Di fronte ad una caduta del PIL stimata intorno ai 70 miliardi al mese a seguito del blocco delle attività economiche, l’Eurogruppo ha partorito un programma che è un’offesa all’intelligenza: 100 miliardi di sostegno alla disoccupazione attraverso il SURE (una sorta di cassa integrazione guadagni europea), 200 miliardi dalla Banca Europea degli Investimenti, una cifra ancora da precisare dal MES a condizionalità ridotte, sulla cui attivabilità ancora si accapigliano i nostri governanti e, infine, un recovery fund che dovrebbe nascere dalla sottoscrizione volontaria di tutti i paese membri e sul quale per ora convergono solo Italia e Francia. Si tratta di poche centinaia di miliardi da dividere tra i 27 stati.
Per dirla più chiaramente: dopo anni in cui una schiera di intellettuali eretici hanno ventilato l’opportunità di pensare ad un piano B d’uscita dall’Unione, oggi constatiamo con sgomento che manca il piano A.
Mentre in Italia il dibattito si è attestato su uno solo dei punti licenziati dall’Eurogruppo (che, ricordiamolo, non ha potere di firma ma svolge una funzione preparatoria rispetto agli impegni su cui dovranno convergere le volontà dei capi di stato e di governo in seno al Consiglio europeo), coincidente col placet accordato dai falchi nord europei ad un utilizzo del Mes senza condizionalità per le spese sanitarie, ci troviamo senza risposte su come reperire la liquidità necessaria alla ricostruzione del dopo Covid.
L’Europa rimane ciò che è stata fin dall’inizio: un’istituzione senza prestatore di ultima istanza, tutta tesa al controllo dei conti e della stabilità finanziaria, incapace di incarnare quel ruolo pubblico di guida verso la piena occupazione, la redistribuzione del reddito, la creazione di garanzie comuni e solidaristiche per i propri popoli, che prima, seppur con molte necessità di correttivi, era rivestito dagli stati nazionali.
Questo quadro desolante ha dato la stura a manipoli di economisti e tecnocrati, che si accapigliano sulla misura tecnica risolutiva, dai certificati di credito fiscale, alla stato-stato nota, all’helicopter money, al reddito esteso di cittadinanza, alla circolazione domestica dei titoli di debito, tralasciando l’unica domanda fondamentale: chi dovrebbe applicare queste misure?
Questi signori vorrebbero forse suggerire un percorso alternativo a parvenu della politica, che per anni hanno dimostrato di non saper distinguere l’interesse nazionale da quello del proprio condominio, che si sono lasciati incantare dall’idea dello stato snello, dalla dissoluzione dei riferimenti all’utilità sociale dell’azione economica, che si sono resi complici più o meno consapevolmente della svendita del patrimonio pubblico, non sapendo o non volendo immaginare nulla di più che la gestione del proprio paese alla stregua della bottega di un rigattiere.
Vorrebbero rimanere dietro le quinte, come redivivi Mazzarino, senza assumersi la responsabilità pubblica delle scelte politiche.
E in questo clima distopico, si assiste ad una gara mediatica tutta giocata, ovunque si delinei un palcoscenico reale o virtuale, sull’accaparramento dei like, il computo delle visualizzazioni, la pubblicazione di pamphlet dai contenuti messianici, l’arringa alle folle dei topi da tastiera che confondono la riconquista della democrazia con la quantità di post pubblicati su facebook. Tutto secondo il copione di Guy Debord.
In questa corsa alla messa a punto del programma più smart, si dimentica che ormai da decenni la politica funziona alla stregua di quello che gli economisti chiamano il mercato dei bidoni, facendo riferimento a meccanismi di selezione che escludono sistematicamente la merce migliore. Cioè in politica hanno rivestito posizioni apicali sempre più persone che non avevano competenze spendibili in occupazioni alternative o che avevano l’urgenza di curare in primis i propri interessi.
Quindi, l’appello ai nostri intellettuali è quello di cominciare ad immaginare per sé un ruolo diverso dal consigliere di corte o dal pubblico banditore, proponendosi direttamente ai ruoli istituzionali che consentano loro di mettere in pratica le teorie propugnate. Solo così contribuiranno a far uscire le idee dal circo mediatico, facendo riguadagnare alla politica la dignità che le spetta.
L’invito energico che rivolgiamo loro è quello a scegliere la via maestra per la gestione della cosa pubblica, che passa attraverso la militanza politica e la candidatura alle elezioni. Di imbonitori, consiglieri, garanti super partes ed extra parlamentari, filosofi, councelor, esperti di marketing, monetaristi e keynesiani della domenica abbiamo francamente le tasche piene.
*Luca Dinelli è membro del Comitato Popolare Territoriale di Lucca
Bravo Luca, speriamo che il tuo appello venga raccolto da persone coraggiose di peso e di spessore..