L’Italia ha dichiarato guerra alla Russia, ma l’«Impero del Male» continua a rifornirci giornalmente di gas. Al netto della speculazione delle aziende nostrane, il metano russo è pure a buon prezzo. Ma essendo tra i servi più sciocchi della Casa Bianca, a Palazzo Chigi hanno deciso che quel gas costa troppo poco. Bisogna dunque sostituirlo al più presto con altro gas meno sicuro nelle forniture, ma sicuramente più caro nel prezzo.
La caccia al metano è così in corso da settimane. E prevede diversi giri turistici in Africa e in Medio oriente. Prima è toccato a Di Maio farsi portare a spasso dalla balia De Scalzi; adesso – sempre con l’amministratore delegato di Eni a guidare le danze – è stato Draghi ad andare in Algeria. Da quel paese, gongolano i giornaloni, arriveranno (ma solo tra un paio d’anni!) 9 miliardi di metri cubi di gas in più. Poco meno di un terzo delle attuali forniture russe. Un successone, secondo i plaudenti pennivendoli che ben conosciamo. Ma a quale prezzo quel simpatico gas attraverserà il Mediterraneo?
Ecco un quesito scomodo, al quale si preferisce non rispondere. Anzi, meglio non farsela proprio quella domanda, mica saremo diventati “servi di Putin”? Eppure, il famoso “uomo della strada”, quello che paga le bollette del gas e della luce (che dal gas dipende), qualche informazione la vorrebbe. O almeno così ci parrebbe logico.
Proviamo allora a fare qualche calcolo, sia pure necessariamente approssimativo, in base alle scarne notizie che trapelano. Partiamo da due premesse terra terra, roba che perfino un piddino abituato ad ascoltare Letta può capire.
La prima è che il metano trasportato via nave, il cosiddetto gnl (gas naturale liquefatto) costa necessariamente di più di quello trasportato via gasdotto. Ai costi del trasporto si aggiungono quelli impiantistici e dei due passaggi, di liquefazione e rigassificazione, necessari per far arrivare il metano all’utenza. Nel caso, poi, del gas proveniente dagli Stati Uniti, bisogna aggiungere anche i maggiori costi di un’estrazione in larga parte ottenuta con la tecnica della fratturazione idraulica (fracking).
La seconda premessa di carattere generale è che il gas aggiuntivo che verrà fornito da alcuni paesi non è già lì pronto per essere intubato o caricato su nave. Per ottenerlo serviranno investimenti e nuovi impianti. Dunque nuovi costi, caricati inevitabilmente nei nuovi contratti. I quali risentiranno poi sia degli attuali prezzi alle stelle, sia dell’urgenza del compratore – in questo caso il nostro disgraziato Paese – di chiudere il contratto alla svelta. Ma si sa, stavolta oltre all’Europa ce lo chiede l’America!
A questo punto anche un lettore de la Repubblica dovrebbe aver capito che sostituire metano via gasdotto con gnl via nave, così come passare dai vecchi contratti a basso costo a quelli nuovi sottoscritti sotto la mannaia dell’urgenza e della speculazione, proprio un grande affare non è. E questo senza tenere conto che i vecchi contratti con la Russia sono per lo più del tipo “Take or Pay”, in base ai quali la fornitura prevista si paga anche se non si ritira (ed alcuni hanno scadenza 2035…), salvo che per responsabilità del venditore! Dunque, anche se il diritto è ormai un lontano ricordo del passato, la materia per cause internazionali certo non mancherebbe. In quel caso, possiamo esserne certi, le aziende interessate (Eni, Enel, Edison), chiederebbero di scaricarne i costi sulle casse dello Stato, del resto le sanzioni mica le hanno decise loro. Arriveremo così ad un altro “onere di sistema” da riversare in bolletta, come già avviene per i costi di smaltimento delle scorie delle centrali nucleari dismesse? Ma che volete che sia, ce lo chiede pure l’attorucolo a maniche corte, il sacrificio è dunque nobile oltre che necessario!
Benissimo, ma qual è l’entità di questa svolta scellerata? Ecco, a questo punto è bene passare ai numeri, così forse si capirà che quel che ci aspetta non è un piccolo “sacrificio”, bensì un disastro economico vero e proprio.
Ovviamente, nessuno sa se e quando la situazione del mercato del gas tornerà alla “normalità”. Abbiamo messo le virgolette perché in generale la normalità proprio non esiste, tanto meno sul mercato dell’energia. Possiamo però ragionare su tre situazioni: quella attuale, quella precedente alla crisi, quella (ipotetica) di una situazione futura almeno relativamente stabilizzata. Il prima, l’adesso e il possibile dopo.
