Necessitas non habet legem. Quando la “necessità” trascende la Costituzione in nome del nuovo superiore ordine mondiale che l’imperialismo scientocratico generosamente dispensa con le neoarmi del debito, della disinformazione e della terapia vaccinale.
Come noto il consiglio dei ministri, su proposta del suo primus inter pares signor conte, ha appena deliberato la proroga, fino al 15 ottobre 2020, dello stato d’emergenza proclamato lo scorso 31 gennaio in conseguenza della dichiarazione di “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale” da parte dell’o.m.s. Sono così prorogate dal 31 luglio al 15 ottobre 2020, le disposizioni di cui ai decreti legge nn. 19 e 33 del 2020 che consentono di adottare specifiche misure di contenimento dell’epidemia.
Si prevede la cessazione al 31 luglio degli altri termini connessi o correlati alla fine dello stato d’emergenza, previsti da disposizioni diverse da quelle specificamente richiamate nel decreto. Mentre restano in vigore fino all’adozione di nuovi dpcm ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.l. n. 19 del 25.3.2020 (e comunque non oltre dieci giorni dalla data di entrata in vigore del decreto) le disposizioni di cui al dpcm del 14 luglio 2020.
Per intenderci, quest’ultimo dpcm prorogava sino al 31 luglio la validità delle tristemente note norme liberticide ed economicide nell’ultima declinazione che ne dava il precedente dpcm 11 giugno 2020. Restano quindi operanti al presente ed, in purtroppo fosca previsione, nel prossimo futuro, tra le tante altre, le seguenti odiose limitazioni, privazioni ed imposizioni:
– l’accesso del pubblico a parchi, ville e giardini pubblici col divieto di assembramento e con la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro;
– l’accesso dei minori ad aree gioco all’interno di parchi, ville e giardini pubblici, per svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto nel rispetto delle linee guida del dipartimento per le politiche della famiglia (allegate al dpcm);
– manifestazioni pubbliche consentite soltanto in forma statica e rispettando le “distanze sociali prescritte e le altre misure di contenimento, nel rispetto delle prescrizioni imposte dal questore ai sensi dell’articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”;
– spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche ed in altri spazi anche all’aperto svolti con posti a sedere preassegnati e distanziati e a condizione che sia comunque assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro sia per il personale, sia per gli spettatori che non siano abitualmente conviventi, con il numero massimo di 1000 spettatori per spettacoli all’aperto e di 200 spettatori per spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala;
– l’accesso ai luoghi di culto solo con misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro;
– la sospensione dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’art. 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, e delle attività didattiche in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado nonché la frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore.
Dunque, attività individuali e sociali appena ieri ritenute prerogative naturalmente e liberamente fruibili da ciascuno in quanto viva, inevitabile espressione della personalità finiscono oggi, invece, seccamente vietate od altrimenti variamente ortopedizzate sino a criminalizzarle. Contorti e mortificanti divieti, quelli appena innanzi riportati, inveranti, probabilmente, declinazioni, le più parossistiche ed insopportabili, che la liturgia del signor conte vi conferisce per quanto in stridente contraddizione con la più intima essenza costitutiva della persona umana intesa secondo lo jus naturale (bonum faciendum, malum vitandum).
Ma sino a che punto l’ordinamento giuridico vigente può dirsi non inciso per effetto della tanto salda quanto proterva perseveranza del già nominato autoproclamato “avvocato del popolo” nell’operatività di quei divieti?
Il Codice della protezione civile (D. L.vo n. 1/2018 art. 7 comma 1 lett. c) definisce le emergenze di rilievo nazionale come quelle “connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24.”
Dunque, eventi calamitosi (“che apporta sventure; funesto”, garzantilinguistica.it) che per intensità od estensione vanno immediatamente fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.
L’art. 24 (stesso Codice) stabilisce che “al verificarsi” di quegli eventi calamitosi di rilievo nazionale (come appunto menzionati dal precedente art. 4) oppure “nella loro imminenza” il consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza fissandone la durata e l’estensione territoriale “con riferimento alla natura e qualità degli eventi”.
