Riceviamo e pubblichiamo.
I dati ufficiali parlano al momento (agosto 2020) di 35.000 morti su 250.000 casi di covid-19 in Italia. Un tasso di letalità analogo a quello della meningite e del tifo, che però non hanno la stessa contagiosità. Se la situazione fosse questa, sarebbe ben comprensibile l’allarme continuo del governo e le misure preventive adottate.
MA: ANZITUTTO: QUANTI SONO I MORTI…?
“Perché in Italia ci sono così tanti morti per il coronavirus?”
“Il modo in cui classifichiamo le morti nel nostro paese è molto generoso, nel senso che tutte le persone che muoiono negli ospedali con il coronavirus sono considerati morti PER il coronavirus”
(intervista del Telegraph del 23/3/2020 a Walter Ricciardi ex presidente dell’ ISS, rappresentante per l’ Italia nell’ Oms e consigliere del governo per l’emergenza covid 19.)
Ma andiamo ai dati dell’ Istituto superiore di Sanità
Alla luce dell’ultimo rapporto ISS si evince che l’età media dei defunti è di 80 anni. Fra questi, solo il 3,9% non presentavano gravi patologie (diagnosticate in precedenza), al 13,9% era stata diagnosticata una patologia grave, l’82,2% soffriva di almeno 2 di queste gravi patologie. La media delle patologie di cui i defunti soffrivano era di 3,4.
Le patologie concomitanti di cui tratta il rapporto ISS sono le seguenti:
Cardiopatia ischemica, Fibrillazione atriale, Ictus, Ipertensione arteriosa, Diabete mellito, Demenza, Broncopneumopatia cronica ostruttiva, Cancro attivo negli ultimi 5 anni, Epatopatia cronica, Insufficienza renale cronica, Obesità.
A parte l’obesità, inserita dall’ ISS nell’ultimo rapporto, non sembrano proprio delle malattie da prendere alla leggera.
D’altronde il presidente dell’ordine dei medici di Genova e direttore dell’Istituto di medicina legale Buonsignore ha spiegato che:
“In Italia si è deciso di inserire nei casi di Coronavirus tutti quelli che sono stati scoperti positivi o durante la vita o anche nel post mortem. Così noi stiamo azzerando la mortalità per qualsiasi patologia naturale che sarebbe occorsa anche in assenza del virus”.
PERCHE’ SONO MORTI?
Va ricordato che il governo italiano, seguendo le informazioni che venivano dalla Cina, ha escluso in un primo tempo l’uso degli antinfiammatori, che invece si sono rivelati efficaci almeno in certe categorie. Sulla base delle indicazioni dell’ OMS ha escluso l’uso dell’idrossiclorochina, che si è invece rivelata efficace, con retromarcia dell’ Oms, quando si è scoperto che lo studio, pubblicato da Lancet, che ne sconsigliava l’utilizzo era un falso, confezionato da una fantomatica startup americana con nessuna credibilità scientifica.
Il ministero ha fortemente sconsigliato le autopsie quando la morte derivava da Covid 19, come riportato dalla circolare 15280 del 2 maggio 2020, che riprende diverse circolari precedenti
“1. Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio”.
E’ vero che il ministero non le ha formalmente proibite, ma le ha sottoposte a condizioni di sicurezza talmente stringenti da sconsigliarne la realizzazione (si veda il punto C)
Le autopsie che sono state ciononostante realizzate si sono invece dimostrate decisive.
In tal modo si è scoperto che la causa di morte non era la “polmonite interstiziale” fino ad allora ipotizzata, ma una embolia diffusa, e grazie a questa corretta diagnosi si è deciso di rinunciare alla ventilazione forzata in terapia intensiva sostituendola con anticoagulanti, in specie l’eparina a basso peso molecolare.
Malgrado le cautele suggerite anche dall’ Aifa, (solo l’11 aprile), l’eparina si è dimostrata molto efficace, e i ricoveri in terapia intensiva si sono sostanzialmente azzerati, dimostrazione che i sostenitori della tromboembolia diffusa avevano ragione.
