«Il voto dà respiro al governo», questo il titolone del Corriere della Sera di ieri. Una sintesi ineccepibile dell’ennesimo paradosso italiano. Le forze di governo tracollano in voti rispetto alle precedenti elezioni regionali, ma siccome l’attesa era per una disfatta ancor più grande, il generale arretramento diventa una vittoria.
In realtà questo paradosso ne contiene altri due. Il primo è che, salvo la Liguria, i due principali alleati di governo erano invece avversari nelle regioni. Il secondo è che l’illusione ottica del grande successo governativo è esattamente il frutto della stupidità degli avversari, quelli che prevedevano la famosa “spallata”, il “cappotto” del sei a zero ed altre amenità.
Simbolo di questa inarrestabile avanzata delle truppe salvinian-meloniane avrebbe dovuto essere la Toscana. Chi scrive aveva segnalato per tempo quanto fosse improbabile un simile scenario. (Tra parentesi: le quattro previsioni finali lì avanzate si sono realizzate al gran completo, peccato che la Snai non quoti certe cose…).
Alcuni dati
Non intendiamo qui perderci nei mille dati da decifrare di ogni elezione, ma qualche numero può essere utile. In termini di regioni “conquistate”, al posto del sei a zero salviniano c’è stato un tre a tre che in realtà non era difficile prevedere. Della Toscana si è detto, ma scontato (e alla grande) era il risultato in Campania, mentre più incerto appariva quello in Puglia. Ma se si comprendono le nobili ragioni del successo di De Luca e delle sue 15 (quindici) liste campane (nulla a che fare col clientelismo, ci mancherebbe!), non sarà difficile capire quelle del De Luca light pugliese, al secolo Michele Emiliano, anche lui accompagnato da 15 liste. Una pittoresca carrellata di simboli cui conviene dare uno sguardo, giusto per rendersi conto dov’è finita la politica italiana. Tra questi simboli ne segnaliamo alla rinfusa alcuni: I Liberali, Dc Puglia, Sud Indipendente, Partito del Sud, Partito Pensiero e Azione, Pensionati e invalidi giovani insieme, Partito animalista, Sinistra Alternativa. Che dire, viva il Carnevale!
Se il 3 a 3 è la sintesi di quanto avvenuto, vediamo invece i risultati dei due maggiori partiti di governo. Data la peculiarità di ogni elezione (in specie quelle nelle regioni) il raffronto deve essere fatto in primo luogo con le regionali precedenti, quelle del 2015. Lo so, cinque anni sono tanti, ma se facessimo il confronto con le ultime elezioni generali (le europee del 2019) il dato sarebbe meno impietoso per il Pd, ma ben più disastroso per M5S. Dunque il senso generale per le forze di governo, prese nel loro insieme, non cambierebbe.
Vediamo adesso i numeri. Rispetto al 2015 il Pd ha perso il 2,6% sia in Puglia che in Campania (e fin qui ci può stare), il 4,2% in Veneto ed il 5,7% in Liguria (e qui comincia a farsi seria), il 10% nelle Marche e addirittura l’11,2% in Toscana. Certo, queste variazioni risentono pure delle diverse alleanze di volta in volta realizzate. Ad esempio, in Toscana il candidato presidente Giani ha ottenuto grosso modo gli stessi voti del suo predecessore Rossi cinque anni fa, dato che i consensi persi dal Pd sono stati recuperati dalle liste alleate. Va notato però come il calo del partito di Zingaretti sia generalizzato. Il che qualcosa vorrà dire. Ovviamente nel 2015 eravamo ancora in piena era renziana, anche se già quel voto fece intravedere un discreto appannamento dell’iniziale boom del Bomba fiorentino. Tradotto sul piano nazionale, il dato piddino di domenica scorsa ci parla di un risultato in linea con i recenti sondaggi. Un partito appena un po’ sopra il 20%, il cui “successo” brilla più che altro per le defaillance degli altri. Zingaretti può dunque tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, ma cantare vittoria è davvero un po’ troppo.
Passiamo ora ai Cinque Stelle, per i quali – viste le sistematiche debacle nel voto locale – il raffronto con il 2015 è ancor più obbligato. Per i pentastellati il tracollo è stato talmente omogeneo da non lasciare adito a dubbi (non che ce ne fossero…) sul loro disastroso trend. Un sostanziale dimezzamento dei voti che non ha bisogno di particolari commenti. Queste comunque le percentuali del loro calo: Campania -7,1%, Puglia -7,3%, Toscana -8,0%, Veneto -9,2%, Marche -10,3%, Liguria -14,5%.