A metà aprile 2021, poco prima che iniziassero a manifestarsi i prodromi della crisi attuale, il costo del gas al mercato di riferimento olandese (indice Ttf) era pari a 29,30 euro a megawattora (€/Mwh), mentre ora siamo a 103,75 €/Mwh. L’aumento in un anno è stato del 254%. Ma, come abbiamo spiegato nell’articolo già citato, almeno il 60% del gas importato non passa dalla contrattazione della Borsa di Amsterdam, essendo fornito in base a contratti pluriennali a prezzi se non proprio fissi, decisamente più stabili. I prezzi di questi contratti sono segreti, ma si assume generalmente un valore medio di 40 €/Mwh. Sta di fatto che, grazie alle speculazioni che avvengono nei vari passaggi, il prezzo al Psv (Punto di scambio virtuale), all’ingresso dei confini nazionali (che è quel che conta in bolletta), è salito da 0,229 euro a Smc (Standard metro cubo) dell’aprile 2021, a 1,335 euro del marzo 2022. In un anno un bel +482%!
Breve digressione. Utilizziamo qui diverse unità di misura solo perché alla Borsa olandese si usa il Mwh, che misura la quantità di energia contenuta in un determinato volume di gas, mentre al Psv si utilizza lo Standard metro cubo (Smc) che altro non è che un metro cubo fisico, ma standardizzato in base alla temperatura. Quel che è utile sapere ai fini dei nostri calcoli è che per ottenere un Mwh di gas sono necessari 93,5 Smc.
Ai prezzi di un anno fa al Psv i 76 miliardi di metri cubi annui consumati dall’Italia nel 2021, davano un costo complessivo di 17,4 miliardi di euro. Oggi, in base ai prezzi di marzo, quella stessa quantità verrebbe a costare su base annua 103 miliardi di euro. Un +491% che parla da solo! Naturalmente il prezzo di marzo ha rappresentato un picco, ma anche qualora si dimezzasse l’aumento resterebbe insostenibile per l’economia italiana. Un peso insopportabile per famiglie ed aziende, anche perché a questo costo della materia prima devono poi aggiungersi le altre voci (spese di trasporto, tasse, eccetera) che vanno a comporre la bolletta.
Visto il prima (17 miliardi di spesa), visto dove siamo arrivati adesso (103 miliardi come proiezione annua), dove potremmo arrivare in un ipotetico dopoguerra?
Inutile dire come qui si entri nel campo dell’opinabile. Tuttavia, alcuni calcoli si possono fare. Del resto, quel che qui ci interessa è solo un dato: il raffronto tra un “dopo” con la continuità delle forniture russe, ed un altro “dopo” privo di quelle forniture. Il governo italiano, in linea con un’Unione europea piegatasi al diktat di Washington, ha già scelto: il gas russo (pari al 40% del totale importato) va integralmente sostituito, al massimo entro due anni. Premesso che non sarà così semplice, e che i tempi presumibilmente non saranno così brevi, quanto ci costerà questa sostituzione?
Ovviamente il costo aggiuntivo dipenderà anche dalla base di partenza che dovremmo assumere nell’ipotesi, ormai puramente di scuola, di continuare a rifornirci di gas dalla Russia. In quel caso, qualora si tornasse alla situazione ante-crisi, avremmo i 17,4 miliardi di spesa che abbiamo già visto. Magari quel prezzo potrebbe forse aumentare per altri fattori, ma anche ammettendo un raddoppio ci fermeremmo comunque a 34,8 miliardi annui.
Dove arriveremo invece con le “magiche” mosse di Draghi? Stando a quanto scrive tra le righe il Corriere della Sera del 12 aprile, i 9 miliardi di metri cubi aggiuntivi che arriveranno dall’Algeria dovrebbero avere un prezzo inferiore soltanto di un misero 20% rispetto a quello stellare dell’attuale Ttf della Borsa di Amsterdam. Come abbiamo già detto, questo prezzo è ora attorno ai 104 €/Mwh. Dunque, il prezzo concordato ad Algeri dal Genio Salvatore di Palazzo Chigi dovrebbe essere un po’ superiore agli 80 €/Mwh. Siamo al doppio abbondante di quel che si paga per il gas russo.
Questa indiscrezione sul prezzo non ci viene da fonti moscovite, bensì dal servile Corriere, in gara con la Repubblica e la Stampa per il Lecchino d’oro, l’unico premio al quale potrebbero ambire oggi i nostri quotidiani. In attesa che questo meritato riconoscimento venga istituito, possiamo intanto prendere per buona l’indicazione sul prezzo pattuito ad Algeri. Buona e perfino prudenziale, che qualora si rivelasse inesatta potrebbe esserlo solo per difetto.
