Il governo Draghi ha varato un drastico irrigidimento del green pass, sulla scia delle scelte di Macron, che le ha difese in tv con toni aggressivi, i quali hanno suscitato vaste e intense proteste in Francia (di cui per diversi giorni a stento si riusciva a trovare notizia nei media italiani). Un giro di vite che non a caso si è accompagnato alla minaccia, da parte di Macron, di rimettere in campo in autunno le contestatissime riforme neoliberiste delle pensioni, del lavoro e dei sussidi sociali. Queste avevano suscitato una forte, vasta mobilitazione di massa alla fine del 2019, con scioperi continui e manifestazioni sindacali molto partecipate, che avevano portato al ritiro del pacchetto di riforme euriste (che noi avevamo già conosciuto con Monti), la cui attuazione è sempre stato il vero mandato del Presidente francese creato in provetta dai centri finanziari euro-globalisti.
Poi, la crisi del coronavirus ha desertificato non solo la società francese, ma tutto l’Occidente, neutralizzando a lungo la possibilità stessa del conflitto. Oggi, di fronte all’emergere di nuove proteste, Macron ha confermato l’impianto di fondo del green pass, anche se ha dovuto concedere qualche lieve alleggerimento. Del resto, anche il Consiglio di Stato si era pronunciato sfavorevolmente su alcune misure, giudicate “sproporzionate”, in particolare in merito all’entità delle multe e al profilo anche penale delle sanzioni previste. Non c’è da illudersi, ma l’esempio francese (tanto quello delle lotte iniziate alla fine del 2018 con i Gilets jaunes, quanto il ridestarsi della società oggi) mostra che forse la partita generale, pur difficilissima, è ancora aperta: protestando, criticando, non piegando la testa, si può provare a frenare la deriva in atto, e comunque testimoniare il rifiuto di esserne complici.
Bisogna avere ben chiaro che questione sociale ed emergenza democratica si tengono, diritti sociali e diritti di libertà viaggiano assieme e debbono essere difesi congiuntamente. Le pulsioni autoritarie del potere neoliberale di fronte alla crisi di legittimità e consenso che attanaglia l’Occidente, e in particolare l’Europa, sono le medesime, sia quando si tratta di lavoro sia quando si tratta di green pass: la crisi del coronavirus non fa che rivelarle ulteriormente ed esacerbarle. Il problema è come dare espressione politica coerente e organizzata a questo diffuso, motivato rifiuto popolare trasversale di assetti di potere che hanno perso ogni credibilità.
A ben vedere, l’aggressività non è mancata neppure all’Epistocrate nostrano: “non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire. Non ti vaccini, ti ammali, contagi, lui/lei muore”. Bella forma di mistificazione “populista”, visto che chiunque ragioni, e non debba fare propaganda, sa che questa è, a voler essere caritatevoli, una gigantesca semplificazione. Se quell’affermazione fosse vera, ne deriverebbe per il governo il dovere immediato di imporre l’obbligo vaccinale. Ma guarda caso si omette di farlo. La Germania, almeno per ora, si tiene alla larga non solo dall’obbligo vaccinale ma anche dalla previsione di discriminazioni come strumento di coercizione indiretta: sul tema c’è un grande dibattito nel mondo politico e culturale, molti mettono in guardia dai rischi di scivolamento progressivo su un pericoloso piano inclinato. Evidentemente il rispetto della dignità individuale e il principio di ragionevolezza, su un tema così delicato come quello dei trattamenti sanitari, che chiama in causa anche una memoria storica dolorosissima, ancora contano qualcosa, e suggeriscono cautela. In particolare, si mantiene una linea di grande cautela sulla vaccinazione dei giovani. La stessa cosa fa il Regno Unito, che pure è stato tra i primi a realizzare una vasta campagna di vaccinazione: ma senza obblighi vaccinali (neppure per il personale del servizio sanitario nazionale, almeno per ora), né norme discriminatorie. Secondo il Comitato congiunto per le vaccinazioni e le immunizzazioni (JCVI) del Regno Unito, per bambini e adolescenti “i benefici della vaccinazione Covid-19 non superano i potenziali rischi” (tranne per chi è portatore di peculiari fragilità). Niente di ciò in Italia, dove siamo alla caccia alle streghe: il green pass come “purga”, rieducazione dei refrattari. In un primo momento, la società italiana e il mondo intellettuale sono parsi intorpiditi, forse fiaccati da un anno e mezzo di dpcm ed emergenzialismo, come presi alla sprovvista dalla brusca accelerazione neo-autoritaria. Ad esempio, davvero scarse, e troppo timide, sono state le reazioni all’irricevibile proposta della Confindustria che chiede l’obbligo vaccinale generalizzato per tutti i lavoratori del settore privato, e la sospensione dal lavoro senza retribuzione per chi non si vaccina.
