«Il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo è l’antifascismo»
[Amedeo Bordiga]
Al culmine di una breve controversia interna, alcuni attivisti hanno deciso di abbandonare il Fronte del Dissenso. Di seguito il documento con cui il Direttivo Nazionale espone le vere cause del dissidio e le ragioni che hanno reso la separazione un atto necessario di buon senso.
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Tre sono le condizioni che debbono essere soddisfatte per poter convivere in armonia nella medesima comunità politica: condivisione piena del programma e degli scopi, osservanza delle regole interne, massima lealtà e rispetto verso i compagni di partito. Quando queste condizioni vengono a mancare — divergenza sugli scopi, violazione delle regole, disprezzo fino alla diffamazione dei propri compagni anche all’esterno dell’organizzazione —, ogni coesistenza è impossibile e, la separazione, un atto inevitabile.
Nemmeno due mesi e mezzo fa, a coronamento di una fase di crescita e consolidamento, il Fronte del Dissenso ha celebrato la sua Assemblea nazionale Costituente, conclusasi con l’approvazione di un Manifesto che a premessa afferma:
«Oggi l’umanità, alle prese con un passaggio inedito, deve sciogliere il dilemma: accettare o impedire che venga alla luce la creatura che il sistema del capitalismo globalizzato porta in grembo. Al mostro in gestazione abbiamo dato un nome: Cybercapitalismo.
(…)
Chi non prende atto delle incalcolabili conseguenze dei mutamenti in corso, chi non riesce a individuare il nuovo nemico e l’ideologia di cui si serve, chi resta prigioniero del passato, è condannato all’irrilevanza politica. Non c’è possibilità di battere il nuovo nemico accettando i suoi paradigmi, dobbiamo invece opporre un’alternativa visione dell’uomo e del mondo. La ricaviamo attingendo all’immenso deposito spirituale di idee, cultura e di esperienze delle differenti civiltà da cui raccogliamo gli ideali universali di libertà, fratellanza ed eguaglianza sociale. Rivendicare le migliori tradizioni della nostra civiltà non significa tuttavia disconoscerne le responsabilità e i nefasti sviluppi. Per questo condanniamo il colonialismo, l’imperialismo e il razzismo in ogni loro forma.
(…)
Siamo rivoluzionari consapevoli che per poter cambiare il mondo occorre prima di tutto conservare tutto quanto in esso c’è di vitale, di sano, di imprescindibile. Non siamo tuttavia reazionari: il rispetto delle tradizioni non giustifica nessuna nostalgia oscurantista. Difendiamo le conquiste sociali strappate dai lavoratori nel corso della storia. Difendiamo i diritti di libertà ottenuti dalle rivolte giovanili e dei movimenti delle donne degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, diritti che l’élite oligarchica ha cannibalizzato strumentalmente per far passare la sua concezione aberrante di progresso».
Questo Manifesto, che in maniera inequivocabile traccia la nostra direzione di marcia e disegna la nostra identità politica, ha incontrato alcune resistenze interne. Protagonisti di queste resistenze proprio coloro che hanno abbandonato il Fronte. Di che tipo di opposizione si trattava? Di eredi, pur a vario titolo, della tradizione ideologica della sinistra comunista novecentesca. Per costoro non saremmo in presenza di alcun salto di specie del sistema capitalistico, i cui mutamenti sarebbero invece solo di facciata; l’élite dominante è una classe reazionaria, anzi intimamente fascista; di qui la difesa integrale dell’eredità del comunismo novecentesco, ivi comprese le sue nefandezze. Posizioni molto distanti da quelle espresse nel Manifesto.
La speranza che si potesse convivere con questa tendenza si è rivelata vana. Quella che poteva essere una ricchezza per la stessa crescita teorica dell’organizzazione si è purtroppo rivelata un fardello. La resistenza è diventata una vera e propria opposizione con lo scopo recondito di trasformare il Fronte in un ennesimo e inutile gruppo di estrema sinistra.
Tra i diversi modi coi quali questa tendenza poteva venire allo scoperto i fuoriusciti hanno scelto il demagogico camuffamento dell’antifascismo. Ci è stato infatti chiesto di assumere la “discriminante dell’antifascismo democratico e costituzionale” come costitutiva e suprema cifra della nostra identità politica.
