Sull’aberrazione della Didattica a distanza (DAD) sono state scritte molte cose. Quasi tutti riconoscono ormai la sua insostenibilità. Sta di fatto però, che per milioni di studenti – soprattutto delle superiori ed universitari – questa è ancora oggi la realtà quotidiana. Una situazione inaccettabile, che qualcuno vorrebbe peggiorare ulteriormente con nuove “zone rosse” o nuovi lockdown generalizzati.
Sulla DAD pubblichiamo oggi queste riflessioni di una ex insegnante, Floriana Balducci del Cpt di Lucca.
In questi strani tempi sospesi di quarantene alternate e Italia a colori causa pandemia c’è un tema che mi sta molto a cuore come ex docente, ammesso che una docente sia mai definibile come ex; l’uso o l’abuso della didattica a distanza, la cosiddetta DAD, che in questo anno di emergenza Covid si è resa necessaria.
Tralascio di dire che per chi scrive non è stata proprio sempre necessaria; le è apparsa piuttosto specie negli ultimi mesi, da novembre a gennaio, come una soluzione veloce a vecchi mali di cui la scuola italiana soffre da tempo. Come è il caso di locali, intesi come aule e corridoi, non sempre adeguati, ubicazioni infelici degli istituti scolastici, anche nuovi. Per non parlare dei mezzi di trasporto destinati agli studenti pendolari, la maggioranza, in pullman che non possono essere considerati idonei quasi mai, figuriamoci in tempi di contagio. Sedili ravvicinati, finestrini bloccati, corridoi stretti e..posti in piedi. Idem dicasi per i treni, almeno la maggioranza di essi. Inutile affidarsi a mascherine, finestrini aperti, ammesso che ce ne siano di apribili..
La didattica a distanza impostasi con la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado il 9 marzo è apparsa ai più come una necessità logica e indiscutibile. Ripeto, forse ciò può essere stato comprensibile e giustificato per la quarantena della primavera scorsa, quando il contagio prese tutti alla sprovvista. Tralascio anche qui di sottolineare che “essere presi alla sprovvista” è espressione assai grave da usare sempre se si parla di una pandemia del e nel XXI secolo. Abbiamo un ministero della sanità, abbiamo possibilità di dati sanitari mondiali da confrontare in tempo reale e sapevamo da tempo che in Cina da mesi esisteva un virus letale che mieteva vittime… Inutile soffermarsi su ciò. Ormai è storicamente assodata la colpevole mancanza di un piano di prevenzione di pandemia, dato che quello italiano era stato aggiornato l’ultima volta nel 2006…
Nel panico della situazione che deve ancora essere ri-letta con occhio critico e non solo di critica dettata dalla solita convenienza politica di questo o quel partito, la scuola è sembrata un problema di serie B, come del resto è sempre sembrata ai vari governi che si sono succeduti. In soldoni, si è detto: i ragazzi si muovono, si frequentano, se ne vanno per locali, sono inaffidabili. E poi vanno a scuola tutti … e allora perché non cominciare da loro e da lì? Sempre secondo la sottoscritta, che ha insegnato per quasi 4 decenni e sa come ben poco lo Stato stimi i suoi stessi dipendenti, almeno quelli del MIUR, si è anche cinicamente pensato che molti docenti sarebbero stati contenti di “stare a casa”. Allora scuola stop. Stop per tre mesi, fino a chiusura e relativa affannosa ricerca di soluzioni più o meno fantasiose per permettere lo svolgimento degli esami di terza media, e di stato.
Intanto chiariamo che l’assunto che i giovani siano inaffidabili, una marea di deficienti che va in giro a contagiare e a contagiarsi, è stata assai ridimensionata, per non dire clamorosamente smentita, dal loro comportamento in quei 70 giorni di forzata chiusura. A meno che non si creda come vangelo alle solite immagini passate e ripassate in tv di quattro cretini a zonzo nella zona della movida delle grandi città. Di sciocchi il nostro paese, come gli altri del pianeta terra, è pieno; e di sciocchi di ogni età. L’Italia è ricca di paesi, paesini, borghi più o meno ridenti, poche le metropoli; e di ragazzi a zonzo ce ne sono stati il giusto. Tra l’atro dove è finita l’indulgenza paternalistica verso i ragazzi che “devono” divertirsi e distrarsi prima degli impegni gravosi della vita adulta che filtra da tanti spot pubblicitari e anche dalle parole di tanti educatori e di altrettanti genitori? Domande che attendono una risposta…
Intanto a scuola didattica a distanza. Di cui si parlava nei corsi di aggiornamento per docenti soprattutto e si applicava in genere per particolari situazioni in genere individuali, come ragazzi costretti a casa o in presenza di disabilità. A marzo è stata la soluzione ad hoc. Frutto della solita ineffabile creatività italica nell’inventare soluzioni geniali a problemi grandi e piccoli. Facile: il professore si mette al suo computer, l’allievo al suo e si può svolgere tranquillamente la lezione, magari sostenere anche un compito, un’interrogazione.. Si può simulare la realtà-classe. Tutto semplice, veloce e a distanza di sicurezza. Troppo semplice e veloce, come si è potuto constatare.. ma lì per lì la maggioranza del popolo ha approvato o per una volta non criticato immediatamente la scelta.
