Sul Recovery Fund abbiamo già scritto la scorsa settimana, a commento della proposta Merkel-Macron. Dopo quella decisiva imbeccata, ieri l’altro la Commissione Ue ha annunciato il suo progetto. Un fondo di 750 miliardi (md), rappresentato da un mix di prestiti (250 md) e di sovvenzioni (500 md, di cui quelli che andranno direttamente agli stati sono meno di 400).
Sulla parola “sovvenzione” è bene fare subito chiarezza. Senza dubbio è questa la traduzione corretta del termine inglese “grant” usato dall’Ue. Nella lingua italiana possono esserci però due tipi di sovvenzione, quella a “fondo perduto” (elargizione) e quella concessa come prestito a condizioni vantaggiose. Nel caso del Recovery Fund scordatevi pure il “fondo perduto”, che proprio non c’è, salvo che nelle dichiarazioni degli esponenti del governo e nelle solite grida d’appoggio dei pennivendoli di mestiere. In quanto alle presunte “condizioni vantaggiose” ne parleremo più avanti.
Prima, però, è necessario un passo indietro. Ai politici ed ai media piace molto l’annuncio. Ma l’esperienza ci insegna come tra l’annuncio e la decisione effettiva intervengano spesso differenze sostanziali. Ora, col Recovery Fund siamo appunto alla fase dell’annuncio, cui seguirà una lunga trattativa prima di arrivare alla formulazione definitiva. Ovviamente un annuncio della Commissione Ue ha il suo peso, ma in questo genere di trattative il diavolo sta nei dettagli. Che nel caso specifico sono assolutamente decisivi, sia per la determinazione delle cifre spettanti a ciascuno stato, ma soprattutto per la definizione delle condizioni a cui dovranno sottostare i paesi “sovvenzionati”. Quest’ultima questione è a tutti gli effetti quella veramente decisiva. Non a caso quella più vaga nell’annuncio della Von der Leyen.
Per capire il problema passiamo subito a quel che è in ballo per l’Italia. Per gli euroinomani ci sarà solo una valanga di soldi direttamente in arrivo dal Brennero. Inutile dire che le cose sono leggermente più complesse. Ammesso e non concesso che le cifre finali siano quelle annunciate dalla Commissione, all’Italia spetterebbero 91 md di prestiti ed 82 md di sovvenzioni. Ovviamente i prestiti andranno restituiti, con quale tasso di interesse ancora non si sa. Anche se i tempi di restituzione dovrebbero essere piuttosto lunghi (dal 2028 al 2058), da un punto di vista finanziario attingere a questi prestiti non sarà poi così diverso dal dover emettere titoli, visto che in ogni caso si tratterà di debito aggiuntivo.
In quanto alle sovvenzioni bisogna tenere conto che esse verranno coperte con un contributo straordinario al bilancio Ue, che per l’Italia è al momento valutabile in circa 60 md. Dunque, il saldo positivo dovrebbe aggirarsi sui 22 md (82-60=22). Poco più di un punto di Pil, una cifra che a qualcuno sembrerà importante, ma che in realtà è assolutamente modesta. Basti pensare che solo nel settennio 2012-2018 il nostro Paese, nonostante fosse (insieme alla Grecia) quello messo maggiormente in croce dalle regole europee, ha versato nelle casse Ue 36,3 md in più di quanto ha ricevuto! Bene, neppure questa rapina, e nemmeno in tempi di coronavirus, ci viene restituita! Grande la generosità europea!
Ma il problema non è solo di saldi, di mera convenienza economica. La questione più grande è un’altra. Nelle scorse settimane abbiamo scritto più volte che il punto per l’Italia non è semplicemente il Mes. Il vero problema si chiama infatti Unione europea, della quale il Mes è solo uno degli strumenti. La contrapposizione tra un Mes cattivo ed un Recovery Fund buono è del tutto fuorviante. Sta di fatto che le cosiddette “condizionalità” previste dal Mes, alla fine ce le ritroveremo nella sostanza nel dispositivo del ben più consistente Recovery Fund. In quale forma ancora non sappiamo, ma che ci saranno stringenti condizioni – stavolta chiamate pudicamente “riforme” – è assolutamente certo.
A qualcuno questa mia lettura delle ultime vicende in sede europea sembrerà eccessivamente critica, più il frutto di un pregiudizio che di un’analisi oggettiva dei fatti. E’ così? Diamo allora la parola ad una persona piuttosto informata di come funzionano le cose nei palazzi europei. Altro non fosse che per la sua personale esperienza, Yanis Varoufakis merita di essere ascoltato.
Della sua intervista a La Stampa di ieri mi pare opportuno riportare alcuni passaggi.
Il primo, sull’efficacia del Recovery Fund:
«Qualcuno dirà che l’Europa finalmente si sta muovendo veloce. Ma la direzione è sbagliata… a un incrocio, dove c’era da una parte l’integrazione finanziaria e politica, dall’altro lo sgretolamento dell’Ue, abbiamo preso la direzione sbagliata».
A differenza di Varoufakis, chi scrive non vuole certo l’integrazione finanziaria e politica nell’Ue, ma in ogni caso il giudizio di fatto dell’ex ministro delle Finanze di Atene è del tutto condivisibile. Il Recovery Fund consente all’oligarchia eurista di prendere ancora tempo, ma senza risolvere per questo la crisi strutturale dell’Unione.
Ancora più netta la valutazione di Varoufakis sulla situazione italiana:
«Bisogna che la Bce emetta eurobond trentennali. Solo così l’Italia si salva. Altrimenti già tra un anno Bruxelles sarà pronta a chiedere politiche di austerity, come ha fatto con noi in Grecia».
Austerità dunque, che è questa la vera traduzione della parola “riforme”. In ogni caso, per il leader di DiEM25, il piano europeo è del tutto sfavorevole al nostro Paese:
«Secondo le mie stime inciderà per circa l’1% del Pil italiano per i prossimi tre anni: un valore insignificante. Tanti miliardi, poi, essendo vincolati a investimenti in settori come le nuove tecnologie, saranno dirottati più su Francia e Germania che sull’Italia. Infine i prestiti dovranno essere ripagati e, con un debito pubblico che salirà al 200% del Pil, sarà difficile farlo».
Che fare allora?
«La risposta è in una parola: Giappone. E’ uno Stato per certi versi simile al vostro: Paese industriale, votato alle esportazioni con una popolazione anziana. Ma con una sua banca centrale…».
Insomma, gira e rigira si casca sempre lì. A modo suo Varoufakis è un europeista, ma qui dimostra di avere i piedi ben piantati per terra. Solo l’Italexit e la riconquista della sovranità, politica e monetaria, potranno salvarci. Altro che Recovery Fund, questo nuovo Mes sotto mentite spoglie!
*Leonardo Mazzei è membro del Coordinamento nazionale di Liberiamo l’Italia
Grazie per questa analisi.
La gente si deve svegliare