Pubblichiamo le considerazioni di Umberto Spurio in risposta alle critiche avanzategli da Franceschini.
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Esistono due scuole di pensiero fondamentali per quanto riguarda la lotta politica: una pensa che a generare i movimenti di massa siano apparati di potere, più o meno nascosti, più o meno reazionari; l’altra pensa che i movimenti di massa si formano per effetto delle contraddizioni economiche e sociali e che solo a quel punto intervengono determinati apparati per cavalcarli.
Mentre non possiamo escludere casi in cui le ribellioni si sviluppano unicamente per effetto delle campagne mediatiche degli apparati di sistema (di solito limitati nello spazio e nel tempo e ben riconoscibili per le parole d’ordine e gli obiettivi coinvolti), quando ci troviamo di fronte a movimenti che hanno le caratteristiche di una sollevazione popolare allora penso che dobbiamo andarci cauti nel pensare che siano generati da una regia occulta.
La storia umana dimostra che per quanto possano essere forti, agguerrite, organizzate, seducenti, ipnotizzanti le forze sistemiche hanno anche ricevuto sonore sconfitte o hanno sudato sette camice per evitare gravi danni.
Vogliamo citare la lotta del popolo vietnamita che, poco armato, piccolo di statura e privo di un potente esercito, ha cacciato via l’invasore americano grazie alla sua determinazione?
Vogliamo citare la Resistenza italiana che ha affrontato la potenza di fuoco e l’infamia del nazifascismo con una determinazione così profonda che quando il generale Alexander, in qualità di comandante in capo delle forze alleate del Sud Europa, chiese ai partigiani di ritirarsi non solo non ci fu alcun ritiro, ma le brigate partigiane crebbero di numero e intensificarono le attività fino a creare repubbliche liberate?
Vogliamo citare la battaglia di Stalingrado, l’Intifada palestinese? O vogliamo citare cose più “modeste” come l’occupazione di uno stabilimento industriale da parte degli operai che non vedono altra scelta che difendere il luogo dove si muore e ci si ammala, eppure dove possono avere l’unico salario per vivere, occupazione che va avanti nonostante le denunce, il disinteresse degli organi di stampa, il non appoggio dei sindacati e la strafottenza del parlamento?
Nella narrazione che non esista capacità delle masse oppresse di muoversi senza una regia occulta si nasconde il più grande pericolo per le forze che aspirano al cambiamento rivoluzionario della società.
Nella incapacità di riconoscere che sono le contraddizioni del neoliberismo che muovono il grandioso movimento dei gilet gialli in Francia e le rivolte negli USA, nel vedere ostinatamente sempre e comunque la regia occulta dei movimenti di massa (per ora lasciamo perdere se hanno un carattere violento o pacifico) si nasconde un errore non grave, ma gravissimo: non dare alle masse una loro capacità di autorganizzazione (per quanto parziale, frammentata, contradditoria) ma vederle sottomesse ad un potere che dirige, manovra, fa e disfa come gli pare.
Chi crede questo ha un sottile disprezzo per le masse e in buona sostanza conferisce al potere sistemico una forza ben più grande di quella che possiede.
Franceschini, ma in questo credo di averlo aiutato io per una non felice esposizione lessicale, mi associa all’idea che le masse in rivolta non hanno respiro politico per costruire un partito che vinca le elezioni come dimostrato dai danneggiamenti.
Preciso che mi riferisco a chi ha parlato delle rivolte negli USA come unicamente violente e dunque prive di un progetto politico, quasi come se fossero orde di scalmanati dediti al furto di Nike e televisori al plasma.
Non è un caso che ho terminato il mio pensiero scrivendo “La questione centrale è dunque un altra: la costruzione di un organismo politico che dia direzione e coerenza rivoluzionaria alle ribellioni.”
E veniamo ai gilet gialli.
Quel movimento ha partorito una piattaforma con circa quaranta punti di richieste politiche che sono una sostanziale sfiducia alle politiche neoliberiste (mi astengo dall’elencarle qui per evitare di appesantire questo documento) ed è vero che non sono state soddisfatte dal governo Macron, come giustamente afferma Franceschini.
Ma soddisfarle voleva significare smantellare non solo l’essenza stessa della cultura neoliberista, ormai dominante, ma i meccanismi, le istituzioni, i rapporti di classe, l’organizzazione dello Stato francese attuale.
Le richieste avevano, ed hanno, un valore politico di critica totale al neoliberismo e se non sono state rispettate rimanda alla questione di fondo del mio documento: per poter essere ascoltati i movimenti di massa devono per forza assumere la forma insurrezionale non per scelta ma come conseguenza della grande forza del sistema neoliberista in rapporto alla forza dei movimenti.
