Autunno, cadono le foglie. Ed una dopo l’altra cadono pure le promesse meloniane, esito scontato del “cambiamento” più conservatore della pur lunga storia dell’italico trasformismo.
Fin qui nulla di imprevisto. E’ la solita italietta double face, dove il medesimo servilismo per i padroni al di sotto ed al di sopra delle Alpi, si colora in due modi diversi per pronunciare l’identico “signorsì”. Signorsì, siamo al governo per servirvi. Tranquilli, che nulla avete da temere.
L’unica differenza sta nei toni. Quando il signorsì viene dalle parti di Piddinia city, inclusi quelli pronunciati dai tecnocrati che lì risiedono con la patente di “salvatori della patria”, quell’affermazione risuona perfino soave, tanto è naturale sulla bocca di chi la pronuncia. Quando viene invece dagli sguaiati strillatori del populismo de noantri che fu, sempre si avverte qualcosa che stride. Nella sostanza il loro signorsì è sempre puntuale, ma viene pronunciato con l’intonazione di chi vorrebbe incolpare gli altri delle conseguenze del proprio agire.
Da questo punto di vista la stridula voce della signora della Garbatella è assolutamente perfetta. Meglio, molto meglio, del vocione padano dell’ex Capitano, adesso passato a giocare col Lego sullo Stretto di Messina.
Veniamo al dunque. Con l’approvazione della Nadef (Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza) il governo Meloni ha disegnato il quadro macroeconomico nel quale andrà ad iscriversi la Legge di bilancio per il 2024. Un documento (la Nadef) che certifica l’assenza di ogni iniziativa economica (e dunque sociale) degna di questo nome.
Certo, nella Legge di bilancio, i fantasiosi venditori di fumo al governo inseriranno diverse misure di bandiera. E di quelle faranno parlare i loro pittoreschi telegiornali affrescati di rosa. Ma saranno provvedimenti risibili, buoni per un po’ di propaganda e nulla più. Volete un esempio? Di certo ci sarà qualche intervento per favorire la natalità. Un ottimo intento, ma quali sono le misure concrete in cantiere? Al momento si parla dell’introduzione di un assistente per le neomamme, che potrebbero richiedere l’aiuto di questa figura, prevalentemente – tenetevi forte! – con consulenze telefoniche od online… Di certo a domicilio questi assistenti andranno poco, data la miseria dello stanziamento ipotizzato (100 milioni, cioè 250 euro a neonato).
Ma torniamo alla Nadef, che della Legge di bilancio parleremo a suo tempo. Riguardo all’entità della manovra per il 2024 si era inizialmente parlato di 35 miliardi, poi di 30, adesso dovremmo essere attorno ai 20. Insomma, la montagna ha partorito il famoso topolino. E stavolta si tratta di un topolino piccolo piccolo, diciamo un moscardino. Ma se la presenza del moscardino è considerata un attendibile indicatore della buona salute del bosco, quello uscito da Palazzo Chigi indica invece la pessima condizione in cui si trova chi lì risiede.
Ora, come sempre quando si parla di bilanci, le questioni fondamentali sono due: da dove vengono quei 20 miliardi? Come verranno spesi?
Circa il 70% di quella cifra (14 miliardi) sarà semplicemente nuovo debito. La Nadef prevede infatti il passaggio da un deficit tendenziale del 3,6% ad uno programmatico del 4,3%. Si tratta di una scelta assolutamente obbligata, ma del tutto insufficiente. Obbligata, per l’inconsistenza delle altre voci in entrata. Ma soprattutto insufficiente, perché con un’inflazione tra il 5% ed il 6% (che gonfia sia il Pil nominale che le entrate dell’IVA) si poteva osare almeno un altro punto di deficit. Si poteva, ma solo a patto di mettere nel conto il conflitto con la cupola eurista. La qual cosa non è certo nelle corde di Meloni & C.
Quel punto avrebbe significato 20 miliardi in più da spendere per cominciare a rimettere minimamente in sesto sia la sanità che la scuola. Capitoli di spesa che, invece, con questa Nadef vedranno al massimo qualche spicciolo, ben lontano dal compensare anche soltanto gli effetti dell’inflazione. La conseguenza sarà l’inevitabile prosecuzione della politica di definanziamento in termini reali di questi due fondamentali settori – le vere emergenze sociali e nazionali del momento – che continueranno ad andare così verso una deriva che conduce alla crescente privatizzazione.
Passiamo adesso alle spese. Dove andranno i 20 miliardi previsti? Come detto, il dettaglio lo conosceremo solo con la Legge di bilancio attorno al 20 ottobre, ma già si sa quali saranno i due maggiori capitoli di spesa: il rinnovo del taglio del cuneo fiscale (10 miliardi) e l’avvio della (contro)riforma dell’Irpef (4 miliardi). Siccome la propaganda batterà sui grandi risparmi fiscali prodotti da queste due misure, specie per i lavoratori dipendenti, sarà bene vedere subito come stanno davvero le cose.
