stata possibile la carta Draghi già l’avrebbero giocata da tempo. La cosa è talmente evidente che stupisce che se ne continui a parlare.
Ma senza Draghi la posizione di Conte non è debole, è forte. Senza Draghi non esiste un nome che possa giustificare l’ammucchiata generale in parlamento. Senza Draghi non si capisce chi altri avrebbe i titoli per sostituire Conte alla testa della stessa maggioranza a guida Pd-M5s.
Questi “titoli” non riguardano ovviamente un astratto “merito”, bensì una concreta logica politica. Il Pd – che, non dimentichiamolo, è il partito che ha in mano il “pallino” della crisi – ha un serio problema. Tra i commentatori questo problema è generalmente trascurato, ma di certo non lo trascura la dirigenza piddina. Ed il problema è semplice: il Pd non può andare alle elezioni (che prima o poi comunque ci saranno) senza una coalizione. E questa coalizione sarebbe perdente in partenza senza i Cinque Stelle. E forse anche senza Conte, nell’ipotesi che egli voglia farsi (come sembra) un proprio partitino.
Può Zingaretti prescindere da questa esigenza? Davvero non si vede come. Che senso avrebbe, allora, umiliare definitivamente i pentastellati sostituendo Conte con Franceschini? Penso che perfino il barbutello ferrarese, da democristiano di lungo corso qual è, sappia che così stanno le cose. Sostituire Conte non sarà dunque facile. Certo, un Conte “insostituibile” ce la dice lunga sulla qualità della classe politica generata dalla Seconda Repubblica, ma tant’è. E stavolta il pokerista Matteo Renzi ha probabilmente sbagliato i suoi calcoli.
Emersione dei “responsabili” in vista?
Fin qui abbiamo detto del Pd e dei Cinque Stelle. Ma da soli (Leu è sostanzialmente una costola esterna del Pd) i numeri in parlamento per andare avanti non ce l’hanno, specie al Senato.
Conte potrebbe dunque restare in sella solo con il soccorso di una pattuglia di “responsabili” provenienti da Forza Italia, dai tanti che hanno cambiato casacca trovando rifugio nel gruppo misto, financo da alcune schegge di Italia Viva. Il “responsabile” è il nuovo nome del trasformista, vecchia figura della politica dell’Italia monarchica, da Depretis in poi. Ma se nella Prima Repubblica il trasformismo aveva trovato un limite nei partiti di massa, con la Seconda Repubblica esso è dilagato senza freni.
Inutile scandalizzarsi quindi dell’operazione contiana. L’ex “avvocato del popolo” ha saputo prendere tempo, pare consigliato nella sua tattica attendista da un certo Massimo D’Alema. Vedremo a giorni con quale risultato.
Se, come probabile, i “responsabili” emergeranno in numero sufficiente, dando vita ad un nuovo gruppo parlamentare, i giochi saranno fatti. Conte andrà avanti con qualche ritocco della squadra di governo, sostituendo con i voti dei “responsabili” quelli venuti meno di Italia Viva. Sarebbe questa la disfatta di Renzi. Ed avremmo così il curioso paradosso di un’opposizione (quella renziana) di “estremo centro”, fatta in nome dell’europeismo più sfrenato (il Mes) contro un governo europeista a più non posso. Insomma, oggi le comiche…
Diamo a questa ipotesi un buon 80%. Ma poiché non tutte le ciambelle di questo tipo riescono col buco, non possiamo escludere qualche incidente di percorso. Nel qual caso, ove cioè i “responsabili” non fossero sufficientemente numerosi, l’ipotesi quasi obbligata sembrerebbe quella di un governo “istituzionale” a termine per andare a votare a giugno. Ecco il 20% attribuito all’ipotesi elettorale.
Difficile che tra queste due possibilità se ne inserisca una terza, nel caso quella di un rilancio del governo di larghe intese. Questa possibilità appare remota proprio perché la carta Draghi – l’unica che poteva in qualche modo giustificarla – salvo sorprese dell’ultima ora non pare proprio che ci sia.
Draghi, il palombaro
Ecco così che torniamo da dove siamo partiti: Mario Draghi. Nella strana tettonica della politica italiana, mentre i “responsabili” si apprestano ad emergere, il re dei banchieri resta immerso nei fondali di un potere oligarchico che lo vorrà vedere a galla tra un anno, quando si tratterà di eleggere il nuovo inquilino del Quirinale.
Da quel che si capisce l’uomo non è che sia un Cuor di leone. Come si addice ad un banchiere egli sembra prediligere le situazioni win win. Diciamo che gli piace vincere facile. Dalla Presidenza della Repubblica, specie dopo le forzature di Napolitano e Mattarella, si può pilotare buona parte della politica italiana, senza per questo dover rispondere a nessuno. Insomma, la botte piena e la moglie ubriaca.
Posizionarsi al Quirinale (per giunta per sette anni) è ben più facile che stare a Palazzo Chigi. Tanto più oggi, al tempo di una crisi devastante come quella in corso. Quella crisi che non supereremo certo con il Recovery Plan. Ecco perché Mario Draghi, da persona informata dei fatti qual è, non è sceso in campo per candidarsi a capo del governo. Egli sa che, in breve tempo, la sua popolarità farebbe la stessa fine di quella di tutti gli ultimi presidenti del consiglio. Compreso quel Renzi che bruciò in soli due anni il famoso 40,8% dei consensi elettorali ottenuti alle europee del 2014. Mario il palombaro lo sa e si comporta di conseguenza.
Brevi conclusioni
Il succo di questa storia è semplice: la crisi italiana è ben lungi dal risolversi. E come tutte le vere crisi essa non è solo economica, ma è anche politica ed istituzionale. Al di là dei particolarissimi obiettivi di Renzi è questa la ragione di fondo delle contorsioni delle ultime settimane. Il pokerista fiorentino ne uscirà probabilmente con le ossa rotte, ma questo è un aspetto del tutto secondario. Quello principale sta nella conferma della profondità di una crisi politica, che è tale anche per l’assoluta mancanza di vere alternative.
Bene, questa alternativa va costruita al più presto. Sia che elezioni politiche vengano anticipate, sia che si svolgano tra due anni, il progetto del Terzo Polo è maturo e non deve attendere oltre. Ma il Terzo Polo che vogliamo non si esaurisce di certo sul terreno elettorale. Esso dovrà vivere anzitutto nell’opposizione al dominio dell’oligarchia eurista ed al disegno autoritario della cupola globalista. Una ragione ancora più importante per non perdere tempo.