Gli stati maggiori delle grandi imprese, delle multinazionali, delle finanziarie speculative e tutti i ceti sociali che vanno a banchetto insieme a loro NON CONSENTIRANNO LA NASCITA DI UN PARTITO CHE POSSA ARRIVARE IN PARLAMENTO SENZA BATTER CIGLIO, e se questo partito (o Comitato interforze) avrà luce e potrà conseguire risultati non effimeri lo potrà fare solo nella misura in cui nasce nel fuoco delle lotte in un clima di insurrezione ed assumerà quindi la forma non di un organismo che resta incanalato nelle pastoie del sistema, ma come governo popolare di emergenza sorretto da ampie masse che presidiano i territori, le fabbriche, le istituzioni.
Questo non significa necessariamente volere la violenza; le masse non agiscono mai per prime con la violenza, semmai è il sistema che esperiti i tentativi di dividerle con la denigrazione, le minacce, la propaganda, la corruzione, passa alle vie della repressione.
Ecco perché è strategicamente importante costruire i comitati popolari di tutti coloro che vedono nel neoliberismo il nemico principale: i comitati popolari sono l’ossatura del nuovo stato in divenire e al tempo stesso sono la forza senza la quale nessun partito, per quanto dotato di linea giusta, potrà farcela.
Saranno i comitati popolari a dover controllare persino il “loro” partito, ad essere pronti a rimetterlo sulla strada che difende gli interessi delle classi popolari non appena accenna a cedere di fronte alle lusinghe o agli attacchi del sistema.
Spero di aver chiarito il mio pensiero.
*Umberto Spurio è membro del Cpt Campania
Accetto con piacere la replica, che però mi obbliga a delle precisazioni.
Di fatto non ho equiparato le rivolte USA con l’esperienza dei gilet gialli e, soprattutto, rigetto in toto il presunto “sottile disprezzo per le masse” che, eventualmente, potrebbe sottendere le mie riflessioni.
Come non ho mai affermato che le masse siano incapaci di muoversi se non spinte da una regia occulta.
Certamente, credo che le dinamiche dei movimenti di massa vadano sottoposte a lenti di ingrandimento che vanno oltre la politica dato che l’uomo, per alcuni aspetti della sua natura, può comportarsi in maniera assai diversa in gruppo di come farebbe individualmente; ma qui certamente il discorso si amplierebbe notevolmente in maniera non adatta a questa sede, anche se penso che la politica debba affrontarlo una volta per tutte per darsi una regola “deontologica”, per quanto possibile ed auspicabile.
Tornando alla sostanza, agli esempi storici apportati: sono certamente diversi da quanto accade oggi negli USA, il sistema di potere non era ancora così ben strutturato e oliato, soprattutto quando c’è un obiettivo certo, le elezioni di novembre; il potere degli apparati e delle corporazioni globali coinvolte oggi è perfettamente in grado, come abbiamo visto, di mobilitare quasi automaticamente alle proteste spontanee e pacifiche, tutto l’armamentario di media, intellettuali e commentatori esperti per creare un certo tipo di clima, in maniera praticamente scientifica.
L’automatismo è dovuto al particolare tipo di “pensiero unico dominante” oggi, di matrice materialista, tecnicista, scientista e progressista.
Di lì a mobilitare “pezzi” incontrollati ed a fornire mezzi e protocolli particolari alle forze dell’ordine è un attimo, per non parlare della progettazione della tournée mondiale.
Dal che ne dedurrei anche la non consistenza dell’osservazione, ammessa ma non concessa come corretta, del fatto che le masse non agiscano mai prime prime con la violenza: ci vuol poco a pagare black block e far passare masse pacifiche per violente, con tutte le ipocrite conseguenze mediatiche pronte e servite all’istante.
Insomma, non dico che non sia possibile una sollevazione, le contraddizioni di sistema ed i problemi sociali ci sono tutti e di più, ma non possiamo non tener conto delle capacità tecniche del sistema odierno, le stesse capacità che, stando all’autore, “NON CONSENTIRANNO LA NASCITA DI UN PARTITO CHE POSSA ARRIVARE IN PARLAMENTO SENZA BATTER CIGLIO”.
Ed è qui che si arriva, giocoforza, agli obiettivi: personalmente non reputo percorribile o auspicabile una politica che veda l’insurrezione come punto di svolta, dato che il sistema sarebbe in grado comunque di fermarla, costi quel che costi, o con la corruzione o per via militare, economica, internazionale, finanziaria, ecc. ecc.
Se insurrezione veramente sarà, come sbocco spontaneo ed inevitabile date le contraddizioni del sistema, la presenza di un partito serio ed organizzato con le idee chiare non sarà certamente inutile.
E’ certo quindi, per quanto mi riguarda, che dovremmo essere quanto mai intelligenti, creativi, etici e innovatori: se la società civile più responsabile, inclusa quindi la sua parte politicamente più consapevole, non sarà capace di creare un partito in grado di far leva in maniera comprensibile e percorribile su quei diritti già incarnati nella Costituzione e nella giurisprudenza, i diritti umani, in modo da rivitalizzare lo Stato di diritto, non penso che avremo alcuna speranza in un futuro migliore.