Paura, chiusura, ospedali strapieni, ambulanze a sirene spiegate e morti, tanti. Chi se ne importa della scuola? Meglio un asino vivo che un dottore morto. L’amore italico del proverbio. Saggezza antica. E così l’anno scolastico 2019-2020 è stato l’anno della DAD, dell’esame di terza media via computer, amputato ovviamente di tutte le prove scritte, e l’esame di stato della scuola secondaria è andato in onda in formato ridotto: solo prova orale, solo docenti interni, il solo presidente di commissione esterno. Presidente di commissione difficilissimo da reperire, nomine del medesimo fatte a fatica, con molti presidenti nominati all’ultimo minuto. Presidi in pensione, docenti in pensione, docenti di scuole di altro ordine con poca o nessuna esperienza di esami di stato frastornati da circolari, contrordini con altre circolari, chiarimenti, fraintendimenti on line… Spettacolo consueto dei fine anno scolastico? Non a questi livelli però… E’ andata anche quella… Pochissimi i non ammessi, come i non diplomati.
Fermiamo il film a luglio..
La DAD non mi ha mai convinto. Ma, sebbene chi crede di conoscermi stenti a crederlo, sono una che riflette molto sulle posizioni e decisioni che assume e non sposo mai alcuna tesi se non dopo averla meditata e soppesata attentamente. Mi sono detta da sola, e molte volte, quello che colleghi e colleghe più giovani mi obiettavano quando dicevo che le lezioni al e col computer mi convincevano poco e infatti ci ricorrevo pochissimo, nonostante le continue spinte ad una didattica moderna e rivoluzionaria… e cioè che era una posizione dettata dalla mia non verde età, dal mio passato remoto di allieva di una scuola prescrittiva e basata più che altro sulle lezioni ex cathedra. Metodo che naturalmente avevo introiettato, ancor di più per essere docente di materie letterarie e di storia; anche se ricorrevo quando potevo alle lezioni partecipate, basate sul dialogo con gli studenti.
Vero, l’anagrafe pure nell’insegnamento conta, ma non spiega tutta la mia diffidenza al mezzo che cambia il mondo, il p.c., diffidenza estesasi all’uso del tablet in classe sostitutivo del libro di testo e del quaderno che in certe scuole elementari e medie è, o forse era, così entusiasticamente sostenuto.
Pochi giorni fa però un fatto apparentemente non connesso al tema DAD mi ha non solo chiarito perché io personalmente non ami la DAD, ma anche rafforzato nella mia idea e spiegato in modo preciso la mia diffidenza.
Sto studiando un testo di filosofia sulle dottrine non scritte di Platone. Capisco che non tutti sono tenuti e tantomeno interessati a sapere che Platone ha elaborato le sue idee filosofiche, che nutrono da millenni il pensiero occidentale, non solo con i dialoghi scritti ma anche con quelli che la tradizione antica ha definito gli “Agrafa Dògmata”, l’insegnamento non scritto. Sappiamo anche che di Aristotele esistono gli scritti essoterici e quelli acroamatici o esoterici. I primi destinati al grande pubblico, i secondi riservati ai discepoli delle sue lezioni… Embe’?
I due filosofi base della filosofia occidentale non scrivevano soltanto, anzi. Probabilmente ritenevano, come sicuramente sappiamo per Socrate, che l’insegnamento vero, quello che conta, che vale di più, si realizzasse attraverso il contatto stretto, direi quasi fisico, tra maestro ed allievo, docente e discente. D’altronde la parola chiave del metodo filosofico antico, Dialettica, rimanda etimologicamente all’atto del parlare, del dialogare tra due o più persone. E’ nello scambio in un preciso spazio-tempo tra due pensatori, che si realizza l’atto dell’educare della Maieutica socratica … Domande, dubbi, richieste, risposte, tesi, antitesi, argomenti… illuminazione e di nuovo buio, tutto nasce in un momento che non si può fissare con la parola scritta, la quale inevitabilmente ingessa in un non- tempo una posizione, un’idea… piuttosto la priva della vita. Le parole in una discussione sono veicolate non solo dalla bocca, ma dal tono della voce, come pure dallo sguardo, il gesto, l’espressione facciale, il movimento dei corpi; tutto il corpo “parla”… e parla ad un interlocutore preciso, che sa come leggere il tutto e che converge con tutta la sua attenzione alla plurilettura, non so come definirla altrimenti, del dialogo.
Sappiamo che nelle scuole filosofiche antiche presocratiche, il rapporto tra maestro e allievo era esclusivo: non tutti potevano essere ammessi alle lezioni del maestro, che sceglieva i suoi allievi. Erano scuole di tipo quasi religioso dove si esponevano verità che non tutti erano in grado di conoscere. Misteri, da condividere solo con i migliori, i prescelti. Forse, anzi quasi sicuramente, ciò accadeva anche nell’Accademia platonica.