E’ ben chiaro, a questo punto, che ai poteri straordinari può farsi ricorso solo “al verificarsi” o nella “imminenza” (“di cosa prossima ad avvenire”, treccani.it) dell’evento calamitoso e per durata temporale ed estensione geografica fissati in base alla “natura e qualità” dell’evento medesimo.
Dirimente, pertanto, è la nozione di evento: questo – già in atto od imminente – non potendo esser fronteggiato con mezzi e poteri ordinari richiede il ricorso a mezzi e poteri straordinari che avranno durata temporale ed ambito spaziale di applicazione da fissare in base alla natura ed alla qualità dell’evento stesso.
Cosicchè, mezzi e poteri straordinari possono ed anzi devono essere impiegati per trascendere i limiti e le condizioni che, nell’ordinario, regolano gli istituti giuridici pubblici e privati. Ed allora con mezzi e poteri straordinari diviene lecito reperire risorse umane, economiche e materiali, conferire incarichi, assegnare compiti ed assumere decisioni anche fuori ed oltre i vincoli segnati dai rigidi parametri codificati per la normalità.
Legibus soluti, dunque, potrebbero esser definiti coloro i quali – come il nostro “primus” – agiscano per fronteggiare, perdurandone l’attualità o l’imminenza, quell’evento. Ma fino a che punto “soluti”? In altri termini, sino a dove può spingersi lo stato d’eccezione che si instaura in presenza di poteri straordinari?
Marta Cartabia, professore ordinario di diritto costituzionale, dal 2011 giudice della Corte Costituzionale (dall’11.12.2019 ne è divenuta presidente), ha recentemente dichiarato che:
“La nostra Costituzione, a differenza di altre, non prevede lo ‘stato d’eccezione’. Dunque, anche in situazioni di crisi valgono i principi di sempre, ma ciò non significa che non si debba tener conto delle circostanze e delle loro peculiarità”. Ed ha poi ricordato come la Corte costituzionale abbia affermato in varie occasioni che : “più la compressione di un diritto o di un principio costituzionale è severa, più è necessario che sia circoscritta nel tempo. Le limitazioni si giudicano secondo il test di proporzionalità che risponde a queste domande: si sta perseguendo uno scopo legittimo? La misura è necessaria per quello scopo? Si è usato il mezzo meno restrittivo tra i vari possibili? Nel suo insieme, la norma limitativa è proporzionata alla situazione?”.
Tenendo fede ai parametri che quell’autorevole insegnamento richiama e, così, guardando all’attualità può oggettivamente valutarsi come del tutto non proporzionato, per eccesso, lo strumento repressivo che il governo continua ad agitare col pretesto dell’emergenza sanitaria in corso. Ridotti a qualche decina i casi trattati in terapia intensiva, aumentato di oltre il 115% rispetto alla disponibilità in pre-emergenza il numero di posti in terapia intensiva (11.091), adottati protocolli di cura efficaci e somministrabili in alcuni casi anche presso il domicilio (clorochina ed idrossiclorochina, eparina a basso peso molecolare, plasma iperimmune, desametasone etc..), raccomandate buone pratiche da adottare in via preventiva (assunzione di vitamina C e vitamina D, accurata igiene personale), chi ancora ravvede attuale (od imminente) l’evento calamitoso rappresentato dal rischio di una recrudescenza del virus?
Virus che prestigiose personalità in ambito accademico e sanitario – quali, tra gli altri, il prof. Alberto Zangrillo ed il prof. Giulio Tarro – riferiscono essere “clinicamente morto”. Virus che, a quanto pare, resta ben vivo e diffuso solo nelle quotidiane narrazioni del comitato tecnico scientifico (Brusaferro ed altri) cooptato a suo tempo dal governo ed i cui verbali di riunione e pareri, puntualmente richiamati a puntello nel corpo dei vari dpcm liberticidi, sono tenacemente tenuti secretati (la fondazione Einaudi ne ha dovuto chiedere al TAR l’ostensione pervicacemente negatale dalla presidenza del consiglio che, da ultimo, ha appellato dinanzi al Consiglio di Stato l’ordine di esibizione emesso dal Tar Lazio; il TAR ha stabilito che l’accesso a quegli atti, incredibilmente coperti dal segreto di Stato, oltre a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, ha anche la finalità di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.).