Secondo alcuni medici, fra questi il dr. Bacco, l’uso errato della ventilazione polmonare in pazienti che erano affetti da trombo embolia diffusa è stata una delle principali cause di morte dei pazienti ricoverati in terapia intensiva.
“Abbiamo ucciso, anche se in buona fede, i pazienti nelle terapie intensive. Non avendoci fatto realizzare le autopsie, non sapevamo cosa procurasse il virus nel corpo, abbiamo erroneamente pensato che agisse a livello polmonare, mentre il danno era a livello vascolare e dopo negli organi. Non abbiamo usato gli antinfiammatori, l’idrossiclorochina e l’eparina, che oggi sappiamo essere fondamentali, mentre abbiamo ‘bruciato’ i tessuti polmonari con la ventilazione profonda.”
Infine, la scoperta dell’ospedale di Mantova dell’efficacia del cosiddetto “plasma iperimmune”, cioè del plasma dei pazienti guariti dal coronavirus si è dimostrata decisiva, e con una efficacia immediata verificata dalle 2 alle 48 ore successive alle trasfusioni. Tuttavia anche questa soluzione è stata ostacolata, tanto che la regione Emilia Romagna decide di non utilizzarla e il Consiglio Regionale del Lazio rifiuta di aderire alla terapia del plasma. Il direttore dell’ istituto Spallanzani afferma che “L’efficacia non è stata dimostrata, la terapia dovrà essere sottoposta a sperimentazione” e “l’uso di terapie non abbastanza sperimentate è al limite della stregoneria”.
La sperimentazione, che si spera oggi sia conclusa, verrà poi sottratta all’equipe del dr. De Donno di Mantova che l’aveva scoperta e attribuita ad un altro centro ospedaliero in Toscana.
In conclusione, le autorità sanitarie italiane hanno ritardato o ostacolato tutte le terapie e gli strumenti diagnostici che si sono rivelati poi efficaci: gli antinfiammatori, l’idrossiclorochina, le autopsie, l’uso dell’eparina e del plasma iperimmune.
QUANTI SONO I CONTAGIATI?
le cifre ufficiali parlano, ad oggi 13/8, di 250.000 contagiati. Questi dati hanno lo stesso valore dell’estrazione dei numeri al lotto. Sono infatti i risultati dei test sui malati, sui defunti e sui loro contatti e congiunti. Malgrado le autorità sanitarie compiano anche 60.000 test ogni giorno, la loro significatività rispetto a 60 milioni di italiani resta nulla.
Per valutare la reale presenza del virus in Italia era necessario un test sierologico, su base campionaria di carattere nazionale. A partire da marzo da molte parti inizia la richiesta di un tale test nazionale. Finalmente, alla fine di Aprile, il Governo si decide a promuoverlo.
Perché un tale test è decisivo…?
Anzitutto, permette di valutare la letalità della malattia. E’ diverso se i supposti 35.000 morti (che noi prendiamo con beneficio di inventario) sono riferiti ad un numero di contagiati di 250.000 (quelli ufficiali), o se il numero dei contagiati è, poniamo, di 20 milioni, come quello stimato dai test della società Meleam e dal dr. Bacco. La letalità si abbassa di 80 volte, dal 14% a meno dello 0,2%.
In secondo luogo, il test anticorpale mostra la presenza di IGG e di IGM. Le prime immunoglobuline si sviluppano quando la malattia è già terminata, mostrano la conseguita immunità e permettono di valutare l’anzianità del contagio. Le seconde si sviluppano quando la malattia è ancora in corso.
Il test anticorpale permette perciò di valutare la presenza o meno di una diffusa immunità e da quanto tempo si è diffusa l’epidemia, questione decisiva riguardo all’efficacia di una scelta di “lockdown”.
In varie località si sono già svolti, al momento della decisione governativa, test anticorpali di massa. I risultati sono del 49% di contagiati a Ortisei, del 75% a Vò (epicentro della malattia), del 61% a Alzano e Nembro (epicentri lombardi), del 40% fra gli autisti dell’ATM di Milano, del 25% sui lavoratori asintomatici di una azienda nelle Marche, e si ha poi lo studio dell’azienda Meleam e del dr. Bacco.