Fin qui i dati. Ma se i numeri ci dicono molto, politicamente non sempre ci chiariscono tutto. Arriviamo così all’arcano del paradosso segnalato all’inizio. Al motivo per cui il Pd viene considerato il vincitore delle elezioni, ma soprattutto alle ragioni della mancata sconfitta di questo partito-sistema.
Perché il Pd canta vittoria
Quando temi una rovinosa sconfitta, il pareggio può sembrare una decisiva vittoria. Questa metafora calcistica non è priva di senso. Del resto, passando dal campo di calcio a quello di battaglia, se fermi l’offensiva avversaria avrai posto le condizioni della possibile controffensiva. Nel concreto dell’odierna politica italiana le cose sono certamente più complesse. Non basterà lo scampato pericolo delle urne per evitare di rompersi le ossa nella gestione di una crisi rovinosa e senza precedenti. Tuttavia, in una politica che naviga a vista, per il Pd le cose sono messe assai meglio oggi che una settimana fa.
Palesemente il governo si è messo al riparo di ogni pericolo, la destra avrà da leccarsi le ferite e da regolare qualche conto interno (presumibilmente anche dentro alla Lega) ed i Cinque Stelle saranno alleati ancor più servili di prima. In quanto a Leu ed alla immaginifica “Italia Viva” di Renzi, il “non pervenuto” delle urne non potrà che semplificare ulteriormente la gerarchia interna della maggioranza governativa.
Vi sembra poco? Visto quel che attende il Paese, il risultato di domenica potrebbe rivelarsi per Zingaretti la classica vittoria di Pirro. Ma intanto a Piddinia han preso tempo. Il che, nella situazione data, poco non è.
Perché è andata così
Chi scrive non è stato affatto sorpreso dal voto di domenica. Neppure da quello referendario, dato che non si cancella un potentissimo sentimento antiparlamentare, contraddittoriamente radicatosi nel Paese da almeno trent’anni, con una campagna elettorale breve ed asfittica, per giunta sul tema più facile per gli illusionisti della “lotta alla casta”. Avevo previsto un 70-30 e così è stato.
Quel che invece mi ha stupito, e non poco, è stata semmai l’elevata partecipazione al voto. Elevata, s’intende, non in generale ma in confronto alla tendenza degli ultimi vent’anni. Un dato, questo, da salutare positivamente.
Nessuna sorpresa nemmeno per l’esito delle regionali. Oltre a quanto già scritto sulla forza del potere e delle clientele – in certi casi (fortunatamente non sempre) è proprio vero che il potere logora… chi non ce l’ha – bisogna qui capire gli altri due fondamentali punti di forza che hanno salvato il Pd ed il governo Conte.
A mio modesto avviso, questi decisivi elementi corrispondono alla forza di due narrazioni dominanti: quella sull’Europa e quella sull’epidemia. Narrazioni la cui forza dipende dal semplice fatto che, tra coloro che hanno accesso ai media, nessuno le contesta.
La prima narrazione ci parla di un’Europa che – anche grazie al governo italiano, pensate un po’! – sarebbe diventata buona, non più promotrice di tagli ed austerità, bensì portatrice di doni. Noi sappiamo bene come tutto ciò sia falso, come il Recovery Fund altro non sia che un super-Mes mascherato. E sappiamo come quei fondi saranno soprattutto nuovi debiti da ripagare ad un’oligarchia eurista che, proprio in virtù di cotanta generosità, ci stringerà ancor meglio il cappio al collo.
Sì, noi lo sappiamo. E come noi lo sanno ormai milioni di cittadini. Che sono però una minoranza, anche perché chi potrebbe farlo con ben altri mezzi non contesta affatto la favola diffusa a reti unificate dai media. L’hanno forse contestata i candidati della Lega o di Fratelli d’Italia nella campagna elettorale delle settimane scorse? Assolutamente no. E, già che ci siamo, qualcuno saprebbe dirmi un argomento forte contro il Pd usato da costoro? Io, in mezzo a tanto chiacchericcio su ciò che non conta, di argomenti forti non ne ho sentiti. Del resto, i formidabili governatori della Lega nordista non solo vogliono i soldi del Recovery Fund (dunque del super-Mes), ma pure quelli del Mes ufficiale… Poi ti chiedi del perché il Pd non ha perso.