Su questi presupposti solo l’Italia, in Europa, proroga l’emergenza per la bizzarra, incomprensibile ed arbitraria durata di ulteriori settantasei giorni (76). Tutto il mese di agosto e di settembre, quelli particolarmente vocati al turismo legato al mare, e metà del mese di ottobre allorquando le ampiamente prevedibili tensioni sociali connesse anche alla sistematica, dolosa distruzione delle piccole e piccolissime imprese, cuore del sistema produttivo della nazione, si acuiranno.
Durante questo periodo è facile prevedere che imperverseranno gli editti monocratici ed autoritari vergati dall’avvocato del popolo nonché ardito captatore dei favolosi recovery fund (next generation eu) con cui, in epoca imprecisata del 2021, bruxelles munificherà l’Italia dopo che gli Italiani avranno versato – in tasse vecchie e nuove e con i tagli dell’austerità al welfare – la propria quota di contributori netti nelle sue casse.
Quegli editti noti come “dpcm”, lungi dal costituire norme di legge primaria altro non sono che atti amministrativi che hanno inciso ed incidono sull’esercizio di libertà fondamentali comprimendole ed, in alcuni casi, annullandole. Quanto è avvenuto per la libertà di circolazione (dpcm 8 marzo 2020 e seguenti) e quanto avviene per la libertà di riunione con la previsione del divieto di assembramento di persone (a partire dal dpcm del 9 marzo 2020). Tanto in aperto contrasto ed in sfacciato spregio della Costituzione la quale prevede, a seconda dei casi, la riserva di legge (in materia di libertà di circolazione ex art. 16 Cost.) e la doppia riserva di legge e di giurisdizione (in materia di libertà personale di cui all’art. 13 Cost.).
Sul punto, verrebbe di chiedere perché il governo non abbia operato con decreto-legge, strumento previsto proprio per far fronte ai “casi straordinari di necessità e di urgenza” come quello realizzatosi (or sono diversi mesi addietro) quando il virus ebbe a diffondersi prima di divenire già dal mese di maggio “clinicamente morto”. Se lo avesse fatto avrebbe utilizzato la fonte più idonea agendo nei limiti posti dal dettato costituzionale, rassegnando la valutazione di legittimità dell’atto di legge sia alla preventiva consultazione dei ministri (tutti gli altri, oltre al presidente, che compongono il cdm) che alla valutazione successiva del Parlamento, in sede di conversione in legge.
La risposta alla domanda potrebbe non scontare alcuna incertezza se, in aggiunta a quanto sin qui ragionato, si ricordasse come il governo in carica eviti accuratamente ogni via di procacciamento di risorse e moneta (crediti fiscali, emissione di titoli di stato destinati ai cittadini, moneta locale) che non sia quella dell’indebitamento con i mercati (il mes è dietro l’angolo in attesa che la liquidità monetaria – che il recovery fund non procura nell’immediato – diventi istanza urgente ed irrinunciabile). Indebitare, terrorizzare, confinare in casa, descolarizzare, vaccinare ed identificare con microchip, impoverire gli Italiani – nel patrimonio, nello spirito e nella identità culturale – parrebbe la summa di propositi meglio abbinabile al contingente orizzonte che il quadro politico disegna. In piena assonanza con le più rosee aspettative di conquista care ai mercati.
*Nunzio Gagliotti è membro del Cpt di Benevento
Associazione a delinquere. Più che mai richiede una risposta che restituisca legalità al corpo sociale.
E.c. f o r c h e c.a.u.di. n.e