Ma non c’è solo l’Algeria. Dopo aver raggiunto l’Egitto con un contratto da 3 miliardi di metri cubi, la caccia al metano si dirigerà verso il Qatar, il Congo e l’Angola, mentre altro gas (ma non tantissimo come si tende a credere) arriverà dagli Usa. Questi paesi saranno più generosi dell’Algeria? Ovviamente no, perché a differenza del paese maghrebino questi altri fornitori possono esportare solo via nave. Possiamo dunque ragionevolmente stimare che, quando si arriverà a sostituire integralmente il gas russo, avremo come minimo un raddoppio del prezzo, quantomeno relativamente alla quota del 40% delle importazioni.
Solo in base ai prezzi contrattuali, senza dunque tenere conto dei successivi passaggi speculativi del Ttf e del Psv, avremmo quindi un aggravio della bolletta energetica di altri 12,4 miliardi da aggiungere all’ipotetica base di partenza di cui abbiamo parlato sopra. Ma è chiaro che, se questa sarà la strada, le cose andranno assai peggio. La corsa al gas, che non riguarderà di certo solo l’Italia, scatenerà una concorrenza micidiale proprio tra i paesi dell’Ue, quelli che vogliono sganciarsi dai tubi di Gazprom. Una concorrenza di questo tipo terrà il prezzo del metano a livelli estremamente alti, finendo per incidere non solo sulla parte che andrà a sostituire l’attuale quota russa, ma pure sul prezzo di tutte le altre forniture. In fondo, i contratti futures corrono sì per la speculazione, ma anche perché intravedono con chiarezza questo folle scenario. Folle per i paesi europei, non certo per il burattinaio che li manovra da Washington.
Del resto, se l’Eni – che notoriamente non è un ente di beneficienza – ha accettato di firmare un contratto ad un prezzo superiore agli 80 €/Mwh una ragione ci sarà. Certo, sicuramente Draghi avrà messo la garanzia dello Stato a tutela degli interessi della compagnia di De Scalzi (tanto paga Pantalone…), ma un impegno così gravoso per un periodo presumibilmente assai lungo si spiega solo con la previsione di prezzi del gas particolarmente elevati. Previsione del resto non proprio difficilissima, perché se si pretende di escludere dal mercato il principale esportatore di un bene, è assai difficile che il prezzo di quel bene non esploda. E questo è ancora più vero per un bene che, per sua natura, non si trova dappertutto. Altro che ritorno alla normalità!
Volendo allora rispondere alla domanda di prima – dove arriveremo con le mosse di Draghi? – il discorso è assai semplice. Se il prezzo è quello che ha scritto il Corsera, se la scommessa sulle quotazioni del gas fatta dall’Eni è giusta, dobbiamo moltiplicare i 76 miliardi di metri cubi di gas consumati nel 2021 per almeno 80 €/mwh. Dunque 76 md : 93,5 x 80 = 65,02 miliardi di euro. Esattamente 3,73 volte la bolletta nazionale del gas prima della crisi attuale, con un incremento netto di 49,6 miliardi all’anno. Insomma, come per il Covid, la “nuova normalità” che si annuncia ha ben poco di normale.
E non è tutto, perché questo conteggio si basa solo sui presunti costi contrattuali, non potendo tenere conto dei probabili incrementi di prezzo dovuti alla speculazione. Le conseguenze per le famiglie si annunciano disastrose, mentre la competitività delle aziende nazionali non potrà che precipitare rispetto ai concorrenti asiatici ed americani.
Un autentico disastro targato Draghi, il gasatore degli italiani.
Stiamo esagerando? Per chi lo pensa abbiamo una chicca dell’ultima ora. Una cosuccia che pochi sanno, proprio perché sarebbe bene che la sapessero. Siamo a primavera, ed è questa la stagione in cui bisognerebbe cominciare a ricostituire le scorte di gas in vista del prossimo inverno. I depositi, ha deliberato il governo, dovranno essere riempiti almeno al 90%. Ma nel bel mondo del neoliberismo applicato, il governo non può acquistare nemmeno un metro cubo di gas, mentre lo possono fare solo le aziende del settore. Le quali, però, si guardano bene dal farlo, visti i costi proibitivi del momento. Due aste, del 21 e del 23 marzo, sono così andate deserte: è il mercato, bellezza! Cosa si sono inventati allora a Palazzo Chigi? Ma come non pensarci, un bell’«incentivo giacenza» di 5 euro a megawattora per le aziende che si decideranno a fare scorta!
Funzionerà? Non lo sappiamo ancora. Sappiamo invece chi pagherà quei 5 euro aggiuntivi. Siccome il governo ha deciso di negare ogni copertura all’operazione di stoccaggio, a pagarla saranno anche stavolta i titolari delle bollette, molti dei quali ancora pensano che quello del gasatore Draghi sia davvero il “governo dei migliori”. Auguri!
Non ho parole in che mani di governanti incompetenti, siamo finiti. Dal popolo non votati.