E’ questa l’informazione che davvero vogliamo? Ogni giorno, siamo presi da un estenuante lavoro di analisi e di indagine, di verifica e di accertamento, per evitare di cadere nelle trappole tese dagli organi di informazione. Pochi giorni fa, il 28 aprile, abbiamo pubblicato una nota redazionale tesa a smentire, dati alla mano, la notizia fatta circolare impunemente da Repubblica, Corriere della Sera e Messaggero, che affermava essere in atto una ripresa del contagio da Covid-19 in Germania.
Niente di più falso.
Ed infatti, a stretto giro di posta, sono seguiti distinguo, smentite, imbarazzate scuse, da parte dei quotidiani sopra citati.
E’ soltanto un esempio come tanti. Lo stesso Giuseppe Conte ha rincarato la dose, paventando 151.000 persone in terapia intensiva, in caso di riapertura prematura, cifre che presupporrebbero milioni e milioni di contagiati, e lasciamo all’intelligenza dei nostri lettori commentare la veridicità di tali ipotesi.
Ora, ci chiediamo come possa formarsi un dibattito democratico libero e consapevole, quando le fonti alle quali tutti noi ci abbeveriamo sono così palesemente, e spudoratamente, inquinate.
Nella vicenda del CoronaVirus, gli organi di informazione del nostro paese hanno giocato un ruolo tutt’altro che secondario, contribuendo ad appesantire una situazione già non proprio idilliaca. Sospettiamo che l’informazione urlata ed ansiogena abbia dato un forte contributo, verso la sciagurata decisione del cosiddetto lockdown, una chiusura generalizzata delle nostre attività produttive, e la detenzione casalinga per le persone fisiche, eseguite peraltro senza criterio, senza razionalità, con intento meramente punitivo. Col passare delle settimane, il governo e in generale la classe politica nostrana non sono riusciti ad affrancarsi dalla presenza ingombrante e malsana di questo giornalismo che si è dimostrato il vero braccio armato della repressione.
Vale la pena citare due episodi, altamente significativi.
Alla fine del mese di marzo, diverse associazioni di cittadinanza attiva, specie quelle formate da genitori, avevano spedito lettere aperte e petizioni al governo, affinché prendesse in considerazione l’attuazione di misure meno stringenti, e permettesse quindi ai minori di uscire di casa, almeno per una breve passeggiata. E’ palese, che la forzata chiusura entro la mura di casa, è stata la causa di un mutamento dell’umore nei più piccoli, fenomeni di irrequietezza, apatia, tristezza, sono stati ravvisati in molte famiglie italiane. Si era venuta a creare una situazione paradossale, nella quale il cagnolino poteva uscire dal condominio, ma non i bambini, per di più guardati a vista dai malevoli e occhiuti vicini di casa, pronti a urlare male parole a chi avesse osato mettere il naso fuori di casa. Almeno in questo singolo caso, bontà sua, il governo Conte si decise ad agire, ed il Viminale emise in data 31 marzo, una circolare per permettere a bambini ed adolescenti di compiere la tanto agognata passeggiata, purché accompagnati da un genitore e per un tempo massimo di un’ora. Lieto fine, dunque?
Nemmeno per sogno. Alle conferenze stampa delle 18:00 della Protezione Civile, come anche negli editoriali sui quotidiani, fu tutto un fioccare di acide critiche: il governo pecca di irresponsabilità, si dà l’impressione alla popolazione italiana che l’emergenza sia terminata, si lascia campo libero a chi vuole far festa in mezzo alla pubblica via, il contagio riprenderà a crescere, e così via.
Ora: un giornalista di qualsiasi testata non poteva non essere a conoscenza dei motivi che avevano ispirato la circolare del Viminale, la quale intendeva venire incontro a specifiche, ben motivate e circostanziate richieste provenienti da settori della popolazione preoccupati per la salute e il benessere dei propri figli, e che non includevano alcoolizzati seriali, o spensierati universitari da Erasmus spagnolo, nostalgici della movida notturna.
Insomma, i professionisti dell’informazione si trovavano, non certo per la prima volta, in netta malafede. Stizziti, impermaliti per il possibile venire meno di quell’angosciosa atmosfera di paura simile a collosa nebbia che si attacca ai vestiti, avevano levato gli scudi, pronti ad osteggiare una norma di buon senso pur di vendere qualche copia di giornale in più.
Pochi giorni più tardi, vi fu addirittura un caso diplomatico, che in altri tempi, e con altri interlocutori d’oltre cortina meno pazienti e avveduti, avrebbe fornito probabilmente un epilogo più burrascoso.
Come ricordiamo tutti, alcune nazione straniere si erano rese disponibili, nel corso dell’epidemia, a fornire macchinari e attrezzature e prestare aiuto in campo medico, con l’invio di dottori e infermieri. Fra queste, la Russia dell’odiato Putin. Odiato da chi? Di certo, odiato dal quotidiano La Stampa, fino a pochi giorni fa diretto dal filo-atlantista e filo-sionista Maurizio Molinari, ora passato a svolgere la sua professione a Repubblica, in un valzer di poltrone all’interno del gruppo editoriale Gedi, a maggioranza azionaria targata Fiat.
