Breve premessa
Dal 27 luglio, quando scrivevo la prima parte di questo documento, nel giro di una settimana ci sono state due importanti dichiarazioni contrastanti sul cambiamento climatico da parte di due importanti personaggi, entrambi dello schieramento “confermatista” pro-CO2 (espressione che creo per praticità in contrapposizione al cosiddetto fronte “negazionista” che, ricordo, non è costituito dai negatori della realtà del riscaldamento, bensì delle cause sostenute dai “confermatisti” dell’IPCC).
Ad acuire il profondo malessere che già provavo di fronte all’escalation degenerativa del dibattito sul clima è stata la dichiarazione del 27 luglio del segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres secondo il quale siamo arrivati alla <ebollizione totale>, espressione tanto catastrofica quanto … vaga (a Lucca si usa altra parola). A questa, due giorni dopo è seguita, forse come contrappeso, quella di Jim Skea, fresco di nomina alla presidenza dell’IPCC, il quale ha dichiarato –pur avendo un passato come acceso “confermativista”- che l’attuale allarmismo sul clima è eccessivo, pur confermandone la serietà.
Riprendo il discorso del precedente scritto che, ricordo, iniziava elencando sei ipotesi, o teorie, sulle cause del cambiamento climatico e, nello specifico, analizzava le prime due, quella dominante che vede i gas serra principali imputati CO2 in particolare-, e l’altra, quasi silenziata nei media e non ammessa al dibattito in sede ONU, che vede invece l’innalzamento della temperatura dovuto a cause naturali, astrofisiche e/o astronomiche.
Però prima voglio fare una riflessione non scientifica ma di semplice buon senso.
Qual è l’entità della presenza nell’atmosfera di questa CO2 così terribile per il clima, un gas fisicamente incolore, insapore, inodore, benefico per la natura (la funzione clorofilliana), non nocivo agli esseri viventi, a meno di non essere presente in quantità molto superiori a quella di cui si sta parlando?
La sua presenza nell’atmosfera terrestre si misura in parti per milione: ppm. In discussione c’è la differenza della sua quantità fra quella che c’era prima dell’inizio del riscaldamento climatico e quella attuale, perché prima essa era ininfluente sull’aumento di temperatura mentre ora, per il suo aumento, lo sarebbe, e in maniera forte, con un andamento addirittura “esponenziale” (cosa non vera questa, come dirò).
Essa prima dell’industrializzazione era presente intorno ai 277 ppm (anno 1759) mentre oggi è intorno ai 415 ppm (anno 2021): una differenza quindi dell’ordine di grandezza di 150 ppm. Cosa è che ha fatto scattare il suo effetto sul clima? (Vedi al termine nota 3).
Arrotondiamo i numeri per comodità: 400 ppm oggi, 300 ppm prima. Tradotto in numero di molecole significa 4 molecole di CO2 ogni 10.000 molecole degli altri gas, azoto e ossigeno in particolare, presenti nell’atmosfera. Mi è difficile pensare che 100 ppm di differenza causino un tale problema. La cosa è risultata curiosa anche ad uno dei più noti scienziati italiani fautore delle cause naturali, Franco Battaglia, che argutamente l’ha tradotta nella storiella che segue:[1]
Se il tinello di casa nostra è un locale di 100 m3 (cioè, 100.000 litri, preciso io, ad es. un locale di 5 per 5 mt e alto 4)., 100 ppm di essi sono 10 lt di CO2. Il fatto è che 10 litri di CO2 sono circa 5 grammi di carbonio, che è il carbonio contenuto in una candelina da torta di compleanno. Cosicché bruciando una tale candelina nel tinello di casa, vi aumenteremmo la concentrazione di CO2 della stessa quantità per cui è aumentata a causa di tutte le attività umane, di tutto il mondo, negli ultimi 150 anni.
Battaglia, che è uno scienziato, ben sa che nella scienza il buon senso spesso inganna (il sole che gira intorno alla terra …) ed ha così portato argomentazioni più valide per invalidare la lettura che era stata data alla Fig. 2 del precedente testo, che riportiamo qui per comodità di chi legge. Concordo con lui, ma ammetto che questa curiosità è la stessa che inizialmente mi ha spinto, dubbioso, ad approfondire la cosa e sulla quale oggi so assai di più di prima, ed oggi ho motivi più scientifici per confermare i miei ingenui dubbi iniziali.
