A 14 giorni dalla clamorosa azione della Resistenza palestinese, pare che Israele stia finendo in un Cul de sac. Il governo Netanyahu dispone solo di una strategia terroristica, dunque non ha in realtà strategia alcuna.
Lo stragismo dei bombardamenti su Gaza è solo la scontata dimostrazione della propria natura genocidaria, non certo una manifestazione di forza, tantomeno il tassello di un piano che potrebbe portare alla vittoria. Del resto, bombardare un campo di concentramento che si è costruito e si controlla, ben difficilmente potrebbe essere considerato come un segno di forza.
Non parliamo, poi, dell’inqualificabile menzogna sui responsabili della strage all’ospedale Al-Ahli Arabi Baptist. Israele bombarda da due settimane la Striscia di Gaza, ha colpito scuole, centri medici, ambulanze, la popolazione civile in ogni dove, e noi dovremmo credere alle favole di Netanyahu? Fra l’altro, da quando in qua la Resistenza palestinese dispone di missili così potenti? Ma lasciamo Israele alle sue menzogne. Il sostegno di Biden e dei media occidentali non basterà di certo ad occultare la realtà delle cose di fronte al mondo. Che, sfortunatamente per questi farabutti, è cosa assai più ampia dell’Occidente…
Le grandi manifestazioni del fine settimana scorso, tutte colorate dalle bandiere della Palestina, sono state il segno del grande successo politico dell’azione di Hamas. La questione palestinese, che si voleva ormai dimenticata, è tornata al centro della scena. E ci resterà a lungo. Certo, questo sta avvenendo al prezzo di enormi sacrifici. Ma c’erano alternative?
Torniamo adesso all’assenza, meglio all’impossibilità, di una strategia da parte di Israele. Nei giorni scorsi qualcuno ha parlato di una nuova Nakba. A mio modesto avviso un errore colossale. Ora, se con la parola Nakba intendiamo riferirci all’attuale tragedia umanitaria di Gaza, allora quel termine è comprensibile. Ma mentre la Nakba del 1948 fu tanto una catastrofe per i palestinesi, quanto un successo (territoriale e non solo) del nascente stato sionista, oggi le cose stanno assai diversamente.
Allora la cacciata dei palestinesi dalle loro case e dai loro villaggi era parte della strategia espansionista e colonialista su cui si è fondata Israele, ma oggi questa espulsione non è più possibile. Ammesso e tutt’altro che concesso che volessero davvero andarsene, dove potrebbero mai rifugiarsi i palestinesi di Gaza? La verità è che stiamo parlando di milioni di persone che non hanno più nulla da perdere e che di conseguenza nulla possono più concedere.
Lo so, detta così, questa che pure è una verità, può apparire troppo schematica. Ma chiediamoci come mai la tanto annunciata offensiva terrestre dell’esercito israeliano sia stata messa quantomeno in stand by.
Qualche giorno fa abbiamo così sintetizzato la questione:
«Naturalmente, i soliti espertoni del nulla parlano di un autogol di Hamas, perché adesso Netanyahu “spianerà” Gaza. Vero, Israele non si farà di certo scrupoli (e non se li sta facendo, ma è sempre stato così) nell’attaccare case, ospedali, ambulanze, nel togliere acqua ed energia elettrica, nell’impedire l’afflusso dei generi alimentari. Ma “spianare” la Resistenza è un’altra cosa. Lo stato sionista ci ha già provato tante volte e gli è sempre andata male. Ci sarà pure un perché».
Abbiamo avuto torto? Non direi. Contrariamente a quel che pensa un certo complottismo, per Israele l’obiettivo non può essere che quello di eliminare la testa della Resistenza, in primo luogo Hamas. E’ possibile raggiungere questo risultato, mancando il quale ogni “vittoria” israeliana sarebbe solo una fugace illusione, senza entrare nella Striscia? Evidentemente no. Ma entrare significherebbe due cose: mettere nel conto grandi perdite per l’esercito israeliano ed il possibile allargamento del conflitto a nord con Hezbollah. E’ assai dubbio che Israele possa permettersi un simile scenario, ma anche se alla fine Netanyahu dovesse comunque decidere per l’offensiva terrestre questo non sarebbe sufficiente ad annientare la Resistenza.
Il punto, che molti in Occidente non capiscono, è il cambiamento arrivato con l’azione del 7 ottobre. Per Israele, l’illusione di poter avere la botte piena (lo schiacciamento del popolo palestinese) insieme alla moglie ubriaca (un livello di resistenza relativamente basso e dunque considerato accettabile) è finita. Certo, Israele ha mezzi militari enormi, inclusa l’atomica, ma stavolta la sola forza muscolare non sarà sufficiente ai sionisti. Ed essi, essendo assai più intelligenti dei loro megafoni che starnazzano in Europa, lo sanno. Ecco qui spiegato il Cul de sac.
Ma c’è un’altra questione. Posto che, dopo quello ucraino, un secondo fronte di guerra si è ormai aperto, posto che le variabili sono tante e tutto può accadere, davvero gli Stati Uniti hanno interesse ad una guerra regionale in Medio Oriente? Anche qui la risposta è no. E la mesta visita di Biden è lì a dimostrarlo. Avevamo mai visto un presidente americano costretto a rinunciare ad un incontro programmato perché gli interlocutori gli hanno dato buca? No, ma adesso anche questo è accaduto.
Naturalmente, l’assenza di una strategia vincente non vuol dire che il sionismo e l’imperialismo si fermeranno. Ancor meno significa che per la Resistenza palestinese la vittoria sia vicina. Ma per chi resiste da tre quarti di secolo i calcoli ed i tempi su cui si ragiona sono altri. Adesso la lotta continua, ma l’importante era riaprire in tutti i sensi la questione palestinese. Obiettivo centrato in pieno: vi pare poco?