Questa azienda, con un campione limitato di 7000 test della popolazione in età lavorativa in molte regioni italiane del nord e del sud stima la diffusione del contagio in oltre il 30% (il 33,6%) della popolazione italiana. Lo studio, sulla base della presenza di IGG stima l’arrivo del contagio al sud alla fine di dicembre 2019, e il 75% di presenza di IGG nei positivi.
Lo studio è immediatamente disponibile sulla pagina della Meleam.
In attesa che il governo realizzi il test, si scoprono altri fatti interessanti:
il primo è che la presenza del virus è stata verificata in campioni delle acque reflue di Milano e Torino del 18 dicembre 2019, da uno studio dell’ ISS (si ricordi che il lockdown è dell’11 marzo 2020)
il secondo è che compaiono dei dati provvisori sulla provincia di Bergamo, che danno il numero delle persone positive, sulla base di 6367 test effettuati, al 58% della popolazione.
Diversi hanno obiettato che questi test non sarebbero significativi, poiché avrebbero soprastimato l’incidenza di località come Alzano e Nembro, epicentri del virus, o dei congiunti di malati. Non ci è dato di sapere se sia così, tuttavia rileviamo che il numero di test effettuato è molto superiore a quello previsto dal test nazionale (di 2,4 volte) e di circa 5 volte rispetto a quello effettivamente realizzato dal governo (si veda in seguito).
L’Asl locale sembra confermare e poi smentire o ridurre la significatività del test.
“Health authorities in Bergamo said the results were based on a “random” sample which was “sufficiently broad” to be a reliable indicator of how many people had been infected in the province, which became the epicentre of Italy’s outbreak.
In a separate statement issued later, the Bergamo health agency said that most of those in the sample were residents of the worst-hit areas. Many had already been put under quarantine, the statement added.”
(Reuters)
IL GOVERNO BOICOTTA IL PROPRIO TEST
Dunque, alla fine di aprile il governo si decide a lanciare la propria campagna di 150.000 test sierologici nazionali. Si indice una gara, e vince l’azienda americana Abbott che offre gratuitamente i propri kit diagnostici. La data per l’inizio è fissata per il 4 maggio, e i risultati per l’11 maggio.
Insorgono subito delle difficoltà: riguardanti la privacy dei sottoposti ai test, e all’utilizzo dei risultati.
La campagna comincia effettivamente il 25 maggio.
Tuttavia, malgrado i risultati siano stati inizialmente previsti nel termine di una settimana, con il passare delle settimane non si ha nessuna notizia, malgrado che saltuariamente la tv ricordi la campagna di test sierologici e inviti ad aderirvi.
Finalmente, il 3 agosto, a 3 mesi dal previsto inizio della campagna, e a 70 giorni dal suo inizio effettivo, il governo annuncia una conferenza stampa e spiega: “Purtroppo, per la situazione dell’epidemia, non siamo riusciti ad effettuare i 150.000 test previsti. Dai 64.000 test che abbiamo comunque effettuato possiamo dedurre un tasso di “siero prevalenza” nella popolazione italiana del 2,5%.
Da notare che l’informazione ufficiale che dà il governo non comunica nemmeno la quota delle IGG sui testati, salvo per il personale sanitario, i dati cioè dell’immunità conseguita, né avanza nessuna stima sull’inizio del contagio.
Ora, questa comunicazione che dà il governo è molto strana, a partire dal metodo.
In primo luogo, non si comunica il metodo usato. Questo è un elemento molto importante, perché la sensibilità dei kit è molto diversa. Si è usato il kit della Abbott che ha vinto la gara pubblica o qualche altro kit purchessia?
In secondo luogo, non si specificano quali siano state le difficoltà incontrate che non hanno permesso, in un arco di tempo dieci volte superiore a quello previsto, di analizzare il campione previsto.
In terzo luogo, quanti e dove sono stati realizzati i campioni? Francamente, non è credibile che il sistema sanitario, che realizza mediamente 60.000 tamponi al giorno, con picchi di 80.000, non riesca a effettuare più di 64.000 test in 70 giorni. Questa incredibile inefficienza lascia aperto il dubbio che una parte dei campioni sia stata “secretata” o “selezionata”; e inoltre comporta seri dubbi sulla rappresentatività del campione per tutte le aree nazionali.