Tornando a questa figura già riportata alla fine della prima parte e riferendomi ai tre grafici in essa riportati avevo detto che:
- Il grafico superiore, di colore nero, è costruito sulla base di dati reali.
- Il grafico marrone, subito sottostante, è costruito con i risultati dei calcoli dell’ultimo modello usato dall’IPCC ed è anch’esso riportato nell’Assessment 6 del 2021, il più recente e che sta facendo testo. Essendo il suo andamento concordante con quello nero, ne discenderebbe la validità del modello di calcolo impiegato.
- Il grafico inferiore, in celeste, ha un andamento grosso modo orizzontale ed è stato ottenuto con lo stesso modello mantenendo i fattori naturali ed escludendo quelli antropici. Questo non mostra aumenti di temperatura dovuti ai fattori naturali. La conclusione era che Science is settled, la Scienza è stabilita: il riscaldamento è dovuto ai fattori antropici, cioè la produzione di CO Su questa affermazione avevo anticipato delle riserve che ora esplicito.
Prima osservazione: la coincidenza delle curve nera e marrone è stata ottenuta grazie a correzioni mirate apportate al modello. Questa è un’operazione lecita perché è nella logica dei modelli essere migliorati per approssimarsi alla realtà. Però per essere “validato” il modello deve dare valori esatti anche per altri aspetti della realtà, cioè sia coi valori del clima nel passato che con altri nel presente. Il che, come vedremo, non accade.
Basterebbe questo a invalidarlo e quindi invalidare le conclusioni che se ne traggono. Aggiungo un fattore di critica di base ai modelli climatici e che ritengo fondamentale: ci sono almeno due fattori fondamentali del clima che sono tuttora poco conosciuti se non addirittura sconosciuti: la formazione e gli effetti del sistema nuvoloso e la circolazione delle acque. Essendo sconosciuto il meccanismo non è possibile costruire alcuna equazione matematica che lo rappresenti da inserire nei modelli, che sono quindi automaticamente difettosi.
La seconda: anche nella scienza i diavoletti maligni si nascondono nei dettagli, che a parere di chi scrive non sembrano neppure tanto piccoli. Il problema nasce dalla determinazione del valore della temperatura annua media globale. Essa si misura in base ai valori delle centraline climatiche, dislocate in gran numero un po’ ovunque sulla terraferma e sui mari –in questo secondo caso poste su boe galleggianti. Probabilmente ne avrete vista qualcuna dislocata in qualche strada o piazza della vostra città. Soffermiamoci su quelle poste su terraferma. Qual è la loro distribuzione?
Esse sono molto più numerose nelle città rispetto a quelle disposte in zone rurali o ancora naturali, e questo soprattutto per facilità di accesso e controllo. Ma nelle città, come noto, si creano le cosiddette “isole di calore” dovute agli impianti di riscaldamento, alle industrie, alla concentrazione del traffico automobilistico con il conseguente calore dei gas di scarico degli autoveicoli. Il valore della temperatura qui rilevata è quindi superiore rispetto a quello delle zone rurali. Il valore medio globale che ne deriva non è quindi quello del riscaldamento reale di tutto il pianeta. E qui la sorpresa: qualcuno, per verifica, ha introdotto nei calcoli del modello il valore medio ricavato dalle sole centraline rurali, escludendo quello delle “isole”, e il primo ha ottenuto un risultato minore di 0,3° C. Riporto quanto scrive il professore di climatologia Nicola Scafetta, “negazionista”, che ha eseguito importanti ricerche all’interno di un gruppo internazionale di 32 ricercatori qualificati:
Usando considerazioni comparative basate sulle simulazioni climatiche dei modelli, sulle differenze tra i record climatici inerenti l’oceano e le terre ferme e quelle tra le zone urbane e quelle rurali, e il confronto con i dati climatici satellitari della bassa troposfera, si è stimato che il riscaldamento globale riportato nelle ricostruzioni comunemente usate potrebbe essere sovrastimato per circa un 15-20%.[2]
Vediamo ora l’andamento della temperatura del pianeta negli ultimi 150 anni raffigurato in un grafico della NASA, l’ente spaziale statunitense (Fig.3). Lì si vede che nel periodo 1940 – 1980 la temperatura mostra una sensibile costanza pur essendo stato questo un periodo di intensa produzione industriale e quindi di generazione di CO2. Qualcuno ricorderà che gli anni 1950-1978 vennero definiti “I trenta gloriosi”[3] grazie alla forte crescita della produzione industriale mondiale. Il grafico evidenzia anche come il periodo dalla metà degli anni ’40 fino alla fine degli anni ’80 sia stato un periodo di raffreddamento (variazione di temperatura negativa). Ricordo che nello scritto precedente si era ricordato il “grande freddo” annunziato in arrivo. [4]
Fig. 3
Le due ipotesi assunte, come avevamo detto, nel modello e cioè la costanza nel tempo dei valori dell’irraggiamento solare e delle emissioni vulcaniche, sono state smentite dai due grafici della Fig.4 elaborati dal gruppo di ricercatori prima citati, che mostrano l’andamento dei valori dall’anno 1000 al 2000, che mostrano grandi variazioni per entrambi i fattori.
