L’anno 2020 sarà ricordato come l’anno della paura: una paura planetaria, senza via di fuga, più devastante della paura della guerra, in quanto privata del conforto e della vicinanza dei propri affetti e disumanizzante l’esperienza stessa della morte, intesa come congedo dalle persone care, vissuta in solitudine e nell’abbandono più totale. Paura di perdere la “nuda vita”, svuotata dei suoi contenuti spirituali e morali, ridotta a carcassa umana senza lacrime né sguardi pietosi che ne accompagnino l’esodo.
Sotto i bombardamenti la gente si radunava nei rifugi, dove poteva pregare insieme, piangere ed essere consolata, abbracciarsi e sentire nel calore del corpo dell’altro la forza della vita che voleva resistere, ma la vita intesa come possibilità di relazione, di scambio di emozioni, di comunicazione di affetti e di progetti di resilienza, al di là di ogni evidenza di pericolo reale.
La paura sperimentata oggi, invece, è stata un attacco devastante ad ogni residuo di tessuto sociale, già praticamente ridotto ai minimi termini da una cultura neoliberista che ci vuole tutti single e autoreferenziati, dove la solidarietà e l’empatia hanno lasciato il posto all’arrivismo e al culto della propria immagine.
Ma un altro aspetto che questa esperienza ha messo in luce è stata la forza divisiva che i mezzi di comunicazione in mano al potere sono riusciti ad esercitare sulla popolazione, in quanto la paura del contagio da parte della stragrande maggioranza di essa, succube e schiava di uno schermo televisivo che 24h su 24 trasmetteva il bollettino di guerra del numero dei morti e dei contagi, scarsamente verificabile, si veniva a scontrare con la paura di chi invece vedeva in questa propaganda di Stato un mezzo per limitare le libertà individuali.
A paura si è aggiunta paura, come quella di essere denunciati dal vicino per aver osato uscire fuori di casa, magari in solitudine, a prendere una boccata d’aria.
Ma soprattutto, nella coscienza di molti, si è fatta strada la paura del controllo, un controllo capace di utilizzare i mezzi più raffinati della tecnologia per entrare negli spazi più segreti e inconfessati della nostra vita, a volte inaccessibili persino a noi stessi.
E infatti, se da una parte il lockdown si è rivelato un boomerang per i mass media, in quanto molta gente, costretta dentro casa, ha fatto grande uso di internet e del web, rivolgendosi a canali di informazione alternativi e spesso in contrasto con la narrativa delle fonti ufficiali, dall’altra abbiamo assistito a una pervasiva interferenza, da parte delle autorità, sulla libertà di espressione e di diffusione di idee dissenzienti.
Tale controllo, manifestato in molti casi con censure di video e di canali circolanti sul web, in nome di una presunta sicurezza sanitaria che sarebbe stata messa a rischio da altrettanto presunte “fake news”, sta diventando una potente arma contro le libertà individuali.
Non essendo infatti più sufficiente la televisione, nel mondo globalizzato e interconnesso di internet, a fare da cassa di risonanza della propaganda e a instillare nell’opinione pubblica idee e comportamenti funzionali all’ordine costituito, plasmando alla perfezione, come ha fatto finora, l’immaginario delle masse e arrivando a dirigere come una mano invisibile le abitudini, le scelte e le opinioni dei cittadini, lasciando tra l’altro a costoro l’illusione di essere liberi, il potere deve oggi ricorrere a mezzi ben più raffinati e pervasivi. Non potendo infatti più far conto su una massa che accetta passivamente quello che le viene propinato, cerca di sfruttare le informazioni che questa stessa massa dà attivamente di se stessa, inconsapevole, nella stragrande maggioranza dei casi, di essere spiata e pilotata.
“L’esperienza umana è ormai materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali…. e poi venduta come ‘prodotti di previsione’ in un nuovo mercato, quello dei ‘mercati comportamentali a termine’, dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro”.
Così scrive Shoshana Zuboff nel suo libro “Il capitalismo della sorveglianza”.
Ci si appropria cioè dei dati relativi al comportamento umano e, dopo accurata elaborazione, questi dati in parte vengono utilizzati per migliorare beni e servizi, ma per il residuo (‘surplus comportamentale’) vengono trasformati, tramite una complicata elaborazione algoritmica, in quei ‘prodotti di previsione’ che permettono a chi ne fa uso di accumulare enormi ricchezze. L’artefice principale di questo nuovo capitalismo è Google, ed è facile capire come questo diciamo ‘Motore di Ricerca’ sia interessato a non rendere consapevoli le persone del fatto di aver perso l’autonomia e la dignità del modo di ragionare e di comportarsi. Questo potere infatti permette di conoscere il comportamento umano nei minimi dettagli, anche nelle suemotivazioni più inconsce, e quindi di influenzarlo attraverso rebound che vanno a toccare il motore più profondo e misconosciuto dell’agire umano.
