Mentre l’agenda politica e l’incalzante attualità rimuovono continuamente i temi importanti e decisivi, che si sovrappongono gli uni agli altri, lasciando disorientati anche i più attenti lettori di cronaca, e non solo, una notizia ci sembra degna di considerazione: la decisione alcuni giorni fa (4 luglio) del Comitato per i LEP [Livelli Essenziali delle Prestazioni] di dimettersi.
Le argomentazioni dietro questo gesto significativo sono ben note a chi segue l’iter della complessa vicenda. Le richieste di autonomia regionale differenziata, così come presentate da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, se accolte anche in parte, sono in grado di peggiorare significativamente la già precaria e difficile realtà del nostro Paese. I motivi sono quelli che gli osservatori e i critici di tale riforma, voluta dalla Lega, ribadiscono con forza da anni. Il primo è che si creerebbero regioni con poteri statuali a discapito del Governo centrale, il secondo perché tale statuto rimarcherebbe la differenza tra aree forti e aree economicamente più deboli, privando cittadini e realtà economiche di queste ultime di beni e servizi essenziali per la stessa tenuta civile, il terzo che si avrebbe un indebolimento dello stesso potere legislativo avocato alle commissioni regionali, realizzando una secessione di fatto ( e di diritto).
Tale l’opinione persino della Commissione Europea, cui si è aggiunta quella dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio e infine della Banca d’Italia.
Il primo ad esprimere profondi dubbi è stato il Professor Cassese, Presidente del Comitato LEP. A lui si sono aggiunti altri due ex Presidenti della Corte costituzionale, Amato e Gallo. Il Comitato, definito dal proponente del progetto di a.d., Calderoli, “una mini Costituente”, aveva, com’è noto, il compito, spettante in realtà al Parlamento, di definire i livelli “irrinunciabili” di prestazioni cui si connettono concretamente i diritti civili e sociali per evitare evidenti e macroscopiche sperequazioni. Inequivocabile il giudizio dei dimissionari (bontà loro) che definiscono l’attuale progetto attuativo al di fuori dei “binari definiti dalla Costituzione”. Giudizio forse tardivo ma esatto, non essendo un mistero per nessuno che l’intenzione della bozza Calderoli, neppure dissimulata, è quella di spaccare il Paese ed attuare la “secessione dei ricchi”.
L’imbarazzo e le divisioni interne del Partito democratico a riguardo si spiegano non solo con la dialettica interna di quel partito e la posizione autonoma del Governatore della Campania De Luca contro la Segretaria Schleyn, ma col fatto che l’autonomia differenziata è del tutto in linea con il processo di regionalizzazione dell’Europa perseguito dall’UE e che vede come al solito nell’Italia il suo laboratorio di sperimentazione avanzata.
Nè stupisce (se non qualche ingenuo digiuno di politica) il fatto che un progetto che costituirebbe “un formidabile colpo di piccone contro ciò che ancora sopravvive del nostro Stato e dell’unità della nazione” (Ernesto Galli della Loggia) sia avallato dal partito al governo che fin dal nome (ma evidentemente solo in quello) si rifà all’unità e alla “fratellanza” degli Italiani. Esito inevitabile per chi ha cavalcato a spron battuto la retorica europeista degli ultimi 20 anni, che sono stati quelli del declino italiano all’insegna della moneta unica, dell’impoverimento progressivo del Paese, della frattura sempre più profonda e dolorosa tra Nord e Sud.
Il nostro impegno politico dev’essere quello, a partire dai territori, che non siano gli “unitaristi” dell’ultim’ora a tenere la testa del corteo.
* Fronte del Dissenso Campania