Stranamente cauti anche certi ambienti della “sinistra” radicale, di solito avvezzi alla retorica anti-impresa “a prescindere” (riflettendoci, però, non è poi così strano…). Tuttavia, per fortuna, sta partendo anche da noi una protesta trasversale, ragionata e di piazza, che avanza dubbi e pone domande legittime: ma di fronte si trova, compatta, la furia stigmatizzatrice del mainstream, che nega la possibilità stessa del dibattito e della contestazione, in nome del suprematismo morale della nuova religione sanitaria. Il cui contenuto teologico–politico è per l’appunto determinato dal cortocircuito tra “mera vita” e moralismo sanitario, dal quale deriva una nuova, totalizzante “grande discriminazione”.
Aveva ragione Carl Schmitt: tutto è politicizzabile, cioè può divenire oggetto e causa di ostilità. Anche il coronavirus. Esso si è anzi rivelato fonte privilegiata di ostilità moralizzata, incarnando al meglio la cifra tipica del progressismo neoliberale: una pretesa polemica estrema e dissimulata, che nega all’altro lo status di legittimo interlocutore e scinde in due il corpo sociale, creando le condizioni di una guerra di tutti contro tutti. È la stessa logica dell’umanitarismo usato come strumento di gerarchizzazione dell’umanità. L’uso politico del coronavirus, lo stigma e la discriminazione vaccinale, sono la forma teologico-sanitaria della discriminazione inumano/umanitaria attuale. Il lessico bellico non mente: siamo in guerra contro il virus, non essergli complice non vaccinandoti, chi pone domande è disfattista, anzi dovete amare i vostri governanti perché hanno a cuore il vostro bene (l’ha detto un prelato: ma ormai anche gli uomini di Chiesa sono preda di questo clima assurdo).
Sono convinto che senza una rinnovata dialettica “laica”, ma aperta al “senso di ciò che manca”, tra cose “ultime” e “penultime”, non ci sia immaginazione del futuro, critica dei meccanismi di potere né possibilità di trascendenza politica rispetto al mondo amministrato dalla tecnica. Tutto è appiattito sull’immanenza assoluta della “mera vita”, sacralizzata e allo stesso tempo nichilistica. “Mera vita”, asocialità disincarnata e algoritmi tecno-finanziari rischiano di saldarsi in un micidiale dispositivo di dominio. Così anche la “salute”, da benessere psico-fisico che ha un valore tanto individuale quanto sociale, si riduce a pretesto di omologazione e disciplinamento. Ma la deriva è in atto da tempo. Se siamo a questo punto, è perché se ne erano già create le condizioni: ci siamo abituati all’eccezione quotidiana, a ripetute sospensioni di diritti e libertà in teoria indisponibili come se si trattasse non di gravi cedimenti, ma di banali parentesi temporanee, da non temere perché di un potere che si pretende “neutro” ci si può “fidare”: una riedizione dell’oligarchia in forma epistocratica, spesso travestita moralisticamente, sostenuta dalla “fede” nella tecno-scienza al servizio dei “divini” mercati e dei poteri globali, e nell’oggettività “scientifica” del neoliberismo.
Le decisioni assunte nel decreto varato da Draghi contengono una violenta prevaricazione in veste pseudo-legale, che pretende di normalizzare forzature inaccettabili, sancendo un principio di discriminazione irragionevole, che dovrebbe perlomeno creare disagio alla coscienza dei giuristi. Come si possono togliere o limitare diritti e libertà fondamentali sanciti solennemente dalla Costituzione a un’intera categoria di persone, per il solo fatto di esercitare una scelta – quella di non vaccinarsi contro il coronavirus – che, non essendo vietata, è ovviamente permessa e legittima?
La costituzionalità di tutto ciò può essere sostenuta solo al prezzo di arrampicarsi sugli specchi, piegando agli interessi del potere oggi dominante la Costituzione medesima. Si passa così, scivolando sempre più nell’arbitrarietà, distruggendo gli anticorpi democratici, dall’uso disinvolto dell’emergenzialismo a un’inaccettabile politica discriminatoria, varata per decreto, senza neppure il coraggio di stabilire un esplicito obbligo, per paura dei risarcimenti, visto che vengono di fatto imposti, surrettiziamente, vaccini sperimentali. Un attacco alla Costituzione travestito da legalità emergenziale, da stato di necessità, che ne deturpa i fondamenti. Non a caso si procede, come se fosse normale, prorogando di sei mesi in sei mesi lo stato di emergenza, che è ormai tecnica di governo ordinaria. Del resto, un governo di emergenza, estraneo alla volontà popolare, fondato sul coronavirus (oltre che sull’obbedienza più cieca a eurismo e atlantismo) non può che mirare a prorogare il più possibile i presupposti fittizi sui quali si regge, che hanno vanificato la sovranità democratica (il voto del 2018 non ha nulla a che fare, politicamente, con Draghi e i consiglieri di cui si circonda, Giavazzi e Fornero in primis).