Una parentesi: il lettore può trascurare la lettura dei prossimi paragrafi, che può risultare complicata, e saltare al paragrafo contrassegnato §§§. Il testo di Scafetta cui ci riferiamo (nota 2) è molto interessante perché egli è attento a ricordare i canoni della scienza e ammette che le due teorie, quella antropica e quella climatica, hanno ciascuna dei limiti e che sul piano scientifico il dibattito è tuttora aperto e che «la letteratura scientifica non ha raggiunto delle conclusioni univoche e incontrovertibili e diversi studi propongono un’interpretazione climatica diversa da quella fornita dall’IPCC» (p.59). Inoltre, riferendosi alla teoria delle cause naturali, di cui è sostenitore, riconosce che «riguardo i periodi storici preindustriali le ricostruzioni climatiche non sono certe perché basate su proxi[5] climatici e non su misure meteorologiche dirette. Questo fatto genera una certa incertezza» (p.67). Il testo mi appare diplomatico per non rompere un possibile dialogo fra le parti, tuttavia porta una serie di argomentazioni avverse alla teoria antropica che a me sembrano inequivocabili.
Nel testo di Scafetta c’è anche una descrizione sintetica e chiara della posizione dell’IPCC: «Sulla base di tali risultati e usando sempre gli stessi modelli, ma ora forzati con delle funzioni derivate da ipotetici scenari futuri di emissione di gas serra chiamati Pathways Shared Socioeconomis[6] (SSP), l’AR6 (Assessment Report 6, nota mia) conclude che, durante il XXI secolo, ulteriori emissioni antropiche di gas serra dovrebbero indurre un continuo riscaldamento del pianeta che diventerebbe pericoloso quando supera gli 1,5-2,0 °C rispetto al periodo 1850-1900, cosa che potrebbe avvenire subito dopo il 2030 (IPCC 2018). Per questa ragione l’IPCC raccomanda l’implementazione di costose e aggressive politiche di mitigazione climatica caratterizzate da una riduzione drastica dell’uso dei combustibili fossili».
Fig. 4
Scafetta afferma altresì che «le scelte dell’IPCC sono sicuramente viziate da un pregiudizio ideologico finalizzato a enfatizzare il contributo climatico antropico su quello naturale» (p.62).
È opportuno precisare a chi legge che l’IPCC non è un organismo scientifico bensì politico il cui ruolo è quello di «valutare su una base globale, obiettiva, aperta, trasparente, le informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche rilevanti per comprendere i rischi dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo, i potenziali impatti e le opzioni di adattamento e mitigazione» [… …]. Cioè l’IPCC è responsabile dell’avanzamento delle conoscenze sui cambiamenti climatici “indotti dall’uomo” e non di quelli indotti dalla “natura”. Per questo gli studi sull’ipotesi naturale non rientrano negli interessi dell’ONU.