L’essere umano, ancora una volta, viene trasformato in automa, inconsapevolmente e inderogabilmente. E per gli spiriti più indomiti, che ancora mantengono un residuo di capacità critica e non sottostanno a tali condizionamenti, il controllo agisce in maniera più palese e coercitiva, magari in nome di una sicurezza sociale e del bene comune.
Si è fatto un gran parlare, in questo periodo di lockdown, dell’app immuni, l’applicazione sugli smartphone di tracciamento dei contagi proposta dal governo, e sull’opportunità o meno di renderla obbligatoria. Il dibattito più acceso verteva sulla sicurezza della privacy, cioè su quanto tale applicazione potesse mettere a rischio la tutela dei dati sensibili personali, ma soprattutto sulla paura di un tracciamento dei propri spostamenti e contatti che avrebbe potuto essere usato come controllo e limitazione della nostra libertà.
Questo dibattito ha messo in luce in modo ancor più chiaro il conflitto, in parte reale, ma in gran parte indotto, tra sicurezza e libertà.
Molta gente, me compresa, quando ha cominciato a poter usufruire della telefonia mobile, ha sperimentato una maggiore libertà di spostamento accompagnata da una maggiore sicurezza, in quanto avere la possibilità di comunicare o di chiedere aiuto in caso di necessità da dovunque ci si trovasse, ci garantiva senz’altro una maggiore sicurezza. E nello stesso tempo, la possibilità di poter controllare i nostri figli anche a distanza ci permetteva di vivere con meno ansia la libertà concessa loro.
Ma finché i cellulari hanno mantenuto la semplice funzione di mezzo di comunicazione individuale, il discorso della libertà e del controllo non sembravano costituire un problema, ma anzi ne vedevamo solo gli aspetti positivi.
Con l’evoluzione tecnologica e il diffondersi degli smartphone invece, sia la libertà che il controllo sono diventati un grosso problema, anche se a mio parere solo pochissimi se ne rendono conto.
Oggi infatti la stragrande maggioranza della popolazione, almeno nei paesi più sviluppati, possiede uno smartphone, e rimane interconnesso per buona parte della giornata. Non voglio qui prendere in considerazione gli effetti nocivi sulla salute e sulla psiche che questo uso smodato della rete comporta, ma riflettere solo sulla perdita del controllo sulla nostra vita, implicito a ogni dipendenza, ma in questo caso aggravata dal fatto che non sono più i nostri pensieri a guidare le scelte delle nostre azioni, ma una mente artificiale a guidare i nostri pensieri, e a nostra insaputa.
L’interconnessione pressoché continua, infatti, fa sì che ogni nostro movimento, ricerca, contatto, campo di interesse, acquisto o quant’altro venga registrato e immagazzinato come dati in server dai quali, all’occorrenza, possono venire estratti e utilizzati da attori e per scopi a noi ignoti.
Inconsapevolmente quindi, in cambio della comodità e della sicurezza che la tecnologia ci offre, regaliamo a tali soggetti gli strumenti che permettono loro di controllarci e, all’occorrenza, di privarci di certe libertà.
Ancora una volta un bisogno indotto dal sistema capitalistico per autoalimentare la società del consumo viene sfruttato in modo manipolatorio e di controllo per dirigere le nostre menti e le nostre azioni.
Se vogliamo conservare la nostra umanità, cioè la nostra libertà di scelta e autodeterminazione, dobbiamo prendere coscienza di essere immersi nella propaganda e nella manipolazione. Dobbiamo saper distinguere i bisogni indotti da quelli fondamentali e profondamente radicati nella natura umana, alienati e sotterrati da una società consumistica legata a una tecnologia rivolta a ritmi sempre più veloci e sempre meno profondi.
Per invertire la rotta bisogna ritornare ad essere dei soggetti attivi, riconquistare la capacità critica riappropriandoci delle nostre scelte e del nostro futuro, sapendo che anche la libertà, come la verità, richiede un impegno costante.
*Maria Pia Melchiorre è membro del Cpt Torino