In quarto luogo, quando sono stati realizzati i test? Realizzare un test a maggio oppure a luglio non è indifferente. Alcuni studi suggeriscono che l’immunità non sia perenne, e questo è uno dei motivi che rendono poco credibile la creazione dei un vaccino efficace. La data di effettuazione dei test è perciò importante.
In quinto luogo, perché non sono stati rivelati i dati sulla quota di IGG e IGM? Ci sono state delle “difficoltà” anche lì…? E’ un dato decisivo per valutare la raggiunta o meno immunità (probabilmente temporanea, vero) di parte della popolazione, oppure la sua capacità di contagio e la presumibile anzianità del contagio epidemico. Perché sono stati rivelati solo per il personale sanitario? Forse perché “se i medici smettono di lavorare siamo fottuti”…? E questo personale sanitario, che rappresenta 1,8 milioni di persone, cioè 1/33 della popolazione italiana, è stato analizzato con 1/33 dei test, cioè meno di 2000 campioni in tutta Italia, o c’è stata una torsione campionaria per poterne valutare non solo la siero prevalenza, ma anche la prevalenza di IGG e di IGM…?
( Quinto luogo bis) La comunicazione relativa al personale sanitario è ancora più strana. L’incidenza della siero prevalenza è indicata solamente a livello nazionale (5,6%). Invece la prevalenza delle immunoglobuline IGG è distinta sul piano territoriale: 9,8% al nord, 2,5% al centro e 1,4% al Sud. Sì, ma su quanti…???
In sesto luogo, si è utilizzato un campione certamente casuale – perché non in ogni campionamento si è ovviamente raggiunto il 43% del campione previsto- del campione originario per trarre conclusioni su tutta la popolazione interessata. Certo, anche un campione del campione può essere utilizzato per tale stima, anche se l’attendibilità di tale stima diminuisce. Ma allora bisognerebbe spiegare con quale metodo statistico da tale campione casuale del campione si è estratta la valutazione ottenuta.
La comunicazione dell’ Istat ha altri elementi di stranezza.
In settimo luogo la comunicazione dell’ Istat afferma:
“L’emergenza sanitaria ha reso più difficile la rilevazione, ma le metodologie di correzione della mancata risposta totale hanno permesso di produrre stime valide (coerenti con altri studi)”
Quali altri studi…? Se si promuove una analisi campionaria nazionale è necessario che il dato sia “vergine”, e “significativo” non confrontato o confortato da “altri studi”, altrimenti il risultato ne risulta alterato, o, in termini statistici, “biased”.
Allo studio statistico si affiancano esortazioni che esulano dai compiti dell’ Istat e dagli stessi fini dell’indagine campionaria.
“Non si può abbassare la guardia, conta molto la responsabilità individuale, seguire le regole di lavarsi spesso le mani, mettere la mascherina e rispettare le distanze.”. Ma la direttrice dell’ Istat, che ha firmato il rapporto, che ne sa…? E cosa c’entra con l’indagine campionaria? Sembra che si manifestino piuttosto in questa esortazione le preoccupazioni e le richieste della committenza.
IN CONCLUSIONE
Il governo ha sabotato la realizzazione della sua stessa indagine campionaria. Non è altrimenti credibile che non si riescano a realizzare 150.000 test in 70 giorni. Il metodo è estremamente carente, del tutto inadeguato per una indagine sanitaria. Si veda, a titolo di raffronto, le preoccupazioni metodologiche dello studio della Meleam prima riportato. I dati che il test fornisce hanno tali e tante incongruenze da alimentare dubbi sulla intenzione di fornire dati rassicuranti della strategia del governo anziché dati realistici sulla diffusione del contagio.
Probabilmente c’è un’altra fonte da considerare, per quanto riguarda l’indagine sulla sieroprevalenza: il DL 10 maggio 2020 n.30. Si veda in particolare il comma 10.
Non lo conosco, puoi spiegare…???