Tornando ai motivi della critica alla teoria delle cause antropiche e ad un punto a favore delle cause naturali e riferendoci di nuovo a Scafetta e ai suoi studi sui cicli solari «l’analisi ha messo in evidenza diversi cicli con periodi di circa 5,2 – 5,93 – 6,62 – 7,42 – 9,1 – 10,5 – 13,8 – 20 e 60 anni, e altri più brevi (ma anche assai più lunghi, nota mia) Alcune di queste oscillazioni, come ad esempio quella di 60 anni, appaiono chiaramente in diverse sequenze climatiche per diversi secoli. [… …] L’aspetto più affascinante è stato scoprire che questi sono tutti periodi solari e astronomici».
Detto in altre parole esistono delle configurazioni variabili periodicamente del sistema “sole + pianeti + loro satelliti” e quindi del punto baricentrico dell’intero sistema solare. Scafetta introduce nel suo testo una figura che confronta lo spettro continuo delle frequenze della velocità del Sole rispetto al baricentro del sistema solare che evidenzia la serie principale di armoniche astronomiche e lo spettro della temperatura globale superficiale HADCRUT, mostrando tutto questo con efficaci raffigurazioni colorate dell’influenza sulla temperatura. Ma mi fermo qui perché mi sono già addentrato in argomenti non di immediata comprensione, e mi limito alla conclusione facilmente comprensibile: «l’ipotesi fondamentale è che le oscillazioni gravitazionali del sistema solare associate al movimento periodico dei pianeti influenzino l’attività solare e, di seguito questa influenzi il clima» (pp.72-73).
Fig. 5
§§§ Ultima nota critica al modello, già anticipata: vi sono alcune discordanze di valori fra dati rilevati e valori calcolati riferite al tempo presente. I calcoli eseguiti col modello (in generale anche con tutti i vari modelli utilizzati ad oggi, che sono più di un centinaio) per quanto riguarda in particolare la temperatura nella zona più alta della troposfera (ma anche in altri luoghi), vale a dire circa 8-15 km di quota sopra i tropici e dove i gas serra sono più concentrati, forniscono valori della temperatura assai più alti rispetto a quelli della superficie terrestre. Quest’aumento non è confermato dalla misura diretta (Scafetta pp. 69-71). Infine un’osservazione: i calcoli eseguiti col Modello CMIP6 GCM, quello a cui ci stiamo riferendo, avevano previsto per gli anni 1980-1990 un riscaldamento generalizzato su tutto il pianeta mentre misurazioni dirette mostrano raffreddamento nella zona antartica e nel Pacifico equatoriale. (Scafetta p.70) Infine le discordanze sono anche relative al passato, ad esempio con riferimento a andamenti accertati della ricostruzione riportata nella fig.1 del precedente scritto.
Ho evidenziato in neretto alcune parole perché nelle descrizioni terroristiche di molti “opinionisti” oracolanti si parla di scioglimento globale dei ghiacci e di terribile innalzamento del livello del mare con sommersione di oltre metà delle attuali terre emerse, cosa che da tempo diversi ricercatori smentiscono con dati alla mano, ma inutilmente.
Giunti a questo punto, personalmente concluderei che la teoria antropica è gravemente inficiata da dati reali mentre quella delle cause naturali ha molte frecce per il suo arco anche se ancora non è affermabile con certezza.
Avevamo però iniziato elencando sei ipotesi, e a questo punto non vorrei lasciare nel dimenticatoio le altre, anche perché nulla vieta di pensare che fenomeni come quello degli effetti delle 2000 bombe atomiche sperimentali esplose negli anni precedenti la tregua concordata, di cui una parte esplose proprio nella parte bassa della troposfera, quello degli esperimenti sul clima da parte delle grandi potenze, alcuni accertati, i vari esperimenti di geo-ingegneria –negati ma anche questi alcuni oggi accertati- possono sovrapporsi ai cambiamenti naturali. Qui però non tornerò a breve perché i dati ufficiali, secretati, sono accessibili con difficoltà e la letteratura, anche se molta, è dispersa e non tutta attendibile.
Ho detto che esiste una confusione di sensazioni nella testa della gente fra problema climatico e disastro ambientale. Qui un’amica mi ha introdotto alla conoscenza dei lavori interessantissimi di un giovane ricercatore statunitense, Charles Eisenstein, di cui lei ha tradotto un libro (Climate. A new story), che con il permesso dell’autore è ora disponibile online in italiano.