Per questo bisogna marcare ora una netta differenza. Tracciare una linea perché è in gioco un nucleo etico-culturale, prima ancora che costituzionale, su cui non si può cedere. É fondamentale testimoniare un dissenso a futura memoria. Con equilibrio e prudenza, ma anche con la necessaria fermezza. Continuando a ragionare in autonomia, senza pregiudizi, senza farsi condizionare dal clima infame che si sta creando.
La questione non è il vaccino, ma la libertà.
Sui vaccini sperimentali anti-coronavirus c’è un ampio dibattito scientifico, che non dovrebbe essere censurato. Una consapevolezza anche minimale di quale sia il profilo non negoziabile di uno Stato democratico pluralista, che non può non nutrirsi di un confronto razionale, basato su argomenti e verifiche fattuali, e non su isterie e demonizzazioni dall’alto, dovrebbe consigliare prudenza (soprattutto per adolescenti e bambini) e trasparenza nell’informazione sui pro e i contro.
Lo ha affermato, di recente, Robert W.Malone, uno degli scienziati che ha posto le basi delle terapie geniche su cui si fondano i nuovi vaccini a mRNA, come il Pfizer: vi sono questioni bioetiche, è fondamentale informare correttamente i cittadini visto che si tratta di vaccini approvati in via derogatoria rispetto alle procedure ordinarie, soprattutto occorre essere cauti per quello che riguarda la vaccinazione dei giovani (naturalmente, per queste dichiarazioni è stato attaccato e anche censurato).
Ora, non si tratta di essere contro i vaccini in generale, ovviamente. Né di contrastare un uso prudente e trasparente, che bilanci rischi e vantaggi, dei vaccini contro il coronavirus. Soprattutto per le categorie a rischio e le fasce d’età per le quali il calcolo costi-benefici è favorevole, essi rappresentano, unitamente all’applicazione diffusa delle cure precoci e allo sviluppo di nuovi farmaci, una via ragionevole, senza forzature e drammatizzazioni, alla risoluzione del problema. A proposito di cure, vogliamo assicurare allo Spallanzani i finanziamenti necessari per la sperimentazione sul nuovo farmaco (basato sugli anticorpi monoclonali), i cui primi risultati sono molto promettenti, invece di fare i fenomeni in conferenza stampa? Per inciso, qualcuno ci spiegherà un giorno perché il vaccino Reithera, sempre dello Spallanzani, è stato abbandonato, tagliando i fondi? Storie di ordinaria, assurda inefficienza, o c’è qualcos’altro?
Personalmente, le guerre di religione sui vaccini mi sono estranee. Ma ciò significa, innanzitutto, che è inaccettabile un fideismo irrazionalista che pretende di troncare qualsiasi discussione nel merito e far passare un’imposizione di fatto generalizzata, a prescindere da qualsiasi considerazione di prudenza, reale efficacia e necessità, colpevolizzando e ricattando i cittadini, sottraendo loro libertà e diritti. Cioè trasformando tutti noi in inermi sudditi nelle grinfie del potere, che toglie e concede spazi di libertà senza appello e senza limiti.
Torna alla mente la metafora di Canetti in Massa e potere sul gatto che gioca con il topo: la nostra è ormai la libertà del topo? Invece della ragionevolezza (spesso invocata come stella polare dalla Corte Costituzionale), si decide di passare all’attacco, di imporre una dose ancora maggiore di stato di eccezione (in questo caso vaccinale). Adottando la stessa logica con la quale, per anni, si sono difese le mitiche riforme neoliberiste richieste dalla UE: se non funzionano, è perché non ne avete fatte abbastanza! Che il prezzo sia calpestare le libertà fondamentali di milioni di persone, trasformate in nemico interno e deprivate di diritti, sembra non preoccupare i moralisti a comando, i difensori della Costituzione a parole, quando non costa. In nome di un malinteso interesse pubblico, agitato strumentalmente. Considerato, oltretutto, che non c’è certezza scientifica sul fatto che questi vaccini producano anche una immunizzazione per i contagi; quindi chi non si vaccina, nel caso, danneggia se stesso, non chi è protetto, mentre chi è vaccinato è probabile possa essere veicolo del virus, come chi non lo è, almeno allo stato attuale delle conoscenze: si pensi al caso di Boris Johnson, vaccinato e finito in quarantena, e a tanti altri casi simili (del resto, se il vaccino immunizzasse dalla malattia, per accedere alla conferenza stampa dell’Epistocrate non sarebbe stato richiesto, oltre al certificato vaccinale, anche il tampone! Una scena impagabile per la sua plastica capacità di rivelare quanto sia grottesca e ben poco credibile la narrazione dominante).