Che alcune nazioni ancora fedeli al socialismo, come Cuba, tanto bistrattate dai guru del liberismo nostrano, si potessero permettere di dimostrare al mondo intero che una vera e robusta sanità pubblica è uno strumento formidabile a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà, era senz’altro fastidioso e irritante. Ma un intervento diretto del gigante russo, il nemico numero uno del Deep State americano nel dopo-guerra fredda, questo no, non si poteva tollerare in alcun modo.
E allora venne orchestrata, messa in piedi una campagna di stampa del tutto infondata, sprofondata nell’umorismo involontario. L’esercito russo aveva inviato truppe nella provincia di Bergamo, la più colpita in quel momento dall’epidemia, con lo scopo di costruire un ospedale da campo per i contagiati. Il giornalista de La Stampa Jacopo Iacoboni (un nome che ricorda le avventure del signor Bonaventura nel Corriere dei Piccoli del tempo che fu) citò fonti di alto livello del nostro governo, malauguratamente del tutto anonime, per far credere che i russi fossero calati nella Valle padana per spiare, scoprire segreti politico-militari. Come ci si poteva aspettare, l’amministrazione russa manifestò il proprio sdegno: come, noi veniamo a portarvi aiuto, e voi ci accusate di spionaggio? Prima l’ambasciatore in Italia, Sergej Razov, in una lettera aperta al direttore de La Stampa Molinari, e in seguito il portavoce del Ministero della difesa russo, Igor Konashenkov, chiesero giustificazioni e spiegazioni credibili.
Naturalmente Jacoboni e Molinari risposero sdegnati, refrattari ad ogni autocritica come al senso del ridicolo, e si atteggiarono a martiri, schierati a difesa della libertà di stampa, che a loro modo di vedere equivale a poter elargire falsità a destra e a manca. Purtroppo tutto l’arco parlamentare di casa nostra, non soltanto non provò a chiudere l’episodio in maniera dignitosa, scusandosi com’era doveroso con chi di dovere, ma andò dietro agli strepiti dei due galletti.
Dalla deputata Alessia Rotta del Partito Democratico a Matteo Renzi di Italia Viva, dal senatore Andrea Cangini di Forza Italia, fino a Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana-Leu, tutti si accodarono ad un’improbabile difesa dell’indifendibile, dimostrando così che l’accusa di russofobia del portavoce Konashenkov non era un’esagerazione, bensì una semplice realtà.
Non che prima del CoronaVirus, lo stato dell’informazione fosse molto più brillante, ma ora sembra essere caduta ogni maschera, e ormai il fruitore di notizie viene trattato alla stregua di un bambino dalle ridotte capacità intellettive, e quindi spronato ad obbedire, senza fare tante storie.
Negli ultimi vent’anni, principalmente a causa dello sviluppo di Internet, la strategia della contro-informazione si è appoggiata in gran parte sulla creazione di blog e web-tv, queste ultime spesso caratterizzate da una cronica penuria di fondi, e quindi impossibilitate a svolgere un ruolo di incisivo contraltare ai megafoni di regime. Fanno eccezione, almeno in parte, due meritorie realtà come byoblu e PandoraTv, che comunque soffrono anch’esse dei problemi di budget, e per questo motivo il tanto atteso e auspicato salto verso il l mondo del digitale terrestre non si è ancora verificato.
I fanatici della Rete, come il Beppe Grillo tribuno del popolo prima maniera, dovrebbero ora ammettere che il web non ha saputo conquistare quelle sterminate platee che ancor oggi seguono l’informazione della televisione generalista. Ma c’è di più; proprio la vicenda del finto spionaggio di cui sopra, ci dice chiaramente che anche il mondo della carta stampata, per fortuna o purtroppo, recita ancora una parte importante nel mondo culturale e politico. Nonostante il drammatico calo di vendite degli ultimi decenni, i giornali quotidiani, simili a nobili decaduti, possiedono ancora un’aura di prestigio, ereditata dal passato, e certamente immeritata, ma di fatto capace di renderli degni di nota agli occhi di un ministro di una potenza straniera.
Per questo chi cerca, con notevole dispendio di energie e di fatica, di costruire un nuovo soggetto politico nell’area del socialismo nazionale, dovrà ragionare su quanto sia essenziale costruire una nuova egemonia culturale attraverso la creazione di nuovi canali informativi.
Se il Manifesto si preoccupa di bollare come sommi pericoli l’emergere di populismi e sovranismi, e se il Fatto Quotidiano non ha mai saputo offrire ai propri lettori un’elaborazione politica di ampio respiro, limitandosi alla denuncia della corruzione spicciola, sarò compito nostro ovviare a questa lacuna, le cui conseguenze si fanno sentire in maniera sempre più gravosa.
*Alberto Melotto è membro del Comitato Popolare Territoriale di Torino
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