Per terminare: a queste note naturalmente non esaustive che semplificano il problema senza però travisarlo, manca inoltre una bibliografia di base, che inserirò nel terzo testo. E anche un vocabolarietto dei termini e degli acronimi, che altrimenti sono un labirinto per chi vuole addentrarsi nella letteratura disponibile in internet, al quale sto pure provvedendo.
Infine: uno dei grandi temi in discussione è costituito dai fenomeni meteorologici estremi sul quale, per non appesantire il testo, ho aggiunto una nota. Una seconda nota riguarda il “consenso scientifico”, altro tema chiave e manipolato. Una terza nota è una anticipazione del vocabolarietto. Infine una quarta nota per chi vuole sapere di più sui gas serra, magari incuriosito dalla “storiella” di Franco Battaglia e dai miei dubbi esposti all’inizio.
Nota 1: I fenomeni meteorologici estremi
Cito da Franco Battaglia (vedi nota 1): «Infine, uno dei principali timori del riscaldamento globale è l’aumento per numero e intensità di fenomeni meteorologici estremi, tipo gli uragani. Se il GW (Grande riscaldamento) fosse di origine antropica, allora basta intervenire alla fonte della presunta causa per scongiurare l’aumento, per numero e/o per intensità, degli uragani. […] Gli uragani si contano e le Agenzie americane predisposte li stanno registrando, per numero e intensità, dal 1850 […] Se si eseguono le somme degli uragani che hanno colpito l’America negli 80 anni compresi tra il 1850 e il 1930 e si confrontano con il numero degli uragani dei successivi 89 anni, compresi fra il 1930 e il 2010 […] si osserva che gli uragani, sia per numero che per intensità, sono diminuiti. Noi che scriviamo riteniamo la cosa una fluttuazione statistica. Che però non potrà essere spacciata come aumento di uragani».[7]
Egli dà una spiegazione plausibile della «percezione che oggi vi siano eventi climatici estremi più che in passato perché oggi si registrano danni maggiori che in passato. Il fatto è che, in conseguenza dell’aumentata popolazione, l’urbanizzazione è oggi più intensa che nel passato e, per esempio, se un uragano di forza 4 in passato non causava danni su un’area non antropizzata, anche un uragano di forza 1 può causare ingenti danni sulla stessa area ove, oggi, essa sia occupata dall’uomo». Di questo ho anche altre conferme.
Nota 2 – Il “consenso scientifico”
Gira la notizia, diffusa dall’IPCC, che il 97% degli “scienziati” concorda con la teoria antropica. Questa è una lettura falsata di una inchiesta condotta fra 4.000 metereologi statunitensi. Questa inchiesta, leggendo le domande e le risposte, in realtà ci dice che solo il 29% ritiene che l’uomo abbia contribuito fra l’81% e il 100% del riscaldamento globale dal 1960 ad oggi e, quindi, è in accordo con l’lPCC. Il rimanente 71% lo contraddice, ritenendo invece che i fattori naturali abbiano contribuito in modo più o meno rilevante al riscaldamento osservato (Scafetta p.56).
Da un’altra notizia letta recentemente apprendo che il documento Global Warming Petition Project, (Progetto di petizione sul riscaldamento globale)OriginaleGlobal Warming Petition Project, firmato da oltre 31.000 scienziati statunitensi, afferma che «non ci sono prove convincenti che il rilascio umano di anidride carbonica, metano od altri gas serra stia causando o causerà, nel prossimo futuro, un riscaldamento catastrofico nell’atmosfera terrestre e una trasformazione del clima terrestre. Vi è anzi una sostanziale evidenza scientifica che l’aumento di biossido di carbonio nell’atmosfera produca molti effetti benefici sugli ambienti naturali di animali e piante» (Il clima e la pista dei soldi – William Engdahl, journal-neo.org – 28 Settembre 2019).