Ora, lungi da me l’idea che la scuola moderna e contemporanea sia da riservare a pochi prescelti del e dal maestro. Sicuramente però condivido l’idea di una educazione in cui resti centrale e non sostituibile il rapporto fisico tra allievo e maestro. E in una classe spazio reale che nasce cambia e si trasforma in un tempo reale e vive di una vita sua con ritmi suoi e regole sue. L’entrata, la campanella d’ingresso, quella di uscita l’intervallo; non sono solo riti, sono i segni di una realtà diversa da quella di altre realtà quotidiane lavorative. E nella classe il rapporto tra allievi e professori ha sue logiche che appartengono solo a loro, che da loro devono essere accettate e realizzate e condivise. Che solo a loro spetta di discutere.
La classe virtuale è appunto solo virtuale; appare quella che è, una simulazione che non può sostituire la ricchezza di quella reale; chiacchiere di sottofondo, richiami, mormorii, che non sono solo “rumori”. Per chi vive nella classe sono ben altro; il segno di un condividere qualcosa di esclusivo e misterioso per altri. Poi il momento della lezione, del dialogo, della spiegazione… dove c’è chi afferra i concetti dallo sguardo, dal tono delle voci, chi ha l’attenzione catturata da un singolo segno tracciato sulla lavagna, chi chiede e interrompe e magari permette con la sua interruzione casuale a domande e dubbi di farsi strada in altri allievi… La ricchezza dello scambio dell’apprendimento è infinita e si realizza per vie infinite e indefinibili.
L’apprendimento non è atto realizzabile appieno neppure nella lettura o ri-lettura di un testo scritto. Come docente so bene che l’atto del leggere in classe ai e con i ragazzi è faticoso, dispersivo, poco coinvolgente e spesso condanna ad una comprensione faticosa i più deboli nella disciplina. Non cattura l’attenzione. Leggere il libro di storia, cosa che purtroppo ancora avviene ed è gravissimo che avvenga anche nelle scuole superiori è inutile, oltreché un insulto alla disciplina che invece vuole passione nella narrazione, nella spiegazione per la quale si possono oggi usare molti strumenti come il video, il testo, intesi solo strumenti in mano agli attori dell’apprendere, creando le condizioni per domande, richieste approfondimenti. Pensate alla fatica di far capire un teorema geometrico solo attraverso quanto scritto nel manuale di geometria. Il professore tracciando disegni, lettere e formule alla lavagna fa intuire e vedere i passaggi, arricchendo con parole, richieste, sollecitazioni quanto spiega. Risponde a domande, suscita quesiti. Dialoga.
Questo vale per la lezione tradizionale, NON accade con la DAD, quando il docente appare in uno schermo, lontano, distante, sfocato; quanto spiega arriva ad un allievo che si trova nella sua camera o in altro suo spazio studio di casa. In pigiama, in tuta, con i rumori della casa che entrano, distraggono, riportano continuamente ad una realtà terribilmente lontana dall’aula scolastica, che anzi confligge con essa. E i compagni? Altrettanto lontani, senza la possibilità di interagire tra loro, di spronare, di suggerire, di ridacchiare degli sfondoni.. di essere compagni di classe, in una parola. So dai colleghi che altrettanto dura è il lavoro da parte del docente nel suo studio… L’atto dell’educare, del “tirare fuori” dagli allievi conoscenze e intuizioni non si può simulare. Non è come dare le istruzioni per montare un apparecchio o un mobile. Educare tratta di incontri di idee, di teste… diventa mortificante ridurre la ricchezza del docere all’insegnare, che etimologicamente vale come “ficcare dentro”, “batti e ribatti”. A parte il fatto evidente che non serve. Ragazzi e professori lamentano che le “cose” apprese in DAD sono facilmente dimenticate, non restano se non in superficie. Nozioni. Quelle che sono utili e poi si scordano … Valgono il tempo di un test, di un esercizio. No, la scuola deve e può essere e dare e avere altro.
Molti studenti in questo inizio anno manifestano per il ritorno a scuola, quella vera, fatta di muri, aule, cattedre, banchini con o senza rotelle, professori in carne ed ossa, più o meno bravi, severi, competenti ecc.. sanno bene cosa rischiano, sanno come questo contagio non sia finito… hanno paura, non sono idioti e neppure irresponsabili. Per una volta proviamo a pensare, anzi provate voi, perché io lo penso da sempre, che i ragazzi per primi ritengono la scuola importante, bella, luogo di apprendimento. Unico ed irripetibile. Dove si impara e si condivide, ci si forma come persone. I ragazzi lo sanno; andare a scuola è bello, è un dovere ed anche un loro diritto. Inalienabile. Fanno bene a difenderlo aiutiamoli a difenderlo.