Il rinnovo del taglio del cuneo fiscale è appunto un rinnovo. Questo perché i precedenti tagli ai contributi previdenziali a carico dei lavoratori – l’ultimo deciso con il DL 48 del 2023 – non sono strutturali, bensì a termine. Ed il termine è datato 31 dicembre 2023… Ne consegue che, senza un nuovo provvedimento, il taglio verrebbe azzerato dal 1° gennaio 2024, determinando così una riduzione di tutte le retribuzioni fino a 35mila euro lordi. Più precisamente, ed a titolo esemplificativo, il taglio vale 38 euro al mese per un reddito annuo di 15mila, 55 euro mensili per un reddito di 25mila, 65 euro mensili per un reddito di 35mila.
Dunque, contrariamente a quel che vorrebbero far credere i media, con la manovretta meloniana non ci sarà alcun incremento dei salari; semplicemente non vi sarà un calo, e questo dopo che in due anni l’inflazione ha eroso quasi il 20% del valore reale delle retribuzioni!
Ora, qui si pongono due domande. La prima riguarda la natura dell’intervento: sarà strutturale (dunque il taglio contributivo diverrà stavolta definitivo) o varrà solo per il 2024? Siccome conosciamo il sacro terrore che a Palazzo Chigi coltivano nei confronti dei sacerdoti dell’euro di stanza a Bruxelles, la risposta è praticamente certa: si tratterà di una nuova misura a termine.
La seconda domanda è ancora più importante. Posto che il taglio del cuneo fiscale rappresenta comunque una difesa assai minimale rispetto alla svalutazione salariale in atto, è mai ammissibile che questa difesa spetti solo allo Stato, esonerando del tutto i padroni del vapore? Questa domanda chiama in causa una miriade di soggetti, anzitutto le organizzazioni sindacali, che da un trentennio hanno accettato questa logica: i salari devono essere bassi, gli eventuali incrementi nominali se li accolla in buona parte lo Stato, lorsignori devono starsene tranquilli a far profitti. Una logica che, sul piano politico, ha sempre visto uniti il centrodestra e il centrosinistra.
Passiamo adesso ai fantastici vantaggi dell’avvio della (contro)riforma dell’Irpef. Avvio che dovrebbe consistere nell’unificazione delle due aliquote più basse di questa tassa. Quella del 23%, adesso operante fino a 15mila euro di reddito; quella del 25%, attualmente in vigore nella fascia tra 15mila e 28mila euro. Unificando queste due aliquote al 23% si ottengono questi mirabolanti risparmi: 100 euro annui (annui!) per un reddito lordo di 20mila, 200 (sempre annui) per un reddito di 25mila, 260 euro per i redditi da 27mila in su. Tutto questo mentre i redditi di 15mila euro non guadagnerebbero neppure un centesimo!
A parte il fatto che i redditi più bassi ne escono comunque svantaggiati, qui l’entità di queste cifrone parla da sola. Eppure, non abbiate dubbi, la propaganda farà passare questa miseria per una grande riduzione del carico fiscale! Siccome siamo buoni, prima abbiamo paragonato la portata della manovra alla massa del simpatico moscardino, ma qui siamo forse di fronte a quella della pestilenziale cimice.
Sulla Nadef potremmo fermarci qui. Ma quale sarà la risposta dell’Unione Europea? Il timorato Giorgetti ha fatto capire di affidarsi alla “clemenza della Corte”. Eh già, perché se per noi l’incremento del deficit è stato troppo modesto, per i tecnocrati di Bruxelles (che eccepiranno, fra l’altro, su una previsione sul Pil del tutto irrealistica) risulterà senz’altro troppo alto. Ed in questo c’è pure una logica, perché quel che potrebbe fare uno Stato sovrano con una moneta sovrana, non può essere fatto nella gabbia dell’euro. Ma in quella gabbia Giorgetti, Tajani, Meloni e Salvini decisamente ci vogliono stare. Giorgetti e Tajani con l’entusiasmo di sempre, Meloni e Salvini un po’ controvoglia, ma con lo stesso servilismo dei primi due.
Come finirà allora? Premesso che Giorgetti ha inserito nella Nadef un pacchetto di nuove privatizzazioni pari a 20 miliardi, la qualcosa intenerisce sempre le oligarchie finanziarie incistate nella cupola eurista, la cosa più probabile è che la Commissione Europea brontoli quanto basta a far capire chi comanda, ma senza costringere il governo italiano al dietrofront. In cambio vorrà però l’approvazione del Mes, e lì vedremo ancora una volta all’opera il finto “sovranismo” dei finti “patrioti” al potere.
Per adesso fermiamoci qui, che le prossime settimane metteranno ancor meglio in luce la miseria del governo Meloni. Un governo che sta in piedi solo in virtù dell’assenza di ogni opposizione. Una situazione che non potrà durare a lungo.