Nota 3 – Nel labirinto dell’IPCC
Una piccola anticipazione del vocabolarietto per capire alcuni termini qui usati:
I Rapporti di Valutazione sui Cambiamenti Climatici dell’IPCC o “ASSESSMENT REPORTS”
Ogni Report è composto da una valutazione scientifica e tecnica dei cambiamenti climatici pubblicata in tre volumi – uno per ogni Working Group (WG) – più un Synthesis Report.
I volumi dei 3 WG sono formati da capitoli tematici, una sintesi tecnica (Technical Summary – opzionale) e una sintesi per decisori politici (Summary for Policymakers).
Il Synthesis Report riassume e integra i contenuti degli Assessment Reports e degli Special Reports, è scritto in un linguaggio non-tecnico, e affronta una vasta serie di questioni che sono rilevanti per i decisori politici e, allo stesso tempo, neutrali dal punto di vista politico. Il Synthesis Report è composto da un report esteso e da una sintesi per decisori politici (Summary for Policymakers).
Nota 4 – Il clima
Nel primo documento ho riportato una definizione scientifica del clima, che forse suona male a chi legittimamente usa la parola clima nel suo significato corrente come normalmente fa anche chi scrive. Essa dice: «Con clima si intende il bilancio energetico tra la Terra e ciò che sta fuori di essa».[8] Detto con parole diverse e trascurando piccole entità di energia come ad es. quella proveniente coi raggi cosmici, la Terra riceve la (quasi) totalità dell’energia dall’esterno tramite l’irraggiamento elettromagnetico solare e riemette energia verso l’esterno tramite la radiazione termica infrarossa che qualunque corpo emette in quantità variabile in funzione della sua temperatura. Parte di quest’ultima però viene intercettata e rinviata verso terra dai gas serra e dalle nuvole. La quantità rinviata dalla CO2, il principale gas serra insieme al vapor d’acqua, «è una funzione logaritmica della concentrazione atmosferica di CO2 e, quindi, cresce sempre più lentamente con l’aumentare della CO2 atmosferica. [… …] (CO2, vapor d’acqua e nubi) assorbono e irradiano verso la Terra la radiazione infrarossa che la stessa superficie emette in virtù della sua temperatura. [… …] Modellare con precisione tutti i meccanismi di feedback del sistema climatico –in modo particolare quello del sistema nuvoloso e quello del vapor acqueo- non è ancora possibile» (Scafetta pp. 63-64). Sottolineerei il fatto che all’aumentare della quantità di CO2 quella aggiuntiva ha via via un effetto serra minore.
Aldo Zanchetta, ingegnere chimico, 9 agosto 2023
[1] Franco Battaglia, Non esiste alcuna emergenza climatica, p. 99, in Dialoghi sul Clima, Rubbettino ed., 1922.
[2] Nicola Scafetta, Interpretazioni del cambiamento climatico: dai modelli basati sulla CO2 a quelli basati sulle oscillazioni astronomiche, p.60, in Dialoghi sul clima, già citato.
[3] Titolo di un libro di J. Fourastié che all’epoca ebbe successo.
[4] In questo periodo si notano due picchi positivi che corrispondono al fenomeno noto come El niño.
[5] Proxi: Denominazione di dati relativi a epoche remote, dedotti indirettamente. La raccolta regolare di dati meteorologici su scala mondiale ha avuto luogo solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; le condizioni climatiche antecedenti non possono, dunque, essere identificate con dati diretti, ma possono essere valutate a partire da misurazioni ambientali di quantità che sono più o meno direttamente collegate alla situazione climatica locale. Nella paleoclimatologia questi dati, chiamati proxy data, hanno origini molteplici e sono ottenuti in base a vari elementi: le composizioni isotopiche (dell’ossigeno, del deuterio e del carbonio) misurate nei sedimenti oceanici e lacustri, nelle calotte polari, nelle stalattiti e nelle stalagmiti, negli anelli degli alberi e negli strati geologici; le testimonianze delle faune e delle flore del passato, quali i pollini, le microfaune marine, gli insetti, i mammiferi, i molluschi, le piante fossili; le prove geologiche e geomorfologiche fornite dallo studio di morene, evaporiti, paleosuoli, varve, dune, scogliere coralline, e così via. Questi dati, analizzati simultaneamente e in modo coerente, consentono di creare un’immagine razionale delle variazioni climatiche avvenute lungo particolari momenti della storia della Terra (da Treccani on line).