Abbiamo respinto con fermezza questa pretesa perché sbagliata sul piano teorico e pratico, in aperto contrasto con lo spirito e la lettera del Manifesto. Sul piano teorico perché l’identità politica dipende dalla visione del mondo e non da una mera dichiarazione oppositiva ad una delle tante forme in cui si manifesta il dominio capitalistico — sotto le insegne dell’antifascismo stanno infatti le più disparate correnti ideali e politiche. E’ così significativo che i fuoriusciti abbiano aggiunto al sostantivo “antifascismo” gli aggettivi “democratico e costituzionale”, segno inequivocabile di subalternità a quello di marca liberal-borghese.
Se “anti” è prefisso che sta per opposizione noi siamo al contempo antimonarchici, antiliberisti, antimperialisti, antiatlantisti, antieuropeisti, antioligarchici. Posto che siamo anzitutto anticapitalisti l’elenco delle “discriminanti” potrebbe astrattamente, ma sterilmente continuare. No quindi ad una concezione oleografica del concetto di “discriminante”, che è invece criterio politico concreto: a seconda del momento storico e politico, del contesto sociale e nazionale, può prevalere questa o quella “discriminante” o possono darsene di nuove.
E’ forse il fascismo reazionario che abbiamo alle porte? Per niente, avanza al contrario, sotto le insegne di un nichilismo materialistico, il Cybercapitalismo, un mostro che si presenta come demiurgo del progresso tecnocratico senza freni, come paladino libertario dei “diritti umani”, come custode di un cosmopolitismo antinazionale, antistatalista e antifascista. Se è sommamente sbagliato scambiare il Cybercapitalismo per una reincarnazione del fascismo, è del tutto sterile invocare l’antifascismo in assenza di fascismo.
Un’etichetta, quella dell’antifascismo, non solo improduttiva ma disfunzionale alla nostra causa poiché invece di aiutare i cittadini a comprendere la nostra differenza con i soggetti politici al servizio del nemico principale, ci fa apparire come collaterali o peggio satelliti. Mentre occorre delimitare le zone semantiche di promiscuità col nemico; mentre si debbono usare concetti, parole e linguaggi per tracciare la linea che ci separa dal nemico; bisogna evitare di appiccicarsi addosso etichette che invece di fare chiarezza aumentano la confusione, la quale aiuta sempre i dominanti mentre disarma le classi subalterne. E’ un fatto che l’élite mondialista e i suoi ideologi squalificano tutti i loro avversari come “fascisti”: lo sarebbero Trump e Putin, Erdogan e Netanyahu, Le Pen e Afd. La Cina sarebbe un paese fascista come l’Iran e tutti gli “stati canaglia”. Una categoria politica è diventata così un marchio d’infamia e un superficiale sinonimo di regime autoritario e violento.
Ogni sforzo per mantenere la discussione politica e teorica su un piano di confronto dialettico razionale è stato vano. “Il mio animo è antifascista, io sono antifascista, è un sentire da cui non posso prescindere”. Si capisce, da questa affermazione di uno dei fuoriusciti, che per essi l’antifascismo è un religioso atto di fede: al posto del male ontologico il fascismo metafisico e imperituro.
Se c’era una residua possibilità di convivenza essa è stata minata alle fondamenta quando i fuoriusciti sono giunti a bollare alcuni nuovi militanti che erano appartenuti a movimenti di “destra sociale”, come “infiltrati fascisti”. Invece di ritrattare questa grave calunnia essi hanno accusato la direzione di “trasformare il Fronte in un movimento di destra” e di aver imboccato una “deriva reazionaria”. Non abbiamo solo considerato un dovere di lealtà difendere i militanti ingiustamente accusati, abbiamo rivendicato come un punto di forza del Fronte del Dissenso la capacità di accogliere cittadini di diversa origine politica e di accettarli come fratelli e sorelle, posto l’accordo sui principi e il non aver commesso crimini politici.
Si doveva difendere il Fronte del Dissenso come un’organizzazione politica, si doveva impedire ai morti di allungare le mani sui vivi, si doveva evitare che diventassimo una setta religiosa di sinistrati psicotici terrorizzati dall’idea di venir “contaminati”.
Si dice che le separazioni siano sempre dolorose ma spesso necessarie. Non sempre è vero che “l’epurazione rafforza l’organizzazione”.
Questa volta lo è.
Il Direttivo Nazionale del Fronte del Dissenso
11 luglio 2023
Avanti senza indugio!!!
Mi dispiace per chi non ha capito la direzione del fronte speriamo possano ricredersi