Ma forse proprio qui si radica una delle questioni di fondo, di chiara matrice ideologica globalista, all’opera nell’uso politico del coronavirus: l’ossessione della prevenzione assoluta (anche da minacce eventuali), il mito dell’eradicazione del “nemico” (di cui il virus è un perfetto simbolo). Il corollario è una strategia di indocilimento e controllo pervasivo: il conflitto, la dissidenza sono interdetti. E poi ci sono i “costi”, un classico della polemica neoliberista (ma anche del progressismo neoliberale in stile Blair) contro il Welfare. Si, perché dopo aver demolito la sanità, e non aver fatto niente per rimetterla in piedi (soprattutto quella sul territorio), la cosa più facile è criminalizzare paternalisticamente i cittadini, scaricando ancora su di loro inadempienze, fallimenti e zone grigie.
Discorso analogo si può fare per la scuola, l’università e i trasporti pubblici (che saranno oggetto di prossime “attenzioni”). Del resto, si sa, i nostalgici del lockdown e della DAD non mancano…Forse si vuole giocare in anticipo rispetto a una nuova “ondata” in autunno, che sancirebbe un ovviamente non augurabile fallimento dei vaccini sperimentali, e una conseguente, pesante crisi di legittimazione per chi ha gestito finora la questione coronavirus? Si vuole creare un clima terroristico preventivo al fine di spostare l’attenzione su capri espiatori, scaricare la responsabilità di eventuali nuove chiusure sui non vaccinati, anche al costo di organizzare una grande menzogna di Stato, legittimando come normale la discriminazione dei cittadini e cancellando di fatto la libertà di scelta?
Si è cominciato con i diritti sociali e il lavoro, si è proseguito con la sovranità democratica, adesso si arriva alle libertà civili. Siamo al punto che va eradicato, coartato anche chi semplicemente pone domande, avanza qualche dubbio, oppure decide di esercitare una scelta magari discutibile per molti, ma lecita (in assenza di obblighi formali). Seguendo la stessa logica che ha portato a stigmatizzare e osteggiare in ogni modo un dibattito sereno sulle cure precoci, così da alimentare una realtà scissa: quella ufficiale del Ministero della Salute e di quei virologi che si sono prestati a fare le maschere del potere sui media, quella concreta di centinaia di medici (tra cui diversi luminari) che hanno operato sul territorio, curando e assistendo, infischiandosene delle direttive laconiche e omertose dei tecnici del Ministero.
Una realtà scissa che ha determinato un vero e proprio buco nero di opacità e ingiustizia (chi non aveva medici di famiglia seri, che non se ne sono lavate le mani, o amici o parenti medici in grado di dare indicazioni tempestive sulle cure precoci, è stato abbandonato a se stesso). Ora, dunque, è comprensibile che omissioni, ritardi inspiegabili, opacità, documenti occultati o ritoccati suscitino qualche sospetto: il cosiddetto “complottismo” non c’entra nulla.
Una volta il pensiero “progressista” coltivava controinformazione e diffidenza. Oggi fa da mosca cocchiera al discorso dominante. Bisogna “credere” a chi sa, cioè a chi ha il potere, senza fare domande. Mi sembra che urga un ripasso dei fondamentali, anche per certi scrittori…
Siamo passati da Pasolini ed Elsa Morante ai cantori del moralismo peloso delle élites, oltretutto senza argomenti, per esplicita confessione (imponete, c’è poco da discutere!). Dunque, dobbiamo aspettarci che d’ora innanzi tutto sia possibile? Dobbiamo rassegnarci a vivere tempi apocalittici? Non ci resta che l’emigrazione interna? Per la prima volta, probabilmente, siamo sprovvisti di katéchon. Prepariamoci a una segreta lotta, dei puri di spirito, di quanti non si piegano al “divieto di pensare” (il nuovo Denkverbot denunciato da Slavoj Žižek), contro un proibizionismo senza ragione ma che si ammanta di conformismo violento e acritico (la banalità del presunto “bene” come suprema arma di un potere mefitico, in decadenza).
Temo che, se non reagiremo, se non testimonieremo e organizzeremo forme di resistenza, se non preserveremo isole di pensiero critico, questo neo-autoritarismo dissimulato sia il drammatico piano inclinato che ci aspetta, anche rispetto alle prossime crisi, del debito, dello spread, della disperazione sociale.
* Fonte: La Fionda