[6] Pathways Shared Socioeconomis : Percorso socioeconomico condiviso.
[7] Battaglia, vedi nota 1, pp.116/117
[8] Battaglia, vedi nota 1, p.100.
Queste considerazioni che posso condividere e che ho già letto nel libro “Dialoghi sul clima” a cura di Alberto Prestininzi mi sembra però che non abbiano una valenza significativa nel dibattito scientifico attuale. Mi spiego meglio: qualsiasi ipotesi scientifica deve essere validata dalla comunità internazionale e le teorie illustrate in questo articolo, come anche nel libro citato, sono ininfluenti e poco considerate a fronte di altri studi che si reggono su teorie più verificate e significative. È perché sono condizionate da orientamenti politici? Mi sembra un po’ banale questa osservazione e anche se non sono un ingenuo mi è difficile credere che tutti gli scienziati, o meglio un considerevole numero tralasciando le percentuali, siano condizionati da fattori extra-scientifici o addirittura da interessi economici. Certamente la scienza non è come la democrazia e cioè non vige il principio della maggioranza, cioè più siamo e più abbiamo ragione, ma la capacità di controbattere una teoria con dati alla mano silenziando chi prova a presentare teorie “farlocche”. Ho timore, ma mi auguro di sbagliare anche perché incompetente in materia, che queste teorie, che attribuiscono alla variazione climatica un motivo non antropico ma naturale, forse lo siano.
P.S. Mi viene da citare Battisti che nella sua canzone “Ma è un Canto Brasileiro” recita: “Non puoi partecipare a quella storia, dove racconti che la benzina quasi quasi quasi purifica l’aria….”
Grazie dell’analisi, che condivido appieno.
Detto in parole povere, abbiamo a che fare con:
– una esagerata sopravvalutazione dell’effetto serra dovuto alla CO2;
– una sopravvalutazione delle temperature misurate. L’attendibilità dei set di temperature disponibili è scarsa in quanto derivati da misure termometriche, a partire da 1860, disomogenee in qualità della misura, in numero, in periodo di attività e a causa delle variazioni di condizioni al contorno (molte misure avvengono in zone antropizzate e secondo me anche distribuite in modo disomogeneo sulla superficie terrestre), mentre peri periodi precedenti sono di tipo indiretto basate sui proxies (come anelli degli alberi e ice-coring);
– La sottovalutazione dell’effetto delle isole di calore dovute alle grandi città;
– la sottovalutazione delle variazioni della radiazione solare;
– l’ignoranza sulla evoluzione dei fenomeni nuvolosi e quindi sull’intero ciclo dell’acqua, ovvero l’impossibilità pratica di modellarlo matematicamente in modo appropriato (lo ammette la stessa IPCC che sulle nubi le conoscenze sono scarse), tanto è vero che le simulazioni riescono a riprodurre solo parzialmente le variazioni di temperatura terrestri;
– La scarsa attendibilità dei set di temperature disponibili, derivati da misure termometriche a partire da 1860, disomogenee in qualità della misura, in numero, in periodo di attività e a causa delle variazioni di condizioni al contorno come detto prima. e precedentemente base su proxies come anelli degli alberi e ice-coring;
– La negazione di finanziamenti ai programmi di ricerca che potrebbero non confermare la narrazione corrente e il silenziamento, se non denigrazione, delle voci contrarie alla narrazione IPCC
– La manipolazione mediatica dell’informazione climatica che altera la percezione delle temperature e del clima;
Infine aggiungerei una totale dimenticanza che il clima è un sistema complesso, e come tale governato dalla interazione tra i vari componenti più che dal comportamento dei singoli componenti stessi, con una grande capacità di autorganizzazione e di creazione di proprietà emergenti inattese e impensabili che fanno evolvere il sistema verso attrattori a noi sconosciuti, che forse sono rappresentati solo dalla sopravvivenza del sistema stesso, di cui l’umanità è una percentuale trascurabile e quindi sacrificabile.
Scusate la confusione fatta nell’elenco dei punti, il sesto punto è una parziale duplicazione del secondo