Lo scorso 24 marzo, a distanza di una settimana dall’annuncio del ministro Speranza, è uscito in gazzetta il decreto contenente il calendario del progressivo superamento delle misure anti-pandemiche. Al di là dei dettagli del provvedimento, emerge il termine temporale del 1° maggio 2022 come data del generale superamento del green pass.
Il periodo dal 1° al 30 aprile sarà caratterizzato dall’allentamento delle regole restrittive, con la riapertura degli uffici pubblici, postali e bancari al pubblico senza necessità di presentare la carta verde, la ripresa di molte attività all’aperto, la possibilità di accedere ai ristoranti anche al chiuso con il “solo” requisito del possesso del green pass da tampone, l’accesso ai mezzi pubblici senza limitazioni ad esclusione di quelli a lunga percorrenza e dei traghetti e aerei, per i quali continuerà ad essere richiesto il green pass base.
Tuttavia, sul fronte lavorativo la normativa presenta incongruenze e disparità che destano preoccupazione.
Per tutte le categorie del pubblico impiego per le quali era stata progressivamente introdotta l’obbligatorietà della vaccinazione, (ad eccezione del personale sanitario ed equiparato, di cui si dirà in seguito) l’obbligo resta confermato fino al 15 giugno, ma cade la sanzione della sospensione dal lavoro e dallo stipendio, residuando solo sanzioni di tipo pecuniario. Un primo aspetto su cui occorre porre l’accento, è lo sganciamento dell’obbligo vaccinale dalla sussistenza dello stato di emergenza che, come noto, termina il 31 marzo.
Mentre in tutti i settori pubblici riguardati dall’obbligo, dal 1° aprile al 30 aprile sarà possibile riprendere la normale attività lavorativa se muniti del green pass base, abbandonato definitivamente dal 1° maggio, un trattamento particolare è riservato agli insegnanti e al personale sanitario. Per i primi, infatti, sarà ripristinato lo stipendio, ma in caso di mancata vaccinazione, dovranno essere adibiti ad attività accessorie diverse dall’insegnamento fino alla fine dell’anno scolastico. Per i secondi, l’obbligo vaccinale viene addirittura esteso fino al 31 dicembre e resta in piedi tutto l’impianto sanzionatorio previsto durante lo stato di emergenza, compresa la sospensione in caso di inadempienza.
In nessuno stato dell’Unione Europea tali norme trovano corrispondenza.
Sfugge, inoltre, la logica sottostante, se non la precisa volontà di stigmatizzare categorie di lavoratori, non in virtù di una norma legata all’oggettiva necessità di assicurare maggiore protezione negli ambienti di lavoro, ma in quanto resistenti ad una sorta di imperativo di ordine morale; devono, quindi, essere ritenuti indegni, separati dagli altri, resi identificabili e puniti in maniera esemplare.
Non si capisce perché il tampone antigenico o molecolare, richiesti con cadenza di 48 o 72 ore, che assicurano con buona attendibilità l’assenza del virus, siano considerati meno sicuri del vaccino o della guarigione solo quando ci si trova in classe o in ospedale.
Il reale intento punitivo della norma traspare dalle altrimenti incomprensibili dichiarazioni di molti virologi, ultimo in ordine di tempo Massimo Galli, per il quale la revoca anticipata e definitiva del green pass rafforzato corrisponde ad una vittoria dei no-vax. Ma di quale vittoria parliamo? L’unica cosa che dovrebbe contare è l’aver ottenuto un risultato in campo sanitario. Invece, con tali affermazioni si allude ad una presunta categoria di persone, creata al tavolino, in cui viene racchiuso chiunque osi dissentire al diktat vaccinale e che deve essere vinta e ricondotta, pena l’annientamento, all’accettazione di un comportamento al di là di ogni giustificazione razionale.
Paradossale appare anche la prosecuzione fino al 31 dicembre della richiesta del green pass rafforzato per i visitatori delle Rsa, case di cure e dei reparti ospedalieri di degenza. Anche in questo caso, si vuole colpire inutilmente negli affetti e colpevolizzare i non vaccinati, inibendo le visite ai propri cari in un contesto di particolare fragilità.
Tra l’altro, è il caso di ricordare come i vaccini anticovid attualmente somministrati siano sempre più obsoleti, proprio perché le varianti del virus attualmente preponderanti sono del tutto nuove, rispetto a quelle per le quali essi sono stati inizialmente introdotti.
Per questi profili, l’ultimo decreto, lungi dal rassicurare sul ritorno alla normalità, suona invece come conferma della definitiva metamorfosi subita dal diritto negli ultimi due anni.
La repubblica ha cambiato pelle avvicinandosi ad uno stato etico sui generis, che presenta tratti del tutto originali, rispetto all’accezione hegeliana, ma anche rispetto alle declinazioni date da altri autori in altre epoche e contesti, ad esempio quella di Gentile.
Caduto ogni riferimento ad un’etica universalmente condivisa, si assiste ad uno stravolgimento in senso nichilistico, in cui lo Stato non ha più bisogno di rifarsi a principi di ordine superiore nel legiferare, se non la propria volontà e le proprie priorità, ormai liberate dalla necessità di essere spiegate, di apparire coerenti con le altre norme dell’ordinamento, di essere legittimate dal riferimento ad un ordine valoriale etero determinato. Poiché neppure la più feroce dittatura può prescindere da un consenso di massa, esso viene perseguito attraverso la ripetizione ossessiva di affermazioni apodittiche, trasmesse dai media di regime alla stregua di verità di per sé evidenti e pertanto non bisognevoli di spiegazione.
Diviene fondamentale l’utilizzo strategico dell’individuazione di un nemico, da demonizzare con ogni mezzo, proprio in quanto costituisce un ostacolo agli obiettivi che lo Stato si è dato. La condivisione viscerale dell’odio verso il nemico comune sarà funzionale all’adesione acritica da parte della massa alla linea dettata dal governo.
Solo in questa chiave si spiega la differenziazione arbitraria introdotta dall’ultimo decreto tra categorie di lavoratori e cittadini, con la conseguente modulazione di scadenze e sanzioni.
Proprio per l’abnormità che si riscontra da un lato nella criminalizzazione del docente non vaccinato e dall’altro nell’ingiustificabile allungamento delle sanzioni per i sanitari renitenti all’obbligo, si può ipotizzare che per queste tipologie di lavoratori, la punizione possa assumere un carattere di stabilità nel tempo, anche una volta superato qualsiasi allarme pandemico.
E’ dunque fondamentale serrare i ranghi intorno a loro, per contrastare la deriva antidemocratica dell’ultimo biennio. Se da un lato alcune misure vengono ammorbidite, per essere poi rimosse, viene consolidato un metodo, consistente nel concedere la libertà a gruppi di cittadini numericamente significativi, inasprendo al contempo le sanzioni contro una specifica minoranza, di volta in volta individuata.
Tra l’altro, lo stesso provvedimento, all’art. 3 conferisce al ministro della salute un potere di ordinanza fino al 31 dicembre, che potrebbe in qualsiasi momento determinare la riattivazione di misure restrittive, anche in assenza della formale indizione dello stato d’emergenza. Sarebbe un errore strategico pensare di essersi lasciati il periodo peggiore definitivamente alle spalle.