L’altra narrazione che ha dato i suoi frutti è quella sull’epidemia. Il governo Conte – certo non unico al mondo, questo va riconosciuto – ha fatto dell’emergenzialismo la carta vincente per restare in sella. Come strumento di governo la paura funziona alla perfezione. Andiamo verso un milione e mezzo di disoccupati in più? Che volete che sia rispetto al terribile virus!
Con un tasso di letalità ormai pari a quello di una normale influenza, oggi il Covid 19, anche secondo i (discutibili) dati ufficiali, provoca 10/15vittime al giorno. Sfortunatamente in Italia, ogni 24 ore, muoiono (dati Iss) 140 persone per infezioni ospedaliere. Ma pur essendo dieci volte di più questi ultimi non contano, mica fanno arricchire gli amici Mark Zuckerberg e Jeff Bezos! Mica sono utili a prorogare lo stato d’emergenza all’infinito!
Poche sere fa mi è capitato – cosa in realtà rarissima – di vedere un telegiornale (il Tg1). Inopinatamente, ad un certo punto è arrivata la domanda che non ti aspetti: e se avessero avuto ragione gli svedesi ad evitare ogni forma di confinamento? La risposta contenuta nel servizio da Stoccolma è stata interessante assai: la curva del contagio oggi darebbe effettivamente ragione al governo svedese, ma è troppo presto per arrivare a conclusioni definitive. Così ha detto l’inviato.
Troppo presto? Ma non sono stati proprio i media mainstream, nella scorsa primavera, a crocifiggere gli svedesi come popolo di delinquenti dediti al soddisfatto sterminio dei propri simili, specie se anziani e malati? Fra l’altro, provenendo dal mondo di Piddinia City, questa accusa è politicamente piuttosto bizzarra, dato che a Stoccolma non governano i criminali “populisti”, bensì una coalizione di centrosinistra composta da socialdemocratici e verdi.
Cito il caso svedese, perché esso ci mostra come la strada del lockdown duro (all’italiana) non fosse per niente obbligata. Così come non sarebbero oggi obbligate le scelte demenziali sulla scuola, sullo smart working, sulla chiusura degli uffici, sul distanziamento asociale in genere. Ma anche in questo caso, come sull’Europa, chi avrebbe la possibilità di farlo con una certa efficacia si guarda bene dal contestare il racconto ufficiale, quello secondo cui il governo italiano è stato (ed è) il più bravo al mondo nel contrastare l’epidemia. Tesi piuttosto ardita in un Paese che è al sesto posto per numero di vittime, pur essendo solo al ventesimo come numero di casi. Ma tant’è.
Ora, data la potenza di fuoco del terrorismo virale, alcuni nostri amici ritengono che contestare questa narrazione sia se non sbagliato, comunque inutile. Penso che a sbagliare – e alla grande – siano invece loro. Visto che il fattore P (paura) è un così buon alleato per il governo e per gli interessi dei potenti, perché costoro dovrebbero rinunciarci a cuor leggero? Crediamo forse alla loro buona fede? Suvvia, non scherziamo.
Conclusione
Giunti a questo punto la conclusione è semplice assai. Se si capisce il motivo per cui il Pd non ha perso, non sarà difficile comprendere quali siano le armi da usare contro il governo dei servi di Bruxelles e Berlino.
Al tempo stesso, se si comprende la sostanziale intercambiabilità politica tra i due poli di centrodestra e di centrosinistra che tendono a ricostituirsi – con M5S sempre più interno a quest’ultimo – non sarà difficile capire l’assoluta urgenza della costruzione di un Terzo Polo, che per essere credibile non potrà che proporsi come polo dell’Italexit.
E’ in questo quadro che le due narrazioni su Europa ed epidemia vanno contestate e, se possibile, vinte. Chi scrive è convinto che esse verranno comunque smentite dai fatti, ma i fatti richiedono tempo e noi troppo tempo per salvare il Paese dalla catastrofe non lo abbiamo.
La lotta sarà dura, ma non impossibile. La Marcia della Liberazione del 10 ottobre ci darà delle prime, preziosissime, indicazioni. Tutti a Roma quel giorno, per battere un colpo prima che sia troppo tardi. Per batterlo sapendo che sarà solo il primo.
*Leonardo Mazzei è membro del cpt di Lucca
Grande Mazzei. Disamina perfetta della situazione attuale. Il 10 ottobre a Roma non mancheremo.