Se c’è un dato che emerge da questa tornata elettorale, è la crescita del non voto.
Nelle città metropolitane (Roma, Milano, Napoli e Torino), per la prima volta nella storia della repubblica, l’affluenza è stata inferiore al 50%. La metà dei cittadini non si è recata al voto.
Su questo fenomeno si soffermano stamattina diversi “politologi”, che si sforzano di dare le più stravaganti spiegazioni politiche.
Io ne vedo tre, lampanti.
La prima. M5s e Lega sono due partiti che hanno perso più voti verso l’astensione. Vuol dire che tantissimi elettori che avevano premiato il loro “populismo antisistema” non sono tornati all’ovile sistemico. Dal che si deve dedurre che la spinta antisistemica che emerse nel 2018 e che portò al governo i gialli ed i verdi, sopravvive anche nella “era post-Covid”.
La seconda ne consegue. Se quei tanti elettori “populisti” non si sono recati alle urne, vuol dire che non si sono sentiti rappresentati da nessuna lista, movimento o altro partito e solo in parte da Fratelli d’Italia o piccoli raggruppamenti considerati radicali.
La terza ma la più importante. I dominanti che fanno blocco attorno al governo Draghi, tutti assieme, sono una minoranza del Paese. Un dato molto rilevante se si pensa che in Parlamento essi contano su una maggioranza schiacciante. Alla prova del voto quindi, malgrado il colpo di stato covid-19, i dominanti dominano, ma non hanno un consenso maggioritario, non hanno egemonia.
Ne concludo che dalle urne non sale un segnale di stabilità politica ma, ben al contrario, spifferi di tensioni sociali e politiche.
La situazione non è eccellente, ma sotto il cielo prevale il disordine.
Non è un dato secondario dopo quasi due anni di “dittatura sanitaria” e di tracotante esultanza di regime per la vittoria della campagna di vaccinazione.
Pensavano che l’80% di inoculati equivalesse all’adesione ideologica al colpo di stato.
Non è così.
Draghi è avvisato.
S. Giorgio e il drago. Reinterpretazione post